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 2015  settembre 06 Domenica calendario

TRICHET: “OTTIMI RISULTATI MA BUROCRAZIA E SUD RESTANO DELLE ZAVORRE”

[Intervista a Jean-Claude Trichet] –
CERNOBBIO.
«I dati sulla crescita dell’eurozona sono ancora sotto il potenziale. In particolare per l’Italia, nel passato ha accumulato un ritardo pesante che solo ora sta gradualmente riducendo». Jean-Claude Trichet, il non dimenticato presidente della Bce che nell’estate del 2011 l’uomo che firmò la celeberrima “lettera” di impegni che dette una scossa al Paese e gli evitò il fallimento nonché il commissariamento, scruta l’orizzonte dal balcone di Villa d’Este, sede del Forum Am-brosetti, come per cercare di leggere le ragioni della malattia dell’Italia. Le condizioni per una nuova lettera non ci sono più, «eppure l’Italia ha ancora un problema di produttività».
Ma perché? Qual è la sua diagnosi del male italiano?
«E’ complessa. La tecnologia è la stessa dei Paesi più sviluppati, le procedure industriali pure, gli italiani sono forti e appassionati lavoratori che non si spaventano di fronte ai compiti più duri. E allora? La lentezza dell’Italia è l’eredità di una pessima gestione dell’amministazione pubblica, le cui inefficienze ricadono sul settore privato, sulla volontà e lo spirito imprenditoriale del Paese. Di qui la necessità di proseguire le riforme, con quella che lo stesso vostro premier Renzi ha definito qui a Cernobbio “la massima urgenza”. Il cammino imposto mi sembra buono, a partire dalla riforma del lavoro. C’è bisogno però di tante altre misure, molte delle quali simili a quelle che servono in Francia come le liberalizzazioni nei servizi, nelle attività economiche, nelle professioni. Ma in Italia avete un altro fattore che appesantisce la situazione: il Mezzogiorno, specialmente dal punto di vista della Pa, che rimane una serissima questione da risolvere al più presto che impensierisce l’Europa intera».
Qualcuno la chiama “la Grecia d’Italia”. A proposito, l’ha sentito Yanis Varoufakis ha detto che il problema greco si ripresenterà tale e quali fra sei mesi?
«Sì, ma non credo proprio che sarà così. Certo, Varoufakis non condivide la scelte del governo Tsipras, e infatti lo ha lasciato polemicamente. Ma a questo punto c’è un’immensa volontà da parte del popolo greco di rimanere nell’euro abbinata a una grande resistenza: non vedo nessun motivo perché il Paese non debba riuscire dove sono riusciti gli irlandesi, gli spagnoli, i portoghesi. E poi ora hanno un impegno firmato, approvato sia dal governo che dal parlamento e vincolante. E’ vero che ci sono le elezioni, ma ho motivo di ritenere che qualsiasi governo terrà fede a quanto sottoscritto».
La Grecia proietta un’ombra sulla ripresa europea, al pari della Cina: è per questi motivi che la Bce ha ridimensionato le sue aspettetive di crescita per l’eurozona?
«E’ stata così modesta la riduzione, lo 0,1% in meno per quest’anno, che non mi sembra che si possa parlare di inversione di marcia. Quanti ai problemi provenienti dalla Cina, sono sopravvalutati. Il messaggio di Draghi è che le nuove proiezioni per l’inflazione sono più basse, il che giustifica la possibilità che il quantitative easing sia prolungato oltre il settembre 2016. E’ una possibilità, intendiamoci, non una certezza perché dipenderà dai dati da qui ad allora. Un altro messaggio della Bce è, ancora una volta, che la banca centrale crea le condizioni di base ma la crescita e l’occupazione dipendono dai governi e dalla loro determinazione nel riformare le economie, liberare lo spirito imprenditoriale e innalzare il potenziale del singolo Paese e dell’eurozona intera».
Lei citava Draghi, siete in contatto?
«Certo, ci sentiamo continuamente, ci incontriamo al “Gruppo dei Trenta” di cui sono presidente e in molte occasioni. Le banche centrali sono un fondamentale baluardo di stabilità in un periodo di incertezze come l’attuale».
E la Fed, alzerà i tassi o no?
«La Fed ha lanciato l’avvertimento che prima o poi ci sarà un aumento ai mercati, che così si sono preparati, assuefatti all’idea. Nessun partecipante al mercato potrà dire di non essere stato avvertito in anticipo. Accadrà quando il board della banca americana riterrà congruo il mix fra crescita, disoccupazione, inflazione. Lo farà senza ascoltare nessuno, né il Fondo Monetario né alcuna delle istituzioni nazionali e internazionali che sono così prodighe di consigli in questo momento. Janet Yellen è particolarmente attenta al fattore disoccupazione».
A questo proposito, com’è possibile che il tasso in Europa sia il doppio di quello americano?
«E’ un grosso problema una disoccupazione così alta in Europa. La rigidità dei nostri mercati è responsabile per la maggior parte anche se non è semplice comparare i valori nei due continenti perché gli americani calcolano differentemente gli “scontenti”, quanti hanno rinunciato a trovare un posto.
E’ una delle poche divergenze rimaste fra le diverse aree sviluppate: sulle monete per esempio in America, Europa, Giappone e Regno Unito le banche centrali, le stesse quattro che emettono le valute che fanno parte dei diritti speciali di prelievo dell’Fmi, hanno ormai la stessa definizione di stabilità dei prezzi, intorno al 2%. E’ importante questa che viene definita “conceptual convergence”, specialmente in una fase delicata come l’attuale, perché introduce un elemento di stabilità a livello mondiale».
Eugenio Occorsio, la Repubblica 6/9/2015