Paolo Panerai, MilanoFinanza 29/8/2015, 29 agosto 2015
ORSI E TORI
La migliore notizia per il presidente Matteo Renzi e l’Italia in generale, dopo la doccia fredda dei posti di lavoro, viene dagli italiani che per salvarsi dal fisco (e non solo) hanno consistenti patrimoni all’estero. Già in 10 mila, ma la stima è che arriveranno presto a 100 mila, si sono attivati per riportare in Italia quei loro patrimoni con la cosiddetta voluntary disclosure, che comporta tassazioni molto onerose perché cumula le imposte non pagate in tutti gli anni di fuga all’estero. Per le esangui casse del fisco italiano saranno entrate straordinarie molto importanti, che potranno essere utilizzate in vari modi, dalla riduzione dell’indebitamento dello Stato all’alleggerimento della pressione fiscale, agli investimenti. Quindi un evento economico che può ridare il sorriso al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e allo stesso presidente del Consiglio. Ma se veramente gli italiani, le famiglie italiane, che decideranno di riportare a casa quanto avevano finora sottratto al fisco arriveranno a 100 mila, il valore del loro gesto di evasori pentiti sarà assai più importante dell’entità economica dell’incasso straordinario e del flusso di tassazione che su quei patrimoni avverrà, elevando la base delle entrate.
Il valore ancora più alto, specialmente nell’ottica del presidente Renzi ma appunto di anche di tutt’Italia, sarà dato dal segno di fiducia, ancorché pesantemente stimolata, verso il Paese; una fiducia implicita nel riportare a casa quei loro patrimoni. Naturalmente nella decisione c’è stata e c’è una componente non secondaria di paura e di difficoltà a tenere all’estero, soprattutto in Svizzera, quei soldi o quei beni imboscati da anni e in alcuni casi da precedenti generazioni. Infatti, la svolta per un così massiccio torna a casa Lassie, è stato il tradimento (è giusto chiamarlo così) che la Svizzera ha compiuto nei confronti di coloro che negli anni, non solo italiani, hanno fatto ricca la confederazione. E a determinare il tradimento, attraverso l’accordo con i vari governi stranieri di togliere il segreto bancario, è stato il Paese con la macchina del fisco più impietosa del mondo, quella degli Usa, che con giusta ferocia ha colpito le principali banche elvetiche con multe di miliardi per essere state complici dell’evasione di cittadini americani. Le banche e le autorità elvetiche hanno capito che si era aperta una crepa insanabile nel sistema e che era finita l’epoca dei guadagni facili, non solo per le laute fee di gestione ma anche per le angherie che le banche elvetiche hanno potuto effettuare sui conti cifrati, in virtù delle difficoltà di controllo dei titolari stranieri dei depositi.
Mai si era visto al mondo un Paese che nello spazio di pochissimi anni da complice degli evasori ha fatto il voltagabbana, trasformandosi in un vero e proprio gendarme a fianco degli altri Stati di appartenenza degli evasori. A Lugano, ma in tutta la Svizzera, e non solo per gli italiani, si raccontano scene incresciose e inimmaginabili dopo l’epoca dei salottini ovattati, con solerti cameriere che portavano caffè e cioccolatini, in attesa che si presentasse l’affettato banker per dare conto degli stentati risultati di gestione dei conti. Da alcuni mesi, chi si presentava in banca per ritirare in contanti i suoi soldi veniva trattato duramente e, per ottenerli, gli irrinunciabili esportatori di capitali, disposti a tutto pur di non rimpatriarli, hanno dovuto rivolgersi alla magistratura. Se fosse possibile considerare il gesto di esportare all’estero i propri patrimoni un atto difensivo dall’aggressività del fisco in patria, quei bistrattati evasori, veri benefattori della Svizzera, potrebbero rivolgersi al tribunale dei diritti dell’uomo per chiedere la condanna di molte banche e banchieri svizzeri.
Se coloro che riporteranno i loro averi in Italia potranno arrivare, secondo stime ragionate, a 100 mila, non si sa bene quanti potranno essere coloro che non si arrenderanno, proprio quelli che volevano e vogliono i loro soldi in contanti, per poterli trasportare nei pochi e scomodi paradisi fiscali che sopravvivono alla guerra innescata dagli Stati Uniti e a seguire dalla Ue. Si sa però che, paradosso dei paradossi, molti di loro hanno scelto come destinazione alternativa dei loro capitali proprio gli Usa e le grandi banche del Paese più finanziarizzato del mondo, per la semplice ragione che il fisco statunitense perseguita i cittadini americani evasori con ferocia ma è quasi tollerante nei confronti degli stranieri. Come del resto segue un’analoga filosofia l’Inghilterra, nonostante i suoi obblighi di membro, anche se a metà, della Ue.
Si sa invece, per stime accurate effettuate dai servizi segreti anche italiani poi confermate dalla Svizzera, qual è l’ammontare dei capitali italiani oltre Varese, come li chiamava un avvocato e professore universitario di straordinaria intelligenza e ironia come Mario Casella. La stima ultima di Bankitalia è di oltre 300 miliardi di euro, ma c’è chi arriva anche al doppio. In ogni caso un’entità enorme, quasi il 15% del debito pubblico italiano. A conferma di tutte le analisi secondo cui lo Stato italiano è superindebitato ma il popolo italiano è complessivamente forse il più ricco d’Europa, al punto che se si effettua un conteggio consolidato di debiti e capitali dello Stato e dei cittadini, come cercò di affermare il ministro Giulio Tremonti, la posizione finanziaria dell’Italia diventa migliore di quella della Germania e della Francia.
Se 100 mila saranno gli italiani che si assoggetteranno alla voluntary disclosure, quale sarà l’entità dei capitali o del patrimonio che tornerà a essere ufficialmente italiano? Difficile dirlo, perché potrebbe anche succedere che fra i 100 mila previsti alcuni facciano come avevano già fatto ai tempi degli scudi ipervantaggiosi (l’ultimo, lanciato dall’allora ministro Tremonti, comportava una tassazione secca del 5% per i capitali scudati) e cioè che facciano rientrare solo una parte del patrimonio, trasferendo il resto in altri Stati che non siano la Svizzera, appunto con preferenza per gli Stati Uniti, Singapore ecc., magari fondando una società di diritto statunitense. Per questi italiani è chiaro che non si è spostata di una virgola la fiducia nel Paese governato da Renzi e che, anzi, la loro sfiducia potrebbe essere salita. Gli analisti, tuttavia, sostengono che nel caso si tratta di una minoranza, anche se dotata di cospicui capitali.
Se si tiene conto che il costo degli scudi era veramente irrisorio e pertanto iniquo e che con l’ultimo scudo il gettito registrato fu di circa 4 miliardi di euro, con l’aliquota da pagare del 5%, vuol dire che fra il 2009 e il 2010 rientrarono circa 80 miliardi di euro. Ora la voluntary disclosure, per non apparire iniqua rispetto ai cittadini onesti che hanno pagato sempre le tasse, comporta un meccanismo molto più complesso e imposte, sanzioni e interessi che possono andare dal 5 fino al 90% dell’importo da far rientrare. I tecnici stimano che l’aliquota media sarà del 20%. Quindi un’operazione più costosa e più difficile, ma a spingere per il rientro c’è il tradimento della Svizzera e la difficoltà di gestire i capitali trasferiti in Paesi lontani e in alcuni casi di dubbia o molto dubbia affidabilità. Non è quindi azzardato prevedere che il rientro sia di un centinaio di miliardi o anche più. In questo caso il gettito, se è valida l’aliquota media del 20%, sarebbe veramente importante. Non i 3 miliardi messi in bilancio, prudenzialmente, dal governo Renzi ma ben 20 con i quali sarebbe possibile dare un forte impulso allo sviluppo, qualunque sia la scelta di come impiegarli, tenuto anche conto che la base imponibile crescerebbe di quei 100 miliardi rientrati e quindi anche il gettito anno per anno farebbe un salto, riducendo il perimetro dell’evasione.
Come mai il governo ha fatto una previsione di entrate così prudente? Per una ragione molto semplice: Renzi e il ministro Padoan sanno che sul tema del rientro dei capitali lo Stato, attraverso il governo Monti, è stato mendace. Lo Stato, sempre lo stesso, sia pure con il governo Berlusconi-Tremonti, aveva garantito agli aderenti allo scudo che su quei capitali rientrati non sarebbe stata applicata nessuna imposta o gravame specifico; solo le imposte ordinarie che devono pagare tutti i cittadini. L’aliquota per il rientro, il 5%, era certamente iniqua, ma lo Stato anche con un governo diverso non può diventare mendace verso i cittadini. La conseguenza è l’assoluta perdita di credibilità e di caduta della fiducia.
Invece di seguire questo elementare e costituzionale principiò di non retroattività, specialmente dopo una promessa così solenne come quella che era stata fatta nella legge che istituiva lo scudo del 2009, l’allora presidente del Consiglio, Mario Monti, cedette alla demagogia di Pier Luigi Bersani, allora segretario del Pd. E come è noto sui capitali scudati, dopo un acceso dibattito, sono stati imposti altri balzelli: l’1% secco il primo anno, il 2012, l’1,35% nel 2013, lo 0,4% dal 2014 in poi se si vuole tenere secretato il conto scudato, portando così l’aliquota dal 5 al 6 e poi al 6,35%.
Le aliquote aggiuntive non sono state certo scandalose, anzi, anche complessivamente, sono rimaste inique a fronte dei cittadini onesti, ma il danno è gravissimo proprio per quel rendere mendace e inaffidabile lo Stato. Le entrate aggiuntive sono state inevitabilmente modeste, ma Bersani le impose per demagogia, per poter dire al suo popolo che aveva imposto nuove tasse agli evasori di lunga data con capitali all’estero. Senza rendersi conto, il pacioso segretario che voleva smacchiare il giaguaro, cioè Silvio Berlusconi, che in questo modo faceva un danno irreparabile alla credibilità dello Stato.
Renzi e Padoan devono essere consapevoli di questa immagine che lo Stato ha di fronte agli evasori con capitali all’estero. Ma se agli evasori si propone un rientro con soluzione tombale, a prescindere da come è cambiato il governo, la credibilità dello Stato non può essere messa in discussione. Per questo il governo nel suo complesso, se vuole ottenere il massimo del rientro dei capitali oltre Varese di cui il Paese ha assoluto bisogno, dovrà impegnarsi nel costruire un sistema di garanzie non eliminabili da governi successivi. Operazione non facile perché il proverbio «fatta la legge trovato l’inganno» è stato messo in atto anche dallo Stato attraverso la scellerata decisione del duo Bersani-Monti.
La data di scadenza per presentare domanda di voluntary disclusure è il 30 settembre. Per questo nel mese di agosto molti studi di professionisti hanno lavorato alacremente e le domande presentate sono già 10 mila. Ma la storia dei condoni, anche se denominati con due parole inglesi eticamente corrette, indica che è sempre necessario riaprire i termini per prendere coloro che incerti fino alla fine si lasciano convincere dall’esempio di amici, conoscenti o professionisti. È quindi ragionevolmente sicuro che mentre il governo non dirà una parola di variazione della data di scadenza, passato il 30 settembre riaprirà. Anche perché, proprio per non replicare lo scudo iniquo, la voluntary disclosure è complessissima, come spiega anche l’articolo-guida all’interno di questo numero. I documenti da presentare sono moltissimi. Le categorie di aliquota sono una forchetta amplissima e naturalmente ognuno cerca di far applicare quella più vantaggiosa. I calcoli sono difficili. Molti documenti devono fornirli le banche che possono legittimamente obbiettare che essendo la legge entrata in vigore da molti mesi, l’esportatore di capitale poteva muoversi anche prima.
A parte queste problematiche operative che sicuramente saranno superate, il governo Renzi dovrebbe gestire questa importantissima operazione come anche un’occasione di riconciliazione fra lo Stato e i cittadini: sia quelli che si sentono discriminati perché hanno pagato sempre le tasse, sia quelli che ora si ravvedono anche se non proprio spontaneamente.
Per attuare questa riconciliazione Renzi parte da una buona base: il profondo convincimento, che esterna regolarmente, che gli italiani che pagano le tasse ne pagano troppe e che quindi la pressione fiscale deve essere abbassata. Perché questo avvenga non basterà l’innalzamento della base imponibile determinata dal rientro dei capitali; dovrà essere tagliato il debito pubblico; con questo taglio dovrà essere ridotto il costo del debito; dovrà essere tagliata la spesa pubblica improduttiva. Solo in questo modo si innescherà il processo virtuoso dello sviluppo che, generando maggiori entrate, consentirà di abbassare ulteriormente la pressione fiscale, togliendo qualsiasi giustificazione pretestuosa ai cittadini che hanno portato in passato i soldi all’estero per l’esosità del fisco, anche se una buona parte di quei capitali è fuggita all’estero con la motivazione del pericolo comunista. Ora neppure Berlusconi parla più di comunismo e comunisti. Gli eredi del Pci, in larghissima maggioranza, seguono Renzi, che tutto può essere considerato meno che comunista.
Signor Presidente Renzi, non sprechi l’occasione della voluntary disclosure, che come sa bene è la migliore occasione per una reale riconciliazione fra cittadini (anche quelli peggiori) e Stato.