Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  settembre 04 Venerdì calendario

LA “GUERRA DI RELIGIONE” DEL DEBITO

Il passato, la storia, la cultura, il credo. Il ministro dell’Economia francese, Emmanuel Macron, sostiene che in Europa, tra europei, è in corso “una guerra di religione” sulla questione del debito. Da una parte i calvinisti — dice — . Alcuni Stati che esigono che chi non ha rispettato gli impegni “paghi sino alla fine dei suoi giorni”. Dall’altra, i cattolici, al cui campo appartiene anche la Francia, che hanno fallito ma vanno in chiesa, si mondano dei loro peccati e “iniziano una nuova settimana”. Cinque secoli dopo la Riforma protestante, un ministro rilevante di un Paese molto rilevante dice che le differenze di opinione e i contrasti venuti alla luce con la crisi greca sono elementi profondi dell’articolazione politico-culturale europea. Martin Lutero, non Aristotele e Socrate, spiegano il disastro di Atene e di Bruxelles.
L’analisi non è particolarmente originale. Nuovo è il fatto che sia stata espressa — davanti a una audience tedesca — da un politico di un Paese come la Francia, uno dei fondatori della Ue e soprattutto uno dei due architravi del processo di integrazione, assieme all’altro grande protagonista dell’europeismo post-bellico, la Germania protestante. Macron ci sta dicendo che le differenze rese evidenti durante lo scontro sulla Grecia prima ancora che politiche, tra destra e sinistra, sono storico-culturali-religiose. Non lo dice uno storico. Lo dice un politico di primo piano, una delle stelle del governo che lavora all’ombra di François Hollande.

Tra cultura e politica Macron dice che dobbiamo trovare «un bilanciamento tra questi due approcci». Ed, effettivamente, senza un bilanciamento tra Francia e Germania, l’Unione europea non avrebbe mai potuto svilupparsi e creare livelli di integrazione dei mercati e delle regole di convivenza. Il problema è che le crisi, le grandi crisi, radicalizzano le visioni che ogni Paese ha di se stesso. Protestanti e cattolici hanno potuto, nei decenni dopo la seconda guerra mondiale, costruire un’Europa fondata sugli interessi, sull’economia, sulla libertà di mercato e di circolazione. Cose che non toccavano, in fondo, i rispettivi modi di intendere la vita e il come starci. La crisi esistenziale dell’euro — svoltasi su criteri di responsabilità, rispetto delle obbligazioni, solidarietà — ha fatto venire alla superficie le differenze profonde. Se l’analisi culturale diventa elemento politico — vedi Macron — l’Europa dovrà ripensare tutti i modi dello stare insieme. Un bene, alla fine: ma difficile.