Danilo Taino, Sette 4/9/ 2015, 4 settembre 2015
LA “GUERRA DI RELIGIONE” DEL DEBITO
Il passato, la storia, la cultura, il credo. Il ministro dell’Economia francese, Emmanuel Macron, sostiene che in Europa, tra europei, è in corso “una guerra di religione” sulla questione del debito. Da una parte i calvinisti — dice — . Alcuni Stati che esigono che chi non ha rispettato gli impegni “paghi sino alla fine dei suoi giorni”. Dall’altra, i cattolici, al cui campo appartiene anche la Francia, che hanno fallito ma vanno in chiesa, si mondano dei loro peccati e “iniziano una nuova settimana”. Cinque secoli dopo la Riforma protestante, un ministro rilevante di un Paese molto rilevante dice che le differenze di opinione e i contrasti venuti alla luce con la crisi greca sono elementi profondi dell’articolazione politico-culturale europea. Martin Lutero, non Aristotele e Socrate, spiegano il disastro di Atene e di Bruxelles.
L’analisi non è particolarmente originale. Nuovo è il fatto che sia stata espressa — davanti a una audience tedesca — da un politico di un Paese come la Francia, uno dei fondatori della Ue e soprattutto uno dei due architravi del processo di integrazione, assieme all’altro grande protagonista dell’europeismo post-bellico, la Germania protestante. Macron ci sta dicendo che le differenze rese evidenti durante lo scontro sulla Grecia prima ancora che politiche, tra destra e sinistra, sono storico-culturali-religiose. Non lo dice uno storico. Lo dice un politico di primo piano, una delle stelle del governo che lavora all’ombra di François Hollande.
Tra cultura e politica Macron dice che dobbiamo trovare «un bilanciamento tra questi due approcci». Ed, effettivamente, senza un bilanciamento tra Francia e Germania, l’Unione europea non avrebbe mai potuto svilupparsi e creare livelli di integrazione dei mercati e delle regole di convivenza. Il problema è che le crisi, le grandi crisi, radicalizzano le visioni che ogni Paese ha di se stesso. Protestanti e cattolici hanno potuto, nei decenni dopo la seconda guerra mondiale, costruire un’Europa fondata sugli interessi, sull’economia, sulla libertà di mercato e di circolazione. Cose che non toccavano, in fondo, i rispettivi modi di intendere la vita e il come starci. La crisi esistenziale dell’euro — svoltasi su criteri di responsabilità, rispetto delle obbligazioni, solidarietà — ha fatto venire alla superficie le differenze profonde. Se l’analisi culturale diventa elemento politico — vedi Macron — l’Europa dovrà ripensare tutti i modi dello stare insieme. Un bene, alla fine: ma difficile.