Filippo Facci, Libero 4/9/2015, 4 settembre 2015
CHE BARBARIE LA SCALA IN SANDALI E MAGLIETTA
La Scala ci vorrebbe un buttafuori, altroché, ci vorrebbe uno che scaraventi fuori dal Teatro certi mostri descamiciati e globalizzati di derivazione Expo: ma non solo, uno così servirebbe anche per certe “prime” decembrine in cui i vecchiacci si vestono come Fedez e le tiratissime dame s’infiocchettano come uova di Pasqua garzate e velate, fasti da meretricio d’alto bordo.
Ecco perché ha stra-ragione il collega Pierluigi Panza (Corriere della Sera) che mercoledì ha denunciato l’orrendo sciame che ha invaso il tempio di Piermarini coi suoi torpedoni di magliette, calzette, bottigliette, borraccette e schiscette: un carnevale di cellulari accesi, zainetti appesi alle statue, camicie texane e giacche formigoniane che ha cancellato la “giacca e cravatta” a cui la dicitura del biglietto teoricamente obbligherebbe. Ed ecco perché ha torto il sovrintendente Alexander Pereira, che pure si veste ogni volta come un pinguino - unica variante: con femmina o senza femmina - ma che ieri, sempre sul Corriere, ha cercato di sdrammatizzare dicendo che certe cose non sono importanti: un accidente, sono importanti eccome, lo sono perlomeno a Milano (Italia) e per favore non dica che «nel resto del mondo ci si veste come qui», perché non è vero, oppure Pereira non ci ha mai badato davvero: è pur sempre un austriaco che ha avuto esperienze in teatri tedeschi e svizzeri laddove il pubblico s’agghinda in maniera incolore e triste, sformato, da zia americana, le ragazzine con le scarpette e gli occhialetti da infelici, strette tra i genitori come ladre tra i gendarmi, le mogli con capigliature vaporose e gioielli da televendite, i mariti con l’appeal di certi vecchi professori di matematica: l’Italia è un’altra cosa, non ce la si può cavare indossando uno smoking ogni 7 dicembre come fa Pereira, imitato da tutti a Vienna e da nessuno in Italia. Sarà un caso.
Tutti i discorsi soliti - tipo: non bisogna far sentire la gente inadeguata, bisogna accorciare le distanze col mondo della classica, d’estate fa caldo, eccetera - non c’entrano niente col comprendere che La Scala non è lo stadio Meazza e che basterebbe una cavolo di giacca sobria e non chiassosa, persino i jeans, magari una maglia scura senza scritte (da 6 anni alla Prima io metto i jeans neri con fusciacca e giacca dello smoking) e quindi, insomma, comprendere che esistono milioni di combinazioni a metà strada tra la “giacca e cravatta” e gli amici di Pereira col sandalo e i crackers in mano. Quindi, insomma, vogliamo cogliere l’occasione offerta dal Corriere ed estenderla al mondanissimo pubblico delle Prime, e perché no, persino ai maestri e agli orchestrali spesso castigati in divise imbarazzanti. Non è che bisogna per forza modernizzare e sputtanare tutto: il 7 dicembre servirebbe dunque un corposo buttafuori che potrebbe accompagnare all’uscita - oltreché i ritardatari - certi artisti troppo originaloidi, certi creativi estetici che poi sono bovari del buon gusto, i filosofi con la camicia aperta, le soubrettes vestite da gianduiotti, l’esercito delle racchie sposate bene e vestite peggio. Poi c’è la buca dell’orchestra e dintorni: sobrietà e pacchianeria spesso convivono con vestiti neri e sbracciati che trasformano le ventenni in signorotte ed esaltano i rotolini di grasso delle più anziane, mentre le scarpe lucide degli uomini sembrano quelle (finte) che a Napoli indossano i morti. Noi non arriviamo ai vertici di Paolo Isotta, il musicologo ricchione (l’autodefinizione è sua, e ci tiene assai: «Io faccio tutte cose... ma nisciuno me può cchiammà gay. Io so’ ricchione») il quale, anni fa, si lamentò delle cantanti «indossanti gonne con spacco fino all’inguine, trucco da travestiti di circonvalazione esterna» dalle quali «partiva un olezzo marzolino di deodorante ascellare».
Noi non arriviamo neppure a biasimare che - la prosa è sempre di Isotta, sul Corriere, lustri orsono - i direttori d’orchestra indossino il frak «come un costume teatrale, da pagliaccio» o peggio «con gilet che si prolungano sullo scroto». Guai ai gilet che si prolungano sullo scroto, ma noi non pretendiamo tanto: basterebbe che - in barba a ogni Expo e globalizzazione - Milano tornasse a essere la capitale dell’eleganza. Da non confondersi (mai) con la capitale della moda.