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 2015  agosto 30 Domenica calendario

ÉLITE FIACCHE? SI FA LARGO L’INFLUENCER

Che cos’hanno in comune Yanis Varoufakis, Issa Rae, Josh Ostrovsky e Noah Smith? Fondamentalmente nulla. Non potrebbero essere più diversi fra loro e percorrono strade che non si incroceranno mai. O meglio, non potranno mai incrociarsi perché quei quattro percorrono la stessa strada.
Varoufakis è conosciuto per essere l’ex ministro delle Finanze di un Paese fallito, un cinquantaquattrenne economista di modesta fama accademica ma enorme fama assoluta, proprietario di una grossa moto sulla quale si è presentato a molti importanti negoziati. Issa Rae è una trentenne laureata di Stanford, cresciuta fra il Senegal e Windsor Hills (California del Sud), uno dei quartieri neri più benestanti degli Stati Uniti. Il terzo, il newyorkese Ostrovsky, 33 anni, è meglio noto come l’«Ebreo Grasso» e non ha mai finito l’università dopo averne cambiate tre. Smith è stato uno studente di dottorato dell’Università del Michigan, il cui curriculum di studi non è più lungo di tanti altri simili al suo. Al contrario.
Ecco perché questi quattro non hanno niente a che fare gli uni con gli altri. Eccetto che erano tutti situati in punti estremi della galassia, fino a quando non hanno attivato una forza che li ha rapidamente aspirati nell’orbita del sistema solare. A volte così vicino al sole da bruciarsi. Questa forza naturalmente si chiama World Wide Web, per la precisione quella parte della rete che è più adatta a influenzare le opinioni o i gusti altrui: il mondo dei blog, dei social network come Facebook, Twitter o Instagram, o della condivisione di video, ad esempio su YouTube. Questi mezzi hanno trasformato Varoufakis, Rae, Ostrovsky e Smith, già figure periferiche con poche leve nelle mani, in protagonisti nel mondo fuori dalla rete. È successo grazie al loro talento, ma soprattutto grazie al loro potente impatto sulla rete. Tutti e quattro sono stati proiettati dal successo registrato sui blog, su Twitter, Instagram o YouTube direttamente nell’élite del mondo di fuori. Oltre il (loro) giardino, direttamente nei circuiti tradizionali di ciò che di solito si definisce successo.
Varoufakis era partito con un blog, una sorta di diario su internet sul quale aggiornava i propri pensieri. Issa Rae ha iniziato a mettere i suoi sketch televisivi girati in soggiorno su YouTube e ha riscosso in tre anni 20 milioni di contatti, fino a quando una grande rete televisiva come Hbo le ha fatto un’offerta. Anche Noah Smith ha un blog la cui popolarità lo ha fatto diventare editorialista di «Bloomberg News» e una firma di prestigio per «The Atlantic», insomma una sorta di guru e intellettuale pubblico prima ancora di consegnare la tesi di dottorato. Quanto a Ostrovsky, mette su Instagram ogni giorno foto e battute umoristiche che hanno fatto di lui un milionario. Questi quattro non sono casi unici, ma segnalano un rimescolamento degli equilibri di potere e degli strumenti a disposizione per farsi cooptare nelle élite. In Italia non lo si è ancora visto, non così intensamente, ma è solo questione di tempo.

Il modo semplice ed economico con cui si usa un profilo di Facebook o Twitter, oppure un blog, in realtà doveva spostare gli equilibri nei Paesi degli altri. Non nei nostri. Così ci avevano spiegato. Doveva cambiarli nei sistemi a partito unico e nelle satrapie. In Tunisia o in Egitto nel 2011, Twitter o Facebook avevano reso di una facilità irrisoria per una generazione di giovani darsi appuntamento a una certa ora, in una certa piazza, senza che il governo potesse mettere bocca. I ragazzi manifestavano e poi facevano rimbalzare le immagini, rendendo impotenti la censura e la polizia. Persino in Cina, social network come WeChat o Weibo hanno fatto circolare notizie e immagini di disastri naturali e «incidenti di massa» o della recente esplosione del deposito chimico di Tianjin molto prima e meglio dei media ufficiali.
È logico che le dittature debbano subire. Internet abbatte le barriere all’ingresso nel mondo della comunicazione. La rende gratis per chi la produce e universale per chi la consuma, sbriciolando i monopoli della verità. Ma questa ormai è roba vecchia, lo sapevamo già. La domanda alla quale Varoufakis, Issa Rae, Ostrovsky e Noah Smith impongono di rispondere è un’altra: nel nostro mondo, quello che si considera libero, che effetto fa questo stesso abbattimento delle barriere all’ingresso? In passato anche qui per far conoscere agli altri il proprio pensiero o il proprio umorismo, insomma per influenzare, bisognava comprare una pagina di pubblicità su un quotidiano o direttamente comprarsi una rete televisiva. Oppure si doveva partire dal basso, dalla gavetta nei giornali di quartiere, dalle riunioni o dagli spettacoli nelle case del popolo di provincia, dalle scuole di partito o dagli esami all’università. E sperare di salire. Piano piano, passo passo. Fino a quando non eravate notati, presi sotto l’ala di un esponente di una qualche forma di élite e, sempre in modo guardingo, cooptati.
Ora la vicenda di Varoufakis segnala che i meccanismi cambiano. Pensiamoci un attimo. Questo era un oscuro economista che aveva passato la vita rimbalzando fra contratti precari in scomode università di seconda o terza fascia. Sydney in Australia, Austin in Texas. Non è iscritto a nessun partito ed erano tre anni che praticamente non si era fatto vedere in Grecia, prima dell’inverno scorso. Poi all’improvviso sbarca in prossimità delle ultime elezioni nel gennaio scorso, copre dieci giorni di campagna percorrendo il Paese in moto. E stravince: prende 135.638 preferenze, più del suo leader Alexis Tsipras e più di chiunque altro, benché gli avessero assegnato il distretto elettorale più difficile di Atene. È un’affermazione così schiacciante che Tsipras deve fare di Varoufakis il ministro delle Finanze del nuovo governo. L’ex professore a contratto di Austin varca la soglia dei vertici di Bruxelles, con tutte le conseguenze che sarebbero seguite.
Se è potuto succedere, è perché Varoufakis era già una celebrità grazie al suo blog sulla crisi finanziaria. Era partito il 13 novembre 2010 con un post di commento a un commento del «Financial Times» che aveva attratto zero commenti dei lettori e zero condivisioni su Facebook. Meno di un mese dopo però il blog sta già decollando, un articolo intitolato Tagliarsi il naso per far dispetto alla propria faccia raccoglie 63 condivisioni e da lì in poi sarà una progressione inarrestabile. Varoufakis sa coniare frasi che funzionano a meraviglia, se uno vuole farsi un’idea di una situazione complessa in pochi istanti. Il memorandum d’intesa fra Atene e Bruxelles è un «trattato di Versailles», i tagli di spesa « waterboarding », i negoziati «economia biblica dell’occhio per occhio, dente per dente». Al momento del voto Varoufakis ha più lettori di qualunque quotidiano greco e quando sul suo blog annuncerà le dimissioni da ministro, nel luglio scorso, le condivisioni saranno oltre 20 mila.

I detrattori ora penseranno che c’è stato un fallimento nella selezione nelle élite. Internet ha reso le barriere all’ingresso così basse che le probabilità di accesso anche per le persone inadatte salgono notevolmente (ammesso che prima accedessero solo persone adatte). «Comedy Central», il canale televisivo di sit-com della Viacom presente in decine di Paesi, Italia inclusa, ora penserà lo stesso dell’«Ebreo Grasso» Ostrovsky: le sue battute su Instagram hanno attratto talmente tanti follower , 5,7 milioni di contatti, che lui è diventato merce preziosa per i pubblicitari e «Comedy Central» lo ha messo sotto contratto per un importante show televisivo. Anche lui, portato dall’onda lunga della rete fino nel cuore del potere tradizionale. Solo che poi «Comedy Central» ha dovuto cancellare l’accordo non appena è emerso che Ostrovsky copiava da altri molte delle sue battute.
Questo non significa che chiunque emerga grazie al web non sia all’altezza. Noah Smith è un polemista di talento, che forse avrebbe avuto bisogno di decenni per emergere se non avesse avuto il suo blog. E Issa Rae è una grande commediografa di colore, oggi impegnata in una sorda lotta con le pesanti strutture di Hollywood per far loro assimilare i suoi contenuti innovativi.
Una lezione è forse che proprio la diffidenza del grande pubblico verso i canali controllati dalle vecchie élite, ovunque in Occidente, aumenta il magnetismo di chi cerca di imporsi con i nuovi strumenti. Varoufakis non avrebbe mai esercitato tanto fascino se in Grecia i media tradizionali fossero stati ritenuti più credibili. Quelli in teoria dovevano informare, lui cerca solo di influenzare. Ma questa, evidentemente, è proprio un’altra storia.