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 2015  settembre 03 Giovedì calendario

LA SUPERCAMPOLA

Ci eravamo appena riavuti dalla luttuosa costernazione per l’ennesimo – e per fortuna ultimo – rovescio di Johnny Riotta col suo memorabile 47 35 Parallelo Italia, ed ecco l’occhio cadere sulla “prima intervista da direttore generale della Rai” di Antonio Campo Dall’Orto. Il fatto che sia stata rilasciata a Claudio Cerasa, direttore del Foglio, non è casuale: nel titolo si scopre che CDO vuole “superare la dittatura degli ascolti” e, già che c’è, ha cominciato superando quella delle tirature. L’incipit è da urlo: “Avete presente Arrigo Sacchi?”. Ecco, in 466 righe di intervista questa è l’unica frase comprensibile di senso compiuto. Il resto è un tragicomico, ancorché encomiabile, sforzo del direttore Cerasa di tradurre in italiano le supercazzole di CDO, il quale a sua volta ce la mette tutta per capire qualcosa di quel che sta dicendo, purtroppo invano. Dicevamo di Sacchi. CDO lo usa per fargli dire che “una squadra che funziona è quella che mette insieme talento e organizzazione, ma senza organizzazione il talento rischia di non essere determinante”. Perbacco. “Ecco, vorrei partire da qui: dallo schema di gioco, dalla missione: dei nomi, dei talenti, che pure saranno decisivi, ci occuperemo più avanti”. Massì, tanto c’è tempo. “Prima di tutto il metodo senza il quale non si può capire come dovrà essere la formazione, l’undici titolare scelto dall’allenatore”. Tutto chiaro? Mica tanto, infatti CDO precisa: “Mi spiego meglio”. Solo che poi non lo fa: “Quando parlo di discontinuità per la Rai parlo di un concetto semplice”. È una parola: “Per non essere troppo astratto le faccio un esempio concreto”. Daje: “Vede quello schermo? Bene. La Rai, oggi, tende a identificare la sua missione solamente con quello schermo”, come se l’“unica finalità” fosse “quella di andare in onda su quello schermo”. In effetti, essendo un gruppo televisivo, lo scopo parrebbe proprio quello. Invece no, errore: “Dobbiamo trasformare la Rai da broadcast a media company”, con “un grande progetto di digitalizzazione culturale per permetterle di diventare un riferimento rispetto ai comportamenti e ai linguaggi contemporanei”. Ah ecco. “Provo a spiegarmi ancora meglio”. Ancora? Ma no, dai, è tutto così chiaro! Niente, CDO si spiega ancora meglio: “Io vorrei rovesciare il ragionamento, focalizzando ancor più l’attenzione al ruolo di editore pubblico che genera contenuto rilevante per poi valutare al meglio tutte le opportunità distributive”. Corbezzoli: un libro stampato.

“Le faccio un altro esempio”, ma così, ad abundantiam, perché s’è già capito abbastanza (e qui viene in mente El Porompompero di Cochi e Renato: “Un giorno mi fa: ‘Guarda che ti faccio un esempio’. Avanti, fammi l’esempio. ‘Guarda che ti faccio l’esempio eh!’. E fammi ‘sto esempio! Mi ha fatto l’esempio e mia moglie è rimasta incinta. Ahi!”). Vabbè, ecco l’esempio: “In tutto il mondo s’è capito che il linguaggio scritto della fiction televisiva è stato uno dei grandi elementi di vitalità creativa”. E come no. “Per essere chiari…”, ma no, scusa, più chiari di così è impossibile. Invece no: “Lei si rende conto che su 13 mila dipendenti in Rai non abbiamo una direzione che si occupi della distribuzione del prodotto digitale”. Non ce l’abbiamo, ma ce l’avremo. “Chiaro, ma è ancora poco”, interviene Cerasa sull’orlo dell’esaurimento: “Sulla sua lavagnetta, direttore, vediamo al momento alcune frecce che indicano una direzione, ma non ancora uno schema”. Ecco, ci mancava solo la lavagnetta. “Le offro qualche numero per capire meglio il contesto di riferimento su cui bisogna tararci e regolarci per il futuro”. Grazie, gentilissimo, così noi poi ci tariamo e ci regoliamo. Purtroppo i numeri non arrivano, però arriva “la priorità di trovare e sperimentare un nuovo tipo di linguaggio capace di essere al passo con i cambiamenti della società”, che comunque non è male per niente. “E quando provo a spiegare questo concetto, lo faccio mettendo in fila un po’ di dati”. Ecco, su, mettili in fila. Lui lo fa, tanto per dire che non basta “il linguaggio primario”. No che non basta, sarebbe troppo comodo: “Il compito vero oggi è quello di accompagnare le persone in un nuovo mondo provando non a diffondere un normale e ormai stra conosciuto alfabeto, ma provando semmai a anticipare una nuova forma di alfabetizzazione”. Oh, finalmente, questo sì che è parlare come si mangia. “Mi verrebbe da utilizzare una parole forse abusata ma che sintetizza bene quello a cui mi sto riferendo: pop”. Ecco, pop. “Serve un esempio, così ci capiamo”. Oddio, un altro: “Essere pop, dal mio punto di vista, vuol dire essere in sintonia con la contemporaneità”. Ecco che vuol dire pop: ce l’avevamo tutti sulla punta della lingua, meno male che c’è CDO a tirarcelo fuori. “La Rai deve entrare in una nuova ottica, più inclusiva… sperimentare un nuovo racconto popolare in cui non si ha paura di spiegare a chi guarda i nostri canali che i miti di un tempo non sono miti assoluti, ma vanno accostati a quelli più moderni”. Più moderni: molto pop, pure troppo, mi piace, mo’ me lo segno. “Rottamazione?”, azzarda il Cerasa con una punta di malizia sull’ascendenza renziana di CDO. “Userei parole diverse: penso più a una nuova visione, organizzazione e riorganizzazione. E forse la parola giusta anche qui credo sia un’altra: riattivare”. Fico: riattivare. Anche perché “efficienza significa emanciparsi dagli errori del passato”. Guai a ripeterli. E le nomine dei nuovi direttori? “Non c’è fretta, non avverranno troppo in là, ma ci saranno solo una volta messo a fuoco lo schema di gioco”. Bravo: né troppo in là né troppo in qua, prima lo schema. Intanto “là dove possibile inizieremo a sperimentare fin da subito”. È venuto il momento di “un primo esempio”, per tacer degli altri: “Il compleanno di Andrea Camilleri”. Una rotta con 90 candeline? Troppo banale: “Abbiamo pensato di celebrarlo con un piccolo omaggio cambiando la punteggiatura di tutti i nostri canali nel giorno del suo compleanno, il 6 settembre”. Questa sì che è un’ideona: le virgole diventano due punti, i punti diventano punti e virgola, i punti e virgola diventano virgole, per gli esclamativi e gli interrogativi ognuno fa un po’ come cazzo gli pare. E i talk show? “La parola chiave anche qui, per me, è sperimentare e provare a capire come possono essere degli strumenti utili per caratterizzare l’identità di ogni singola rete”. Giusto: caratterizzare l’identità. “Nella mia idea di Rai il compito del talk show non deve essere quello che esiste, giustamente, nella tv commerciale – tu mi guardi e io scambio teste con la pubblicità – ma deve essere quello di lasciare un pensiero in più a coloro che lo hanno visto”. Un pensiero in più, magnifico. “Un talk show che funziona non è sempre quello che supera come ascolti la concorrenza, ma è sempre un talk show che lascia qualcosa in più a chi lo sta guardando, che ne mette in dubbio il punto di vista”. Bello: niente ascolti, ma qualcosa in più da lasciare. “Poche persone che parlano, molti punti di vista differenti, molte conversazioni a due anche con il solo conduttore. Con un unico fil rouge: quello di fare informazione”. Cavolo, nessuno ci aveva ancora pensato. Però senza “indignare o eccitare”, questo no: “imparare qualcosa in più”, ecco. “Se la mia missione ha un senso, e credo ce l’abbia (se lo dice lui, dev’essere vero, ndr), posso dire che il senso è questo: provare a far affiancare la nave della Rai a quella della nostra società”. Questa, diciamolo, è da standing ovation, anche se CDO sta ancora cercando di capire che diavolo voleva dire (e non vi dico Cerasa). Ma attenzione, la concorrenza è avvertita: “Il fine ultimo è l’alfabetizzazione digitale e culturale del nostro paese, non più il solo dato degli ascolti”. Un’equa ripartizione dei compiti: la Rai alfabetizza digitalmente e culturalmente, e Mediaset incassa. Apposta hanno scelto CDO, che a La7 non superava l’1% di share e perdeva 150 milioni l’anno. E per questo Johnny Riotta da ieri è un po’ meno depresso: se gli ascolti nella nuova Rai sono un peccato mortale, lui è perfetto.