Alessandra Nucci, ItaliaOggi 1/9/2015, 1 settembre 2015
L’UNGHERIA, VICINA AL FALLIMENTO SETTE ANNI FA, ORA È IL PAESE DELL’EST EUROPA CHE CRESCE DI PIÙ
L’Ungheria, sotto i riflettori del mondo per il reticolato anti-migranti eretto lungo i confini nazionali, si merita i titoli di giornale anche per il fenomenale recupero economico degli ultimi anni. A quattro anni di distanza dall’inizio della Orbanomics (come viene soprannominato il particolare stile di conduzione dell’economia da parte del primo ministro Viktor Orbàn), i dati sono questi: il debito pubblico è sceso al 76,9% del pil, con previsione di un’ulteriore diminuzione quest’anno (75%) e nel 2016 (73,5%).
La crescita economica è in linea con le previsioni del Fondo monetario internazionale (+2,7%). La disoccupazione è crollata dall’11,2% del 2010 al 7,4% di quest’anno, con la previsione (della Commissione europea) di un ulteriore diminuzione l’anno prossimo al 6%. In questo ambito è vistosa la diminuzione della disoccupazione giovanile, passata dal 26,4% del 2010 al 19,1% di quest’anno.
L’anno di riferimento per i raffronti è il 2010 perché è nel 2011 che il governo ha avviato le riforme, subito stoppate dalla Commissione Ue per via della nuova legge sulle nomine nella Banca nazionale magiara, dei provvedimenti giudicati discriminatori a favore delle aziende nazionali, della nuova Costituzione, accusata di calpestare i valori europei, e per altri motivi ancora. Da allora il numero di occupati in Ungheria è passato da 3.732.400 unità a 4.117.200, l’inflazione è crollata dal 4,9% allo 0,2%, l’import-export è aumentato di quasi il 19% e lo stipendio medio netto è aumentato del 17,43%. Nel 2014 la produzione industriale ha segnato un +7,6% e nel primo quadrimestre di questo anno un +11,8%.
Nel 2013 il paese ha potuto estinguere il debito contratto con il Fmi nel 2008, quando era sull’orlo della bancarotta. Per sottolineare la raggiunta indipendenza, il ministro dell’economia György Matolcsy ha invitato senza giri di parole il Fondo monetario a chiudere il suo ufficio a Budapest e a levarsi di torno. Di fronte a questi dati di tutto rispetto, nel marzo scorso l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha portato i titoli ungheresi allo status di BB+, stabile, ma sempre un livello al di sotto dell’investment grade, adducendo i rischi dovuti al debito pubblico, che sarebbe il più alto dei paesi dell’Est Europa, e l’imprevedibilità del governo.
Ma il dinamismo economico dell’Ungheria non si legge solo nei dati ufficiali, tutti convergenti: si rileva anche dalla varietà delle attività messe in campo. Il governo va acquistando banche (per esempio, la filiale ungherese Mkb dalla tedesca Bayern), le imprese si ramificano in Europa (con l’acquisto, da parte dell’azienda petrolifera ungherese Mol, di tutta l’attività di refining & marketing dell’Eni nella Repubblica Ceca, in Slovacchia e in Romania, nonché di tutti i distributori Eni nella Repubblica Ceca e in Slovacchia), la Banca centrale compra palazzi e quadri antichi (pochi mesi fa ha fatto notizia l’acquisto di un Tiziano).
«Per quanto riguarda gli equivoci con certi enti internazionali, sembra che le la situazione sia un po’ più calma su ogni fronte», dice László Dávid Galàntal, addetto stampa all’Ambasciata d’Ungheria in Italia. «Le critiche sulla Costituzione, la legge sui media e altre leggi spesso definite controverse dalla stampa internazionale, in mancanza di argomenti legali, si sono infatti acquietate negli ultimi anni, particolarmente dopo la decisione nel 2013 dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa di non lanciare una procedura di monitoraggio contro l’Ungheria».
Alessandra Nucci, ItaliaOggi 1/9/2015