Roberto Casati, Il Sole 24 Ore 30/8/2015, 30 agosto 2015
NON BASTANO 500 PAROLE
Provatevi a esprimere l’idea contenuta in una frase assai semplice come: «Vorrei frullare questo mango», senza usare le parole «frullare» e «mango». Provateci davvero. (Dieci secondi di pausa... fatto?) O provate a dire con parole vostre quello che sta scritto qui: «L’orario dei treni è inaffidabile», o ancora, in un vertiginoso crescendo, «L’inflazione erode le pensioni». Ripeto, provateci davvero. Magari mettete per iscritto quello che siete riusciti a scovare. (Ci ho provato anch’io: per esempio, ho scritto «riduci in poltiglia il frutto tropicale giallo».)
Perché questo piccolo esperimento? Si pensa che parlar forbito sia un lusso; una cosa da intellettuali, o da perditempo: alla ricerca del vocabolo cesellato, del sinonimo inusitato, o peggio dell’effetto azzeccagarbugli. Parlassimo tutti come mangiamo, faremmo meno fatica a capirci e ad esprimerci. Ma è vero?
Chi comincia ad andar per mare si trova ben presto a fronteggiare un’aspra china linguistica. La barca è un rigurgito lessicale: si deve imparare a riconoscere e nominare lo strallo, la cima e la cimetta, la scotta e la drizza, la draglia e la sartia e persino il paterazzo e l’amantiglio; sembra che un professore in pensione si sia sbizzarrito a cercare termini astrusi per cose che alla fine della fiera altro non sono che corde – e guarda caso non si parla mai di corda in barca, come nella casa dell’impiccato. A un marinaio esperto la ragione di questa esplosione del dizionario è più che ovvia: in una situazione delicata – poco tempo, mare ostile, spazi ristretti, e rumore del vento nelle orecchie – le manovre vanno eseguite in un attimo e comandate ancor più in fretta; un’ambiguità potrebbe essere causa di incidenti spiacevoli se non fatali; chiedere «molla quella corda» non è sufficiente (quale corda, capitano?), e una perifrasi come «molla la corda che serve a rendere più tesa la vela davanti» non è efficiente, prende tempo, permette al rumore di installarsi nel canale di comunicazione. «Allasca la scotta del fiocco» dice con precisione la stessa cosa in meno di metà delle parole, e se proprio uno vuole può usare il capitale di tempo rimasto per ripetere il comando, a scanso di equivoci. È peraltro un peccato che «babordo» e «tribordo» tendano a scomparire per far posto a «destra» e «sinistra»: di quale sinistra stiamo parlando? La mia, la tua, quella della barca?
Quando ho difeso la lettura dei libri come veicolo di arricchimento lessicale, ho citato delle ricerche che indicano come gli scolari che leggono molto possono avere un lessico significativamente più ricco di quello degli scolari che leggono poco; i libri fanno la differenza perché contengono parole che non si ritrovano spesso nella conversazione quotidiana – a tavola, o tra i compagni di gioco. Puntualmente è arrivata la domanda disarmante dal pubblico: ma perché mai arricchire il lessico, se tanto nella conversazione quotidiana non siamo in barca, si può fare a meno di tutti quei paroloni, e «bastano cinquecento vocaboli?»
Ci sono molte risposte alla domanda disarmante. Invocare la bella qualità della lingua forbita ed elegante par cosa d’altri tempi? Potete andare giù duro. Un insegnante della periferia parigina, citato da «Le Monde» dopo gli eventi di Charlie, ha detto: «Abbiamo nella nostra media inferiore un contingente di scolari che lotta con 500 parole. Su di loro, tutto scivola via. Sono incapaci di astrazione e si costruiscono un mondo semplice e manicheo». D’accordo. Ma se volete perorare la causa lessicale non avete bisogno di scomodare la paura del fondamentalismo, vi basta fare due conti – seguendo una logica economicistica che piacerà a politici e imprenditori: un buon lessico ti fa risparmiare.
Benedetto Vertecchi, che ha analizzato il corpus linguistico nei documenti degli studenti intorno ai 14 anni di età dal 1966 al 2006, sostiene che nel corso del tempo si nota un’evoluzione netta: a minor lessico, testi più lunghi. Se nel 1966 i testi erano di cento parole, nel 2006, a parità di contenuto, ne contavano centoventi. Se non hai le parole per dirlo, devi inventarti una perifrasi. Il lessico povero ti fa assomigliare a chi non parla una lingua straniera e si trova costretto a fare dei giri di parole. Ti tocca di usare quello che hai. E dato la perifrasi va generata sul momento, fai molta più fatica. È come se dovessi utilizzare un cacciavite come martello; magari alla fine il chiodo lo pianti, ma a che prezzo?
La risposta migliore è dunque che disporre di buon lessico non è un lusso. Al contrario! Offre un modo vantaggioso ed economico di esprimersi, risparmiando sulle inevitabili e costose perifrasi cui deve dedicarsi chi un buon lessico non ha. Come abbiamo visto, non c’è bisogno di scomodare il vocabolario tecnico o accademico. «Frullare» è una parola, «ridurre in poltiglia» ne contiene tre; e se non sai che cos’è la poltiglia?
Roberto Casati, Il Sole 24 Ore 30/8/2015