Antonella Scott, Il Sole 24 Ore 30/8/2015, 30 agosto 2015
PUTIN INCIAMPA SULLA STRADA PER PECHINO
Il 3 settembre, Vladimir Putin ricambierà il favore: se i leader occidentali diserteranno la grande parata militare che la settimana prossima ricorderà il 70° anniversario della vittoria sul Giappone, il presidente russo ci sarà, al fianco di Xi Jinping. Così come Xi non ha mancato di rendere omaggio alle celebrazioni russe in maggio, sulla Piazza Rossa, unico tra i grandi leader mondiali.
Russia e Cina si cercano. Sempre di più, ultimamente, sempre più guidate da un progetto politico che prende forma di accordi economici. Mosca e Pechino sono unite da interessi strategici – non si manca di far notare – non da simpatia o affinità ideologiche, dopo lo strappo dell’era di Mao e Brezhnev. Perché l’ombra di quei 4.300 chilometri di frontiera comune, e delle cannonate sparate tra l’Amur e l’Ussuri nel 1969, ancora incombe.
Quel confine però ora sarà attraversato da gasdotti. Mosca punta sull’Asia per marcare il distacco dall’Occidente e dalle sue sanzioni. Ha bisogno di fonti di finanziamento alternative, e di nuovi clienti per il proprio gas. E la Cina ha bisogno di materie prime. Scambio già complicato, negli anni scorsi, dalla diffidenza reciproca e dall’incapacità di accordarsi sul prezzo. Ma ora che la domanda cinese rallenta, i russi rischiano di trovarsi ancora più soli. In realtà, per Mosca i sussulti dei mercati cinesi sarebbero solo l’ultima delle preoccupazioni.
EMBARGO E FALÒ
Se nel secondo trimestre la recessione si è aggravata – una contrazione del 4,6% – e si allontana quel ritorno alla crescita ipotizzato dal governo per la fine del 2015, il responsabile principale è ancora il calo dei prezzi del petrolio, perno delle esportazioni russe, che va a infierire su un’economia provata ormai da più di un anno di sanzioni internazionali. Un clima deteriorato al punto che adesso Mosca brucia al confine i carichi di generi alimentari americani o europei che, sfidando l’embargo in vigore dall’agosto 2014, cercano di entrare illegalmente nel Paese. Alla lista dei prodotti proibiti ora si sono aggiunti anche saponi e detersivi.
Aleksej Uljukajev, ministro russo dell’Economia, cerca di fare buon viso a cattivo gioco. Il sistema finanziario russo, ha detto giorni fa, è in grado di sostenere il calo dei prezzi del petrolio fino a 40 dollari il barile. Uno scenario che il ministero di Uljukajev prende in considerazione, pur considerandolo poco probabile. E malgrado la discesa del Brent verso quota 40, nei giorni scorsi, abbia rimesso in allarme il rublo, ora che il petrolio è risalito oltre i 50 dollari il rublo, immancabilmente, si è ripreso con lui. Uljukajev, così, considera eccessiva l’idea di obbligare i grandi esportatori russi di energia a convertire in rubli i propri guadagni in valuta, per sostenere la moneta nazionale.
Eppure nell’ultimo mese soltanto il rublo è tornato a perdere il 20% del proprio valore: e sembrava di rivedere i fantasmi di quella notte del 16 dicembre, quando il rublo oltre quota 80 sul dollaro spinse la Banca centrale di Elvira Nabiullina a proiettare i tassi di interesse, in un colpo solo, dal 10,5 al 17%. Nei mesi scorsi la speranza di un ritorno alla normalità ha portato Bank Rossii ad allentare cinque volte il costo del denaro, e oggi i tassi di riferimento sono all’11 per cento. A raffreddare la speranza di ulteriori tagli ci pensa l’inflazione che – a causa della debolezza del rublo, malgrado la debolezza della domanda interna – ha rialzato la testa e supera il 15% annuo.
«WHATEVER IT TAKES» ALLA RUSSA
E poiché non si vede la fine dell’era delle sanzioni, che chiudono alle imprese e alle banche russe le porte dei mercati del capitale americani ed europei, all’orizzonte della corporate Russia incombono le scadenze di debiti con l’estero impossibili da riscadenziare. Nei prossimi mesi gli impegni ammontano a 61 miliardi di dollari, cifra che la Banca centrale ha promesso di contribuire a fronteggiare. Ma anche se le riserve in valuta di Mosca sono un cuscinetto importante, per far fronte alla situazione il governo sta mettendo mano alle riserve dei fondi sovrani. Per quanto tempo sarà sostenibile questo “whatever it takes” alla russa? Il confronto politico sull’Ucraina da cui sono nate le sanzioni potrebbe incombere sul destino dei russi, degli ucraini e degli altri Paesi coinvolti anche più a lungo di una crisi economica.
Così, in un clima che scoraggia gli investimenti, e con il potere d’acquisto dei russi in calo insieme al rublo, all’inflazione e agli stipendi, lo stesso Uljukajev ha ammesso che per quest’anno l’economia subirà una frenata più grave di quanto ipotizzato nei mesi scorsi: -3,3%, a fronte di un precedente -2,8 per cento. Ora siamo più in linea con le stime del Fondo monetario internazionale: l’ottimismo del ministro sta nel ritenere che la Russia così abbia toccato il fondo, pur rimanendo estremamente fragile. «Non penso che scenderemo ancora, però è difficile dire se raggiungeremo una crescita significativa», ha riconosciuto Uljukajev.
Le sue previsioni per il 2016 sono comunque di un ritorno in positivo, +2 per cento. Ma con tutto il parlare che si fa di diversificazione e modernizzazione dell’economia, alla fine dei conti la Russia sembra trovarsi eternamente allo stesso punto: il futuro del rublo, e il suo, è nelle mani dei prezzi globali del petrolio.
E per ironia della sorte, ora che il rallentamento cinese si aggiunge agli ostacoli sulla strada della ripresa, il campo in cui andrà a incidere è soprattutto quello dell’energia. La volatilità del rublo spaventa una Cina meno vivace e molto più cauta, proprio quando Mosca avrebbe più bisogno di lei. Alcuni progetti si ridimensionano, altri vengono abbandonati: secondo l’agenzia Reuters, le due crisi congiunte Cina/Russia porteranno a rinviare o cancellare programmi per un valore di 113 miliardi. Giganti come Gazprom, o Rosneft, costretti a rivedere i propri piani, ad aspettare. E non soltanto loro: giovedì prossimo Putin sarà in Piazza Tienanmen, a rimarcare la svolta verso l’Asia. Ma di affari, e di soldi, non si parlerà.
Antonella Scott, Il Sole 24 Ore 30/8/2015