Marco Bresolin, La Stampa 30/8/2015, 30 agosto 2015
LA DONNA CHE VOLLE ESSERE MOGLIE E MADRE DI UN RE
Quel pomeriggio, durante le registrazioni nello Studio One di Kingston, dal seno di Rita uscì qualche goccia di latte. Lei, con l’imbarazzo di una ragazza madre che fino a quel momento aveva custodito una figlia in gran segreto, cercò di coprirsi. Bob se ne accorse. Incuriosito, le chiese: «Hai un figlio? Perché non ce l’hai detto?». Lo fece in modo dolce, senza puntare il dito. E Rita si sciolse in un sorriso.
Così è nato l’amore tra Robert Nesta Marley e Alpharita Costancia Anderson, per tutti Rita. Lui, chitarrista dei Wailers e futuro profeta del reggae, dietro quei seni della giovane corista delle Soulettes aveva visto una madre. La sua era andata a vivere lontano, negli Usa. Una delle sue prime canzoni si intitolava proprio Where Is My Mother. Prima ancora di una moglie, Bob aveva bisogno di una figura materna. Con Rita le aveva trovate entrambe: «Ero più di una sposa, per lui sono diventata come una madre». Un complesso di Edipo al rovescio.
RAGAZZI SENZA GENITORI
Diciotto anni lei, diciannove lui. Entrambi lontani dai genitori: il padre di Bob, un ufficiale della Marina inglese, aveva abbandonato la madre, Cedella, prima del parto. Troppo scandaloso avere una relazione con una nera. Una storia che accenderà il sentimento anticolonialista di Marley, segnato dalla fastidiosa etichetta di «mezzosangue».
Rita era nata a Santiago di Cuba e a Kingston viveva con la severissima zia Viola. I genitori erano all’estero. Lei, infermiera che sognava di diventare una cantante ska, si era ritrovata a crescere una figlia senza un marito. Fino a quando è arrivato Bob, che l’ha sposata (nel 1966) e ha adottato la piccola Sharon, facendola diventare a tutti gli effetti una Marley.
Rita era il suo punto fermo, «il suo angelo custode» come dirà lei. Unica sposa tra centinaia di amanti. Lei a casa, a badare ai figli. Lui su e giù da un palco per far conoscere al mondo la leggerezza della musica in levare. Su e giù da un letto per condividere emozioni e figli con le sue donne. «Piaceva perché era schivo», diranno. Rita ha sopportato tutto: «Molte delle ragazze erano solo conquiste di una sera. La nostra musica e la nostra missione erano molto più importanti».
Ecco perché si è presa cura e ha cresciuto alcuni dei figli avuti da Marley fuori dal matrimonio. Undici quelli che ha riconosciuto, concepiti con nove donne. Rita gli ha regalato Cedella, Ziggy (il più somigliante a papà) e Stephen. Ma lui ha sempre tenuto nascosto quell’unione. La presentava così: «Lei è Rita Marley, mia sorella».
La storia con Cindy Breakspeare, Miss Mondo 1976, è andata avanti per sei anni senza che lei sapesse del matrimonio. Alla modella, l’amore più grande, ha dedicato una delle sue canzoni più romantiche, Turn Your Lights Down Low. Dalla passione che li univa nel 1978 è arrivato Damian. Erano già nati Imani, Rohan, Robbie, Karen, Julian e Ky-Many. Tutti da madri diverse. Non ha fatto invece in tempo a conoscere Makeda Jashnesta, nata dopo la sua morte: il via libera al riconoscimento lo ha dato Rita.
MOMENTI DI GLORIA
Per la moglie non sono mancati i momenti di gloria. A lei è dedicata la piccantissima Stir It Up («Attizzalo»), che ebbe successo nella versione di Johnny Nash, contenuta in Catch a Fire, l’album che ha segnato la consacrazione dei Wailers lontano dalla Giamaica. Successo planetario e inevitabili tensioni. Nel 1974 Peter Tosh e Bunny Livingston lasciano il gruppo. Ad accompagnare Bob arrivano le I-Threes: Judy Mowatt, Marcia Griffiths e lei, Rita Marley.
Nel primo album con la nuova formazione, Natty Dread, spicca No Woman No Cry, la canzone simbolo del reggae (ma la versione più nota è quella dello storico live al Lyceum di Londra). Rita sostiene di essere lei la donna che Bob invita a non piangere nel ghetto di Trenchtown. Non ci sono conferme, ma di quel pezzo Rita ha un ricordo indelebile. Durante un concerto, tra una strofa e l’altra, «Tuff Gong» (questo il soprannome del cantante) le si avvicinò e le fece una coccola. Non era mai successo in pubblico.
Un po’ di marijuana e qualche partita a calcio per trovare l’ispirazione: nelle canzoni di Marley si mischiano amore, lotte sociali (Get Up Stand Up è l’inno alla ribellione per eccellenza), ma anche fede. Il passaggio dall’allegro ska, «musica per ballare e bere birra», al più mistico reggae è arrivato con la conversione alla religione rastafari. Anche in questo cammino Rita l’ha seguito. Ed era al suo fianco il 3 dicembre 1976, quando a Kingston furono vittime di un attentato. Lei fu colpita alla testa, lui al petto. Lo ha accompagnato passo passo nella malattia che ha portato il profeta del reggae a chiudere per sempre gli occhi l’11 maggio del 1981, divorato dal cancro. Non prima di aver detto alla sua sposa: «Non piangere, Rita. Devi cantare, canta!». E lei, oggi 69enne, non ha mai più smesso.
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Marco Bresolin, La Stampa 30/8/2015