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 2015  agosto 30 Domenica calendario

“RATE PIÙ LUNGHE E TASSI BASSI PER IL DEBITO DELLA GRECIA”

[Intervista a Carlo Cottarelli] –
Dottor Cottarelli, l’istituto di statistica greco ha rivisto ancora al rialzo le stime di crescita. Dice che fra aprile e giugno la Grecia ha segnato +0,9 per cento. Su base annua significa un prodotto interno lordo a +1,6 per cento! Possibile?
«Non ho motivo di pensare che le cose siano andate male, né che abbiano truccato i conti. La caduta dell’economia era stata drammatica. In ogni barile c’è un punto oltre il quale puoi solo risalire...».
Fra meno di un mese in Grecia si vota, e le incognite sono ancora molte. Il debito, ad esempio: il Fondo monetario internazionale ha detto che senza ristrutturazione non parteciperà al programma di salvataggio. Dunque?
«Il Fondo non ha escluso la possibilità di tornare a fare prestiti alla Grecia. Occorre attendere la prima revisione del programma con l’Europa, che avverrà fra due o tre mesi».
E a quel punto? Il debito greco sarà ancora insostenibile.
«Il Fondo ha detto che la sostenibilità del debito può essere raggiunta in molti modi. Con un taglio, il cosiddetto “haircut”, ma anche attraverso sussidi europei, o con un allungamento delle scadenze e un abbassamento dei tassi di interesse».
Anche con un allungamento delle scadenze? Dunque per il Fondo non è necessario il taglio vero e proprio del debito. È così?
«Sta scritto nero su bianco nei documenti del Fmi».
Passiamo all’Italia: che ne pensa del lavoro fatto finora dai nuovi commissari alla spesa Gutgeld e Perotti?
«Mi pare stiano procedendo bene. Stanno considerando un insieme di ipotesi che tengono conto anche del mio lavoro».
Le sembra plausibile risparmiare in un solo anno tre miliardi e mezzo di euro in acquisti di beni e servizi della pubblica amministrazione?
«Se l’ipotesi è questa, mi sembra praticabile».
Ci avete raccontato che le centrali di acquisto scenderanno da più di trentamila a 34. Ma è davvero possibile? Si può impedire ad un Comune di fare qualunque spesa in autonomia?
«Non si tratta di impedire ogni acquisto, si tratta di accentrare gli acquisti al di là di una certa dimensione. Ogni anno un decreto del presidente del Consiglio stabilirà la soglia oltre la quale gli acquisti dovranno essere fatti da uno dei 34 centri di acquisto più grandi, meno di due per Regione. Si può iniziare da alcuni beni, e allargare gradualmente la copertura».
Fino a dove?
«Una soglia massima di duecentomila euro per gli acquisti fuori delle grandi centrali sarebbe un buon risultato».
Secondo lei è sostenibile una manovra finanziata con maggior deficit per più della metà del suo ammontare?
«Dipende dall’obiettivo di deficit, e da quanta flessibilità si riesce a ottenere dall’Europa. In ogni caso la quota finanziata da tagli alla spesa deve essere prevalente perché l’azione di riduzione delle tasse sia credibile».
Il governo sembra intenzionato a proporre a Bruxelles nel 2016 un deficit tendenziale del 2,5 per cento, ovvero un decimale in meno di quest’anno.
«Non posso entrare nel dettaglio dei numeri, in ogni caso quel che conta è che il deficit continui a scendere, visto il livello del debito italiano».
Non ha la sensazione per cui siamo passati dalla moda dell’austerity a quella della spesa in deficit? Non è rischioso?
«In economia le mode sono molto pericolose. L’Italia, che ha sempre un debito molto alto, deve essere particolarmente attenta a quel che fa».
Se il deficit viene fatto per tagliare le tasse non è un deficit un po’ meno pericoloso?
«In tanti hanno provato a ridurre le tasse senza ridurre le spese. Ma in questi casi gli investitori non credono alla possibilità che quella riduzione fiscale sia permanente, soprattutto se il debito pubblico è elevato. Risultato: prima o poi la pressione fiscale risale».
Sta pensando all’esperienza di Berlusconi?
«C’è un’ampia casistica in giro per il mondo».
La crisi cinese deve preoccuparci?
«Le ultime stime del Fondo pubblicate il mese scorso dicono che l’economia cinese quest’anno crescerà del 6,8 per cento. Non sono i ritmi di qualche anno fa, ma è pur vero che quella decelerazione è dovuta all’aumento delle dimensioni dell’economia».
Ovvero?
«Da tempo l’economia cinese cresce, in termini assoluti, di 4,2-4,3 trilioni di yuan ogni anno. Questo lo si deve al fatto che 12-13 milioni di contadini si spostano dalle campagne alle città. Se il flusso migratorio resta costante, l’aumento del prodotto resta costante in termini assoluti, ma si riduce in termini percentuali».
Insomma, se le premesse sono queste non ci sarebbe di cui preoccuparsi. E il calo degli investimenti pubblici?
«Un calo dopo tanti anni è del tutto fisiologico».
E la svalutazione dello yuan? Non peserà sul nostro export?
«La svalutazione mi ha sorpreso, e potrebbe avere qualche ripercussione sull’export tedesco e italiano. Però occorre valutare anche gli effetti positivi sulla crescita cinese. La cosa che personalmente mi preoccupa è un’altra».
Ovvero?
«La scarsa trasparenza sui numeri. Per esempio, non è chiara quale sia la vera posizione dei loro conti pubblici, né quelli dello Stato, né delle province. E forse non lo sanno neppure le autorità cinesi».
Il crollo delle Borse non è la dimostrazione di questa incertezza?
«I listini cinesi erano cresciuti parecchio. Ma è vero che la scarsa trasparenza alimenta l’incertezza».
Twitter @alexbarbera
Alessandro Barbera, La Stampa 30/8/2015