Mattia Feltri, La Stampa 30/8/2015, 30 agosto 2015
MA A ME ANGOSCIANO DI PIÙ LE PARTENZE
È venerdì, sono le tre meno un quarto del mattino: cominciano le vacanze. Sono alla finestra della cucina e fumo. Non ho dormito. Sono rimasto due o tre ore a letto inseguito da prospettive cinematografiche, grandi ali annunciate da rombi paurosi, schianti infuocati, roba così.
Lo so, sono pazzo. Lo sanno tutti. In questi momenti immagino anche le home page dei siti fra qualche ora: scomparso un aereo nel mar Egeo con duecento persone a bordo, tremendo schianto al decollo e nessun superstite, incredibile collisione nei cieli di Puglia.
Un’altra delle fantasie psicopatiche che mi perseguitano alla vigilia di un decollo, proprio come adesso, mentre osservo il fumo della sigaretta nella luce dell’illuminazione pubblica, ha a che fare con un prodigio da terza dimensione, una forza misteriosa mi ha avvertito della tragedia imminente, e io sono al check in e devo convincere mia moglie a non salire a bordo. Che le dico? Le basteranno i lineamenti stravolti a indurla a darmi retta? Oppure mi toccherà trovare le parole perfettamente indirizzate al cuore? O invece lei mi farà sedare dalla guardia medica? Devo ricondurre il cervello in zone meno insidiate dalla patologia. Mi hanno insegnato un buon metodo: ricordare in ordine cronologico tutti i voli precedenti e ci provo, ma mi sembra un’operazione complicata anche per una persona che non sia, come me, in preda a un evidente stato confusionale.
DIGNITÀ NEL TERRORE
Sono le tre, la casa si sveglia. Mi raccomando, la regola è la solita: mantenere una dignità anche nel terrore. Bacio Annalena. Le chiedo se voglia una caffè e se sia sicura di avere messo tutto il necessario in valigia. Io, in realtà, non ho la più pallida idea di che cosa contenga la mia (all’arrivo scoprirò di avere messo quattro pigiami e quattro paia di calze blu, che per una vacanza al mare sono abbastanza superflue), ma quando chiamo i bambini sono un padre inebriato, accendo la luce e urlo: chi vuole andare in Turchia? E quelle due bestie, che per tirarli giù dal letto alle sette e mezzo in tempo di scuola ci vogliono i randelli, sono già in piena kasbah e quindici minuti dopo la trasferiscono in taxi, eroico il tassista che si limita a scuotere il capo riflettendo sui miei principi pedagogici. Il grave e che mi distolgono da profonde meditazioni geografiche; sto formulando una teoria: decollando da Ciampino anziché da Fiumicino, il volo sarà più breve? Forse di un minuto? ADDIRITTURA DUE?
Eccoci a Ciampino. Aspettiamo gli amici con cui condivideremo le prossime due settimane, ma subito Annalena ha iniziative tipicamente entusiastiche di chi parte verso la felicità: andiamo al controllo bagagli? Andiamoci. Cerchiamo il gate ma un dettaglio salta all’occhio: noi partiamo alle 5,10 eppure il primo volo, avvertono i monitor, è previsto per le 6,15. Veniamo assaliti da un leggerissimo dubbio. Annalena apre le carte d’imbarco e fra centinaia e centinaia di parole una spicca sontuosa: Fiumicino! Bene, il resto è cronaca nera. Torniamo al parcheggio dei taxi dove, dopo breve e sanguinosa colluttazione, evacuiamo una macchina e intimiamo il conducente di portarci a Fiumicino alle velocità della folgore, non c’è codice della strada che tenga. Lui, investito di una così elettrizzante responsabilità, si produce in una prestazione alla Lewis Hamilton in caccia della pole, mentre io vengo pervaso da una nuova e curiosa fobia bilaterale: allo stesso tempo ho paura di prendere l’aereo e paura di perderlo. Insomma, ce la facciamo, corriamo per Fiumicino fra ali di addetti aeroportuali che ci incitano all’impresa. Finalmente siamo all’imbarco, e lì il demonio ne ha riservata un’altra: realizzo di essere senza acqua. Senza acqua! Nella concitazione non l’ho comprata! Ho il Valium – me lo sono procurato con metodi da Casamonica – ma non ho l’acqua! Soluzione drastica: mi attacco alla boccetta, mi verso le gocce direttamente in bocca, otto gocce. Scopro che funzionano perché il panico resta tale e quale, però la lingua mi si paralizza in dodici secondi netti. Meno male, perché appena decollati, quando dirò «a hahancia è hohinciaiscia hi hoho hoccio hihahancie» (la vacanza è cominciata in modo molto rilassante), Annalena non capirà.
TORNA IL CAMPIONATO
Sono trascorsi diciassette giorni e tredici ore. Sono di nuovo a casa, alla finestra della cucina. Fumo e sorrido. Oggi parte il campionato e ho tutto il pomeriggio libero; fino a domani non si torna al lavoro, penso nel preciso istante in cui, da Torino, il vicedirettore Massimo Russo sta componendo il mio numero di telefono.
Mattia Feltri, La Stampa 30/8/2015