Notizie tratte da: Giani Stuparich, Guerra del ’15, Quodlibet, pagg. 200, € 17., 30 agosto 2015
LIBRO IN GOCCE NUMERO 53
(Guerra del ’15)
Vedi Biblioteca in scheda: 2312214
Vedi Database in scheda: 2313011
MEMORIE DELL’ESTATE DEL 1915 –
Due giugno «2 giugno 1915, pomeriggio. Roma. A Portonaccio! Si parte dalla stazione di Portonaccio. Il nome non sembra di buon augurio, ma noi non pensiamo ai nomi. Il buon augurio ce l’hanno dato certe popolane, subito fuori della caserma. Portiamo con noi le rose ch’esse ci hanno regalato. Siamo nuovi, dalle scarpe al berretto. Gli alamari candidi, orlati di rosso carminio, riderebbero se vi battesse il sole, ma il cielo è grigio: ha piovuto e pioverà. Non fa niente; sotto la pelle sudata noi siamo freschi; la testa è china nello sforzo di equilibrare lo zaino (noi per di più l’abbiamo rimpinzato di libri) e gronda, ma il pensiero è in alto».
8 giugno «San Canciano, Staranzano. (…) Mentre cammino, il cuore mi fa sentire la sua commozione; corro con la fantasia a Trieste. Passiamo, noi granatieri, per la via delle Poste, per il Ponte Rosso e ci fermiamo in Piazza Grande, bianchi di polvere, col fucile a pied’arm e col sottogola calato; un grido di donna erompe a un tratto di mezzo all’entusiasmo della folla e ne esce Bianca [la sorella dell’autore – ndr]: – Giani, Carlo [il fratello, e commilitone – ndr]! – Chiediamo il permesso al colonnello d’andar a casa nostra, in via Carradori; e Bianca ci trascina tutta raggiante; i tre piani di scale son fatti in un baleno e nostra madre ci sta singhiozzante tra le braccia, stupita, palpandoci: – Giani, Carlo, soldati italiani, fra i primi entrati a Trieste! – Verrebbe poi nel frattempo la nostra nomina a ufficiali e noi dormiremmo a casa, perché certamente i granatieri non andranno così presto via da Trieste. Mi volto verso Carlo e lo vedo trasfigurato, forse dalla medesima speranza».
12 giugno «Dobbia. Nel sole. Bombardano il villaggio e la campagna vicina. (…) Mamma, se ritorno, rinuncio a tutto, pur di tenerti le mani nelle mie mani e d’averti sempre vicina!».
28 giugno «28 giugno. Monfalcone. (…) L’aiutante maggiore del battaglione (…) ha fatto radunare la compagnia. Domanda chi s’annuncia volontario per porre i tubi di gelatina sotto i reticolati nemici; un premio di sei giorni di licenza a chi li avrà fatti brillare. Sospensione muta tra le file. Ho vicino a me Carlo; gli bisbiglio all’orecchio, in tono deciso perché non possa ribattermi: “Tu no, non voglio; mi annuncio io”. Vedo il suo volto arrossarsi d’una fiamma cupa, come se le mie parole gli avessero rimescolato il sangue. Intanto uno s’è già annunciato: Novelli; “se mi dànno sei giorni di licenza…” ha aggiunto, come con l’aria di dire: be’, per sei giorni di licenza si può anche andar incontro alla morte, tanto là ci aspetta a ogni canto lo stesso. Dico il mio nome, con voce che non sa nascondere il tremito interno; e vorrei impedire che Carlo parlasse, ma egli ha già pronunciato, subito dopo il mio, il suo nome, con voce ferma e chiara. Mi si volge con un’espressione timida sulla faccia, quasi a chiedermi di perdonargli. Perché non posso essergli madre e stringerlo al mio petto e proteggerlo? Carlo ha sul viso e nel cuore l’ingenuità d’un bambino, ma è più forte e più nobile di me».
7 agosto «Trincee del Lisert. (…) Il capitano vuole i due fratelli triestini. Egli tiene un foglio nelle mani; (…) sono arrivati al reggimento due telegrammi del Ministero della Guerra con la nostra nomina a ufficiali della territoriale; (…) Ci stende la mano: – Mi dispiace di perderli. Si ricordino di me –. Né Carlo né io siamo capaci di pronunciare una parola. Carlo ha il viso congestionato, come nei momenti di grande emozione. (…) Carlo mi dice che avrebbe preferito fossimo andati a riposo tutta la brigata; egli ha provato, evidentemente, dei sentimenti simili ai miei. E se restassimo? Se rinunciassimo alla nomina? Ci è bastato esprimere questa possibilità, che ci turbava profondamente, come un rimorso, finché restava dentro di noi inespressa, per capire che non abbiamo più l’energia per effettuarla. Un respiro ci è necessario, per l’anima forse più ancora che per il corpo».
Giorgio Dell’Arti, Domenicale – Il Sole 24 Ore 30/8/2015