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 2015  agosto 30 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - GLI INGLESI: RIVEDERE SCHENGEN


REPUBBLICA.IT
LONDRA - Il sistema di immigrazione interno all’Unione europea è fuori controllo, secondo Theresa May. Il ministro britannico dell’Interno chiede una riforma della libera circolazione comunitaria, in modo da autorizzare la permanenza in Gran Bretagna soltanto a chi possiede un lavoro e chiudendo invece le porte ai disoccupati che provengono da altri paesi Ue, che sono in deciso aumento nel Regno. Secondo dati diffusi nei giorni scorsi, il saldo migratorio nel Paese ha infatti raggiunto il "massimo storico" su dodici mesi (da marzo 2014 a marzo 2015), pari a 329mila persone.
In un editoriale sul Sunday Times, May definisce l’attuale livello dell’immigrazione "non sostenibile", in quanto mette troppa "pressione sulle infrastrutture, come case e trasporti, e i servizi pubblici, come scuole ed ospedali". Il ministro, sottolinea che l’immigrazione dai paesi Ue è più che raddoppiata rispetto al 2010, ed "è per questo che la volontà del governo di rinegoziare la relazione della Gran Bretagna con l’Ue è così importante". La May sostiene che "ridurre l’immigrazione al netto dall’Ue non significa un mancato rispetto del principio di libera circolazione. Quando è stata inizialmente sancita, libera circolazione significava libertà di spostarsi per lavorare, non libertà di attraversare le frontiere per cercare un lavoro o usufruire delle politiche previdenziali".
Secondo il ministro britannico,
l’accordo di Schengen, che elimina i controlli sistematici alle frontiere e al quale la Gran Bretagna non aderisce, ha alimentato la crisi dei migranti. Le tragedie di quest’estate, afferma May, "sono state esasperate dal sistema europeo della libera circolazione".

ITALIANI IN GRAN BRETAGNA
LONDRA - La Gran Bretagna è diventata la "terra promessa" degli italiani che decidono di lasciare il Belpaese. Con la sua economia cresciuta del 2,6% su base annua, rappresenta sempre più il sogno di chi sceglie di partire. Per la prima volta quest’anno gli italiani sono al secondo posto tra gli stranieri in arrivo, con un incremento del 37% (al primo ci sono i polacchi, ben 116mila).
I connazionali arrivati a Londra e dintorni in cerca di lavoro tra il 2014 ed il 2015 sono stati 57.600 contro i 42.000 dei 12 mesi precedenti. I dati, anticipati dal quotidiano conservatore Daily Telegraph e confermati dall’Istituto di Statistica di Londra (Ons), si riferiscono a quanti hanno ottenuto il ’National Insurance number’ (l’equivalente del nostro codice fiscale) indispensabile per poter lavorare.
Il saldo migratorio nel Regno Unito ha raggiunto, come rileva l’Istituto di Statistica, "il massimo storico" su dodici mesi (da marzo 2014 a marzo 2015), pari a 329mila persone, superando il precedente record di 320mila raggiunto tra giugno 2004 e giugno 2005. Tra marzo 2014 e marzo 2015, 636mila persone sono entrate legalmente nel Regno Unito, mentre ne sono partite 307.000. Sempre secondo i dati dell’Ons, sono stati 269mila i cittadini arrivati dall’Ue che hanno scelto di vivere nel Regno: un altro record storico. Con questi nuovi dati è anche emerso che la popolazione britannica nata all’estero ha superato per la prima volta la soglia di 8 milioni di persone.
Queste cifre sono "molto deludenti", ha commentato James Brokenshire, Segretario di Stato all’immigrazione. Cinque anni fa il governo conservatore di David Cameron aveva promesso di limitare la crescita netta di immigrati regolari a qualche migliaio l’anno.
La Gran Bretagna - già intervenuta con durezza sugli immigrati di Calais - prepara misure sempre più severe nei confronti degli immigrati irregolari. Secondo il Times, il governo privatizzerà il servizio di espulsione e rimpatrio ("Escorting and Travel Service") di quanti saranno sorpresi a non avere i titoli necessari per restare. Secondo il quotidiano britannico, l’appalto delle espulsioni durerà 5 anni. Londra prevede di spendere solo quest’anno 500 milioni di sterline (682 di euro) per riportare a casa le migliaia di richiedenti asilo, ai quali la domanda è stata respinta, e i clandestini ’tout court’. La somma include 200 milioni che saranno spesi in biglietti aerei. Tra quanti saranno rimandati al paese d’origine, gli stranieri detenuti che hanno terminato di scontare le pene cui sono stati condannati e i lavoratori i cui visti sono scaduti.

PALAZZOLO SU REPUBBLICA
SALVO PALAZZOLO
PALERMO. È una verità scomoda, una verità che adesso fa paura quella che va emergendo in una stanza blindata, dentro un carcere da qualche parte in Sicilia. Un uomo parla e rivela che il cuore pulsante dell’ultimo esodo senza precedenti attraverso il mare non è nelle spiagge della Libia, e neanche dentro i barconi dove i disperati vengono caricati a frotte. Il cuore pulsante dell’organizzazione più agguerrita dei trafficanti di uomini è in un tesoro. Che non sta in Africa, ma in Germania. Lì - dice l’uomo che parla nella stanza più protetta del carcere- è nascosto il tesoro costruito sulla pelle dei migranti, quelli che pagano 1.500 anche 2.000 dollari per salire su un barcone.
Questo sta ripetendo ai pubblici ministeri di Palermo e ai poliziotti dello Sco un uomo che fino ad aprile era pure lui un trafficante di esseri umani, uno dei più esperti. Dopo essere stato arrestato, è diventato il primo pentito della tratta. Nuredin Wehabrebi Atta, nato ad Asmara, Eritrea, il 12 dicembre 1984. E questa è la sua verità: i soldi del signore dei trafficanti, Ermias Ghermay, sono nascosti nel cuore dell’Europa. L’Europa che per tanto tempo ha fatto finta di non vedere l’esodo. L’Europa che ancora discute sul da farsi.
Adesso, le parole di un uomo che racconta sottovoce di aver visto troppo orrore, troppo sangue, sono quasi un atto d’accusa contro l’Europa che non si è accorta, che non ha fermato i trafficanti. Dice Atta: «Dovete cercarli in Germania tutti i soldi che Ermias guadagna». Aggiunge: «Lui resta in Libia per gestire gli affari, che a Tripoli vengono spartiti fra quattro gruppi. Lì non lo prenderete, perché gode di protezioni nella polizia. Potete però cercare i suoi soldi, e dovete seguire la moglie, si chiama Mana Ibrahim ». Il pentito la segnala «nella zona di Francoforte, dopo essere stata a Stoccolma». E spiega il suo ruolo nell’organizzazione: «Raccoglie il denaro per conto del marito, attraverso il me- todo hawala ». Ovvero, quel sistema di trasferimento di denaro fondato sulle legge islamica tradizionale che prevede una rete di mediatori a cui consegnare il denaro. «Perché soltanto il 5 per cento dei 1.500 dollari richiesto per il viaggio viene pagato in contanti dai migranti - chiarisce Atta - il resto arriva ad Ermias attraverso hawala , dentro una rete di fiducia che si sviluppa estero su estero». Una rete attorno alla Germania, un’indicazione precisa che orienta le indagini e corregge le ipotesi fatte in questi mesi sui forzieri del superlatitante Ermias, ipotesi che parlavano di Svizzera e Israele.
Ma com’è costituita la rete finanziaria dei trafficanti? Per il pool coordinato dal procuratore Franco Lo Voi e dall’aggiunto Maurizio Scalia è diventata la chiave dell’indagine, la chiave per tentare di fermare o indebolire, almeno questo, i trafficanti di uomini. «Bisogna seguire i soldi, era il metodo del giudice Falcone», ha ribadito il pm Geri Ferrara nella sede dell’Aja di Eurojust, alla più grande riunione di coordinamento fra magistrati europei organizzata negli ultimi anni. Cinquanta partecipanti provenienti da otto paesi. E dopo la plenaria, a luglio, si sono susseguiti incontri bilaterali fra i pm di Palermo e i colleghi di Norvegia, Svezia, Olanda, Gran Bretagna, Germania, Francia. Le rivelazioni di Atta e le indagini del servizio centrale operativo della polizia diretto da Renato Cortese sono già diventate spunto per tante altre inchieste in giro per l’Europa. Per stringere il cerchio attorno ai trafficanti.
Non è affatto facile. Chi ha ascoltato Atta dice però che i suoi verbali sono diventati molto di più di un documento giudiziario. Sono come i verbali dei primi pentiti di mafia, molto di più di un’elencazione di nomi e fatti. Sono la chiave per comprendere un fenomeno sconosciuto.
Ora, il cittadino straniero più protetto d’Italia fornisce agli inquirenti il nome di un amico di Ermias che collabora con la moglie. E spiega: «I fiduciari, quelli che movimentano il denaro, sono generalmente dei commercianti ». Un indizio per cercare di intercettare il flusso dei soldi in Germania. E un altro indizio ancora. «So pure che Ermias ha una società in Etiopia, che si occupa di vendere auto». Il tesoro dei trafficanti è ben protetto.
Anche Atta è stato in Germania. «Per un certo periodo i migranti mi contattavano a Roma, il numero gli veniva dato in Libia, e io li portavo in Nord Europa ». Prezzo del servizio, da 400 a 800 euro. «Ero io a decidere le modalità più sicure del viaggio. Bus, treno o auto». Atta andava spesso a Monaco, per quei viaggi prendeva il massimo della tariffa, che poi versava all’organizzazione. A lui restava uno stipendio, come fosse un normalissimo dipendente: «Mi davano 4000 euro al mese. E mi bastavano per vivere».

VLADIMIRO POLCHI

NAZIONALE - 30 agosto 2015
CERCA
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CRONACA
I rifugiati.
Altro che regole comuni Come denunciato dal ministro Gentiloni in Europa vince il fai-da-te.E ogni migrante ha possibilità molto diverse di ottenere un permesso a seconda del Paese in cui arriva
In Francia sì ai siriani l’Italia apre agli afgani ecco perché in Europa l’asilo è una lotteria
VLADIMIRO POLCHI
ROMA. Sei un siriano in fuga dalla guerra? Fai domanda d’asilo in Francia, o in Germania, hai il 95% delle possibilità di vincere un biglietto da rifugiato. Se ti fermi in Italia, le tue chance crollano al 64%. Sei un afgano? Allora le cose cambiano: il Belpaese ti garantisce un buon 95% di probabilità di successo contro il 26% dell’Ungheria. Ogni Stato fa da sé: oggi ottenere protezione in Europa è una lotteria, tutto dipende dal Paese in cui si capita. Non a caso, ieri su Repubblica, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha invocato un diritto d’asilo europeo, valido per tutte le nazioni.
Il diritto internazionale impone a ciascuno Stato l’accoglienza dei richiedenti asilo fino all’accertamento (o al rifiuto) dello status di rifugiato. Nel caso italiano, la lunghezza dei tempi di valutazione delle domande resta il punto critico, col rischio di intasare i centri di accoglienza anche con chi non ha diritto ad alcuna protezione. Le regole sarebbero chiare: le commissioni territoriali devono svolgere l’audizione per il riconoscimento dell’asilo entro 30 giorni dalla presentazione della domanda e decidere nei successivi tre giorni. Tuttavia, il periodo di attesa si aggira in media attorno ai 12 mesi. Non solo.
Nonostante le sollecitazioni della Commissione europea per introdurre un diritto comune d’asilo, la norma oggi è il fai-da-te: Paese che vai, asilo che trovi. Il continente appare come una coperta d’Arlecchino, con tante pezze colorate quanti sono i sistemi d’asilo adottati. È quanto fotografa una ricerca realizzata dalla Fondazione Leone Moressa con il sostegno di Open Society Foundation. Partiamo dai numeri: nei Paesi Ue nel 2014 è stato accolto il 44,7% delle domande esaminate. Percentuale che varia molto da Stato a Stato: si passa dal 9,4% dell’Ungheria al 76,6% della Svezia. Ma quello che colpisce di più è altro: anche per le medesime nazionalità si riscontrano risultati diversi. A cominciare dai siriani (122mila richiedenti asilo in Europa nel 2014): le loro domande hanno percentuali di accoglimento molto alte in Svezia (99,8%), Francia (95,6%) e Germania (93,6%). Ben più basse in Ungheria (69,2%) e Italia (64,3%). Insomma scappano dalla stessa guerra e corrono lo stesso rischio di perdere la vita se rispediti in patria, eppure la loro accoglienza cambia in base alla discrezionalità del Paese di arrivo.
Le differenze si fanno ancora più forti nel caso delle richieste degli afghani: qui è l’Italia il Paese con la percentuale più alta di domande accolte (95,4%). In Germania solo il 66,1% ha avuto risposta positiva. Quota ancora più bassa per il Regno Unito (36,9%) e l’Ungheria (26,2%). Altro caso è quello della Somalia: percentuali record in Italia (94,7%) e Ungheria (92,9%), mentre la Francia (23,2%) è il Paese con la percentuale più bassa. Così per gli eritrei: 89% in Italia, 26% in Francia. «Questa disomogeneità evidenzia una mancanza di uniformità a livello europeo sui criteri per il riconoscimento dello status di rifugiato — denunciano i ricercatori della Moressa — disomogeneità che si fa ancora più evidente nelle procedure dell’accoglienza».
Non è tutto. Anche se ogni giorno si parla di “emergenza” o “invasione” sulle coste italiane, la Fondazione Moressa sottolinea come «i dati forniti dall’Alto commissariato Onu raccontino di un’emergenza a livello mondiale che tocca solo in modo marginale il nostro Paese». Negli ultimi anni è infatti cresciuto il numero di persone fuggite dalle guerre: erano 43,7 milioni nel 2010, sono diventate 59,5 milioni nel 2014. Aumenta anche il numero di persone in fuga ogni giorno (42.500). E sono i Paesi vicini alle zone di guerra ad accogliere più profughi, con cifre impensabili per gli Stati europei. Il primo Paese per numero di rifugiati è la Turchia, con 1,59 milioni. Seguono Pakistan e Libano, entrambi con più di un milione di persone accolte.
In Italia, invece, al 31 luglio 2015 sono 89mila i migranti presenti nei centri di accoglienza. E ancora: «Rispetto alla popolazione residente, in Italia gli 89mila migranti accolti sono 1,5 ogni mille abitanti. Un tasso assolutamente non paragonabile a quello del Libano: 232 rifugiati ogni mille abitanti».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Il rapporto della Fondazione Moressa: sistema di accoglienza a macchia di leopardo
IL MURO
Profughi siriani cercano di passare il muro al confine tra Serbia e Ungheria

LASTAMPA
È durata una notte, la brutta avventura del camionista campano di 50 anni che venerdì mattina era stato arrestato alle porte di Londra, sospettato di avere portato illegalmente 27 migranti nel Regno Unito. L’uomo ha convinto la polizia di essere del tutto ignaro che il gruppo si fosse infilato nel suo Tir durante la sosta a Calais. Ma tutti i camionisti sono in grande agitazione. È un assalto continuo, quello dei profughi, sia alla frontiera tra Francia e Gran Bretagna, sia nei Paesi dell’Europa centrale e orientale.
Le diverse polizie, poi, in questo agosto di tragedie, esplosa l’emergenza della rotta balcanica, hanno predisposto controlli a tappeto sulle autostrade. Così non meraviglia che si moltiplichino le notizie di ritrovamenti. Ieri in Austria, ancora sotto choc per il ritrovamento di un camion con 71 cadaveri, nella città St. Peter am Hart, vicino al confine con la Germania, è stato fermato un camion sul quale viaggiavano 26 migranti e a bordo c’erano tre bambini in condizioni critiche a causa della disidratazione: i migranti provenivano da Siria, Afghanistan e Bangladesh. Il conducente, un 29enne romeno, è stato arrestato.
Catena di arresti
In Ungheria, quattro altri cittadini romeni sono stati arrestati sull’autostrada M5, nei pressi della città Röszke, vicino alla Serbia, mentre trasportavano 21 profughi – 10 siriani e 11 afghani a bordo di un camion. La polizia ha sequestrato il veicolo e ha avviato un processo legale contro i conducenti per «aiuto alla permanenza illegale» nel Paese. Ma soltanto fra giovedì e venerdì la polizia ungherese ha arrestato undici persone che «trasportavano migranti verso la capitale Budapest in cambio di soldi».
L’Ungheria peraltro, nella sua battaglia ai profughi, ieri è arrivata a bloccare il traffico ferroviario di convogli locali a ridosso della frontiera con la Serbia dopo avere scoperto che vi si nascondono tanti illegali.
In Slovacchia, intanto, un cittadino tedesco di origine pachistana è stato arrestato perché provava a far passare due migranti in Germania a bordo del suo veicolo con targa tedesca. Rischia una pena fra 1 e 5 anni di carcere.
Due autobus con 96 migranti a bordo sono stati a loro volta fermati dalla polizia nel Sud della Serbia e i migranti arrestati perché avevano documenti falsi. Secondo il ministro dell’Interno serbo, Nebojsa Stefanovic, in polemica con i vicini ungheresi che stanno erigendo un muro tra i due Paesi, «questa è la prova che lo Stato sostiene una lotta decisa contro il traffico di immigrati».
Il camion della morte
Nel frattempo le indagini sulla strage dei 71 poveri profughi morti per asfissia in Austria vanno avanti. Coinvolta anche qui l’Ungheria: tre cittadini bulgari e un afghano compariranno davanti al giudice del tribunale di Kecskemet, nell’Ungheria centrale, da dove si ritiene sia partito il «Tir della morte». Uno è il proprietario dell’autocarro, gli altri tre gli autisti che lo hanno guidato a turno. Secondo un portavoce della procura, il camion era partito da Kecskemet, ha preso i migranti vicino al confine meridionale con la Serbia e li ha poi portati fino all’Austria attraversando l’Ungheria. I quattro rischiano pene fra 2 e 16 anni di carcere in Ungheria per tratta di immigrati. Per l’accusa di omicidio colposo risponderanno in un processo diverso in Austria.

GUIDO RUOTOLO
Solo duemila e ottanta in più rispetto al 29 agosto dell’anno scorso. Siamo a 114.285 migranti arrivati in Italia dal primo gennaio contro i 112.205 dell’anno scorso. Nulla di straordinario rispetto all’eccezionalità del 2014. La Libia continua a essere il porto di partenza di un popolo «arcobaleno» di migranti diretti in Europa, in Italia.
Prepariamoci. Solo nel settembre scorso ne arrivarono ventiseimila, quasi mille al giorno. E dunque già lunedì si terrà una riunione al Viminale per capire cosa fare. Probabilmente se gli analisti confermeranno che il trend si manterrà costante si dovranno reperire altri 30.000 posti letto per settembre.
Intanto, ieri, un comunicato tutto da verificare e sul quale gli stessi funzionari del Dipartimento Immigrazione del Viminale nutrono dubbi, annuncia da Tripoli che sarebbero stati arrestati tre trafficanti di merce umana a Zuwara.
Zuwara, la capitale dei trafficanti di merce umana. Ricorda la Valona albanese, ambedue cittadine che hanno visto centuplicare la ricchezza con i traffici criminali. È la città rivierasca libica sicuramente ha goduto di complicità prima delle forze di polizia di Gheddafi, ora delle milizie islamiste che secondo diversi fonti potrebbero partecipare allo stesso traffico immondo.
Arrivano, dunque. Anzi, continuano ad arrivare anche se in queste ore un imponente flusso migratorio (siriani e iracheni) dal Libano, dalla Turchia, Grecia e poi attraverso i paesi balcanici è diretto in Europa.
«Abbiamo apprezzato molto il gesto della cancelliera tedesca Angela Merkel - commenta il prefetto Mario Morcone, capo del Dipartimento Immigrazione del Viminale - che ha portato solidarietà ad Heidenau al Centro per richiedenti asilo oggetto di violenze da parte dei neonazisti. Credo che finalmente l’Europa si sia resa conto che occorre rifondare una vera e nuova politica dell’asilo».
Molti meno siriani
In attesa, questo è il tempo del dolore, delle morti in mare e a terra di un popolo in cerca di libertà e serenità. Sono ormai corpi saponificati, le ottocento vittime del naufragio di maggio. Corpi che cominciano a lasciare la stiva di quel maledetto mercantile, grazie al lavoro di recupero della marina militare: ottanta corpi già riportati a terra in due riprese.
Centinaia di morti per asfissia, per aver respirato nafta dei motori delle imbarcazioni, chiusi nelle stive, mentre altri corpi galleggiano senza vita a poche miglia da Zuwara, la città maledetta.
Popolo «arcobaleno» quello che approda in Italia. Sono trentamila eritrei, quasi quindicimila nigeriani, poco meno di novemila somali e settemila sudanesi.
I siriani sono seimila e cinquecento, fino ad ora. Ma l’anno scorso ne arrivarono quarantaduemila. Una conferma che quel popolo di profughi ha scelto un’altra via per raggiungere l’Europa, la rotta balcanica. Convinta così di superare il Muro di Dublino. Che si è sgretolato con il peso di queste morti. Insopportabili anche per l’Europa, finalmente.

DALL’INTERVISTA DI CAZZULLO DI STAMANE

L’emergenza migranti si fa di giorno in giorno più drammatica. Non ha nulla da rimproverarsi su come è stata gestita finora?
«Credo stia emergendo la verità sui migranti: non è un problema italiano su cui speculare per mezzo punto di sondaggio, ma una grande crisi mondiale e europea da affrontare a Bruxelles, non a Lampedusa. Questa è stata la prima battaglia del mio governo: chiedere l’internazionalizzazione di questa crisi. Mare Nostrum aveva caricato tutte le questioni sull’Italia: noi abbiamo chiesto solidarietà e coinvolgimento. Dopo la strage di aprile e il vertice straordinario che ne è seguito sono arrivati i primi provvedimenti. Ancora pochi, spesso miopi, frammentati. Ma le drammatiche immagini di quei bambini asfissiati nel Tir, di quei bambini uccisi nelle stive delle navi ci dicono che l’Europa deve cercare una strategia».
Cosa farete in concreto?
«Non dobbiamo solo tamponare l’emergenza, ma anche avere un ruolo maggiore in Africa e in Medio Oriente. Investire di più sulla cooperazione internazionale. Agevolare i rimpatri. E bloccare i trafficanti di uomini, per sempre. Questo è il momento giusto per lanciare un’offensiva politica e diplomatica. L’Europa deve smettere di commuoversi e iniziare a muoversi. È finito il tempo dei minuti di silenzio: si scelga finalmente di superare Dublino e di avere una politica di immigrazione europea, con un diritto d’asilo europeo. Questa sarà la battaglia dei prossimi mesi».
Cosa cambierebbe?
«Ci vorrebbero mesi, ma avremmo un’unica politica europea di asilo, non tante politiche quanti sono i vari Paesi. Andremmo negli Stati di provenienza per valutare le richieste di asilo, evitando i viaggi della morte. Gestiremmo insieme anche i rimpatri».
E interverrete in Libia e in Siria, per fermare vergogne come quella di Palmira?
«Obama ha convocato un vertice su questi temi a fine mese proprio a margine dell’assemblea Onu».

INCHIESTA SULLE ROTTE
FRANCESCO BATTISTINI - MARIA SERENA NATALE
È la più grave crisi di rifugiati dalla Seconda guerra mondiale, dice il commissario Ue all’Immigrazione Dimitris Avramopoulos. L’Europa si scopre prima linea di un’emergenza globale, punto di caduta di conflitti che sconvolgono Medio Oriente, Asia, Africa. Le migrazioni resteranno il tratto distintivo del nostro tempo, spostamenti di masse in cerca di opportunità e diritti su rotte di morte e speranza. Un fenomeno che secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni non si arresterà prima del 2050, quando la popolazione mondiale si assesterà sui 9-10 miliardi di persone. Fino ad allora l’Europa, epicentro del terremoto dell’estate 2015, dovrà affrontare una serie di aggiustamenti normativi e culturali, dalla revisione delle regole sul diritto d’asilo fino all’elaborazione di una strategia complessiva per affrontare scenari geopolitici sempre più fluidi. A che punto siamo nella nuova ondata migratoria?
L’impennata
Il primo aumento nel flusso degli arrivi si percepisce a partire da gennaio ma la grande accelerazione è quella di luglio, quando gli ingressi illegali in territorio Ue balzano, dai 70 mila di giugno, a 107.500. Solo in Grecia dall’inizio dell’anno gli ingressi (legali e non) sono stati 160 mila, contro i 50.242 registrati in tutto il 2014. La maggior parte da Siria, Iraq e Afghanistan. Migranti che poi tentano la traversata dei Balcani attraverso la Macedonia, per passare in Serbia e in Ungheria, Romania o Bulgaria. Nei prossimi mesi si prevede che da questa rotta passino circa 3 mila persone al giorno. Sul fronte mediterraneo l’ultimo bilancio, aggiornato ieri dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati, è di oltre 300 mila persone che hanno preso il mare per l’Europa dall’inizio del 2015. Circa 2.500 i morti e dispersi. In un’unica giornata, sabato 22 agosto, nelle acque che separano l’Italia dalle coste libiche sono state tratte in salvo 4.400 persone. In Siria oltre 5 milioni di sfollati interni aspettano un’occasione per partire. Come spiega Tana de Zulueta, presidente del Comitato italiano per l’Agenzia Onu dei rifugiati palestinesi con una lunga esperienza in missioni Osce e Ue, «metà degli 11 milioni di sfollati siriani ha già lasciato il Paese, gli altri sono pronti a seguirli, in un contesto regionale dove a conflitti dichiarati si aggiungono tensioni sotterranee, ad esempio in Libano, che riemergendo farebbero esplodere la polveriera mediorientale».
Le migrazioni fanno da sempre parte della storia dell’umanità. Un fenomeno oggi amplificato e reso inevitabile dalle crisi umanitarie in corso; dai cambiamenti climatici; dalla scarsità di candidati a svolgere lavori sottopagati nei Paesi più ricchi malgrado la crisi socio-economica; dal deficit demografico che oppone, a un Nord che non cresce e che nei prossimi dieci anni vedrà un sensibile calo della forza lavoro, un Sud abitato da popolazioni giovani e senza occupazione. Per avere un’idea: la Ue conta 550 milioni di abitanti, le Nazioni Unite stimano che in trent’anni il continente africano raggiungerà un numero pari a tre volte quello della Ue.
Cosa fa l’Europa?
Per ora procede in ordine sparso. La maggior parte dei Paesi più colpiti, dove i governi devono gestire anche l’allarme sociale alimentato dalle destre populiste, sceglie la linea dura. Accade per Regno Unito e Francia che hanno stretto un patto di sicurezza sulla Manica. Accade nel Centro-Est che alza muri materiali e mentali. Non in Germania, che quest’anno aspetta il record di 800 mila richieste d’asilo e ha sospeso l’applicazione del regolamento di Dublino rifiutando di rimandare indietro i profughi siriani. La Ue ha triplicato i fondi per le missioni nel Mediterraneo (da ottobre la Eunavfor Med potrebbe essere autorizzata ad arrestare i trafficanti in mare), ha previsto finanziamenti supplementari per i Paesi di primo accesso come l’Italia, l’Ungheria e la Grecia in crisi politica, e ha elaborato un’Agenda immigrazione per redistribuire i migranti secondo criteri più equi in una logica che dovrebbe unire «responsabilità» e «solidarietà». I ministri degli Interni hanno raggiunto un accordo di massima per la ripartizione di circa 32 mila persone in due anni. La Ue vuole strappare entro fine anno l’impegno per 40 mila migranti che potrebbero poi arrivare a 60 mila. Numeri ridotti e soluzioni parziali. «Servono subito visti temporanei, quote più alte, un sistema rafforzato di protezione internazionale» sostiene il direttore dell’Oim William Lacy Swing. A ottobre i ministri di Esteri e Interni si vedranno a Parigi, a novembre il vertice Ue-Africa a Malta. C’è una nuova consapevolezza politica nelle istituzioni comunitarie: dopo lo choc, si aspettano misure concrete.
La rete criminale
Esiste già un’Europa che collabora, s’aiuta e divide i profitti: è quella delle mafie. Il caso del camion pieno di cadaveri scoperto giovedì in Austria (targa ungherese, proprietà prima ceca e poi slovacca, immatricolazione fatta da un rumeno, spalloni bulgari e ungheresi) dimostra che le grandi gang criminali collaborano meglio dei governi: «Controllano due terzi del traffico di migranti — dice Marko Nicovic, ex capo della polizia serba —, l’altro terzo è gestito da piccole organizzazioni locali». Dopo la droga, le armi e la prostituzione, gl’immigrati sono il quarto business più redditizio dell’area. In assoluto, il meno rischioso: nessun Paese interessato alla rotta balcanica ha mai introdotto il reato d’immigrazione clandestina e dalla Turchia alla Grecia, dalla Macedonia alla Serbia, dalla Bulgaria all’Ungheria le pene sono pesanti solo se il carico umano muore. Altrimenti, ce la si cava col ritiro della patente o tre mesi di carcere, spesso evitabili con una cauzione di mille euro: meno di quel che paga un migrante.
«Non c’è niente di casuale nel cammino d’un profugo — spiega Bojidar Spasic, già funzionario del Bia, i servizi di sicurezza di Belgrado —. Le mafie gli dicono al dettaglio cosa fare: strade, i punti d’incontro a Presevo e a Skopje, i valichi a Szeged, i posti di polizia, gli autisti, le guide, tutto. Ogni suo passo è scandito: prima lo prende la mafia turca, poi i balcanici, alla fine è controllato da kosovari, italiani, russi, ora anche cinesi». C’è un vip service, fino a 10 mila euro, una zona d’ombra per chi abbia qualcosa da nascondere: «psirata», dicono in serbo, iracheni o siriani ex sgherri di regime che temono vendette dei connazionali ed esigono l’invisibilità. Poi c’è il servizio standard, 3-5 mila euro, per gli stessi canali usati con armi o auto rubate: «Il migrante è merce ingombrante — dice Spasic — e non passa mai per le vie della droga». Da qualche giorno, le banche di Salonicco, di Skopje, di Belgrado, di Budapest sono sommerse da soldi versati negli sportelli turchi, libanesi, afghani di Western Union e Tenfore: «Il migrante non rischia di portarsi il denaro addosso, in ogni Paese sa già dove andare a ritirarlo per pagarsi quel pezzo di tragitto». Le polizie europee conoscono i nomi dei grandi clan che si dividono il traffico, elenca Nicovic: «I turchi Karakafa a Istanbul, i bulgari Plamenov tra Sofia e Dimitrovgrad, i Thaci kosovari e gli albanesi di Durazzo che si sono spostati in Macedonia, i russi di Semion Moglievich in Ungheria, i montenegrini che sono venuti a Belgrado perché contrabbandare sigarette in Puglia non rende quanto un camion d’afghani in Ungheria... Per colpire questa gente, ci serve più personale: noi abbiamo solo trenta poliziotti in tutta la Serbia, e solo cinque che conoscono l’arabo, per controllare 100 mila migranti. Ci vorrebbe anche un coordinamento fra polizie che non c’è mai stato: finora, che importava ai serbi di chi sbarcava a Lampedusa? O agli spagnoli di chi entrava in Macedonia?». La corruzione: nel prezzo del passaggio è spesso compresa la mazzetta a doganieri bulgari o serbi che guadagnano 500 euro al mese e «più è grande il gruppo, più sale il prezzo: 500 euro per dieci persone». I livelli di protezione sono alti: le gang controllano le forniture di cibo ad alcuni campi di rifugiati, dice la polizia di Belgrado, un po’ come accadeva a Roma nei centri di Mafia Capitale. E quanto al terrorismo, secondo i rapporti il muro di 275 km costruito dai bulgari sul confine turco non è sufficiente, ma un rischio immediato non si vede. «Gli estremisti di Bosnia e Sangiaccato danno logistica a qualche profugo — spiega Nicovic —, ma solo se è di stretta osservanza. È gente che controlliamo anche al telefono. La rete d’accoglienza jihadista però è estesa, dalla Macedonia (Tetovo) al Kosovo (Djakovica) e dal Montenegro (Ulzin). Nessuno può dire con sicurezza che qualche terrorista non sia arrivato: il 90% dei migranti è fatto di siriani e il 70% di questi siriani è tutta gente fra i 20 e i 30 anni».