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 2015  agosto 29 Sabato calendario

QUELL’ARTE ATTENDISTA CHE INSEGNÒ ANDREOTTI

Anche i tedeschi diranno qualcosa come “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”? La battuta è una di quelle che hanno alimentato il mito umoristico, a denti stretti e labbra sottili, di Giulio Andreotti. Ma ora pare che i giovani tedeschi la vogliano attribuire, almeno
honoris causa, alla loro leader Angela Merkel, visto che hanno coniato il neologismo “merkeln” per significare: “non fare nulla, non prendere decisioni, non annunciare impegni”. Non si tratta di un’omonimia causale, il verbo deriva proprio dal cognome della Cancelliera.
A noi, per non parlar dei greci, lei appare come una campionessa di decisionismo e arcigna istigazione all’azione e alle riforme. Ma in patria, e in particolare al suo elettorato più giovane, fa un’impressione completamente diversa e anzi opposta.
Il verbo a cui il suo cognome ha dato origine risulta il primo in un sondaggio sul “Vocabolo giovanile dell’anno”, seguito da “earthporn” (etichetta per bei paesaggi) e “smombie” (gli zombie dello smartphone, i passanti che non guardano dove vanno perché sono ipnotizzati dal loro monitor tascabile). Sondaggi che lasciano il tempo che trovano, certo: ma risulteranno sorprendenti per noi che di Angela Merkel abbiamo un’immagine costruita su politica estera e summit europei, più che sull’ordinaria amministrazione casalinga.
Ci sono due modi per interpretare il verbo neologistico tedesco “merkeln”. Il primo è il modo dello svelamento: Angela Merkel è un cerbero europeo, ma per i suoi connazionali, e in particolare i giovani, “merkelare” significa non fare nulla e tirare a campare. Ha, ha: beccata! Ma, al di là dei posizionamenti politici e della necessaria cura dell’immagine, si può invece pensare che il vero esercizio del potere consista proprio nel prendere tempo, soppesare ogni mossa, dover andare a ponente per cercare il levante e che, oramai più che matura, la modernità imponga di non farsene accorgere.
Insomma, “merkeln” è il verbo di un vizio o di un virtù? Pensare bene prima di rispondere.
Stefano Bartezzaghi, la Repubblica 29/8/2015