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 2015  agosto 29 Sabato calendario

DAL MIRACOLO ALL’INCUBO

Non molto tempo fa, il Brasile era il massimo esempio di come una nazione in via di sviluppo potesse diventare di importanza globale grazie alla forza del boom delle materie prime trainato dalla Cina. Mentre la sua economia cresceva, il Brasile ha preso d’assalto il palcoscenico mondiale ospitando la Coppa del Mondo di calcio, chiedendo più voce alle Nazioni Unite e bloccando il piano Usa di libero scambio nelle Americhe. Adesso il Brasile sembra però il simbolo dell’abitudine dei Paesi ricchi di materie prime di finire i loro periodi di boom con fallimenti spettacolari. Il mercato azionario del Brasile è sceso del 22% nell’ultimo anno mentre la sua moneta, il real, ha perso un terzo del suo valore rispetto al dollaro. E nel secondo trimestre il pil ha accusato una contrazione dell’1,9% rispetto al primo e del 2,6% su base annua, entrando ufficialmente in recessione. Le pene del Brasile per il rallentamento della Cina non sono limitate ai mercati finanziari, come in alcuni Paesi, ma vanno al cuore della sua economia reale. Per i brasiliani che hanno creduto, come dicevano i loro leader, che il Paese avrebbe raggiunto lo status di primo mondo, la recessione ha portato una profonda delusione. Grandi manifestazioni anti-governative sono all’ordine del giorno: i manifestanti denunciano la corruzione che un’indagine giudiziaria sta scoprendo e molti chiedono per cacciata della presidentessa Dilma Rousseff. Mentre l’inflazione si avvicina alle due cifre e i tassi di disoccupazione e di interesse aumentano, le famiglie della classe media cominciano a non rispettare i pagamenti delle rate per l’acquisto dell’auto e i poveri mangiano meno carne. Il Brasile è in pericolo di perdere il rating investment grade, cosa che potrebbe innescare una svalutazione disordinata del real. E i brasiliani ricchi stanno comprando case dal sud della Florida a Scarsdale, NY, spesso con l’obiettivo a lungo termine di fare crescere lì le loro famiglie.
Se la più grande storia economica di questo secolo è stata l’ascesa della Cina, il Brasile aveva una posizione unica per trarne beneficio. Ricco di minerali di ferro, soia e di carne, per non parlare di petrolio, il Brasile nelle condizioni di poter rifornire la Cina di molte cose necessarie. Gli scambi commerciali con la Cina, che nel 2000 erano di soli 2 miliardi di dollari l’anno, nel 2013 sono saliti a 83 miliardi. La Cina ha soppiantato gli Stati Uniti come principale partner commerciale del Brasile. L’ascesa della Cina ha contribuito a spingere gli investitori globali a riversare più di 1.000 miliardi di dollari all’anno nei mercati emergenti nel 2011, quintuplicandoli così nel giro di un decennio. Il Brasile è stata una delle principali destinazioni di questi flussi. Poiché i suoi mercati sono più trasparente di quelli cinese, alcuni investitori hanno acquistato in Brasile come un modo per puntare sulla Cina. Intanto Petrobras, la compagnia petrolifera controllata dallo Stato scopriva un grosso giacimento in acque profonde, in un momento in cui gli analisti del petrolio erano concentrati sulla scarsità dell’offerta e i prezzi stavano aumentando. Per uscire dal disastro degli anni 80, il Brasile ha tagliato le spese, stabilizzato la sua moneta e domato un’inflazione a quattro cifre. Una combinazione di rettitudine fiscale e di governo sempre più competente aveva l’obiettivo di consentire alla più grande economia dell’America Latina di convergere verso gli Stati Uniti. Alcuni economisti avevano cominciato a parlare di esportare il modello Brasile in altri Paesi emergenti. Il presidente Lula da Silva da Silva immaginava che con la manna delle commodity acquistate dalla Cina si potessero finanziare nuove strade, porti, dighe e industrie come la cantieristica navale. Il Brasile stava prendendo il suo posto tra le nazioni più sviluppate del mondo, ma è caduto sotto quella che alcuni economisti chiamano la «maledizione delle risorse», una teoria secondo cui i Paesi con abbondanti risorse naturali a volte fanno peggio di quelli che ne sono privi. La tesi è che il denaro proveniente dalla vendita di materie prime possa portare alla sopravvalutazione della moneta e all’attuazione di politiche miopi, lasciando questi Paesi gravemente esposte quando finisce il boom delle materie prime. Alcune ragioni sono strutturali. L’afflusso di valuta pregiata derivante dall’export di materie prime rafforza la moneta nazionale e questo può inasprire le condizioni per le industrie non legate alle commodity, ostacolando le esportazioni e rendendo le importazioni più economiche. Al culmine del boom brasiliano, Goldman Sachs aveva definito il real la moneta più sopravvalutata del mondo. Cinema e taxi nel centro di San Paolo costavano più che a New York. E così le industrie manifatturiere del Brasile hanno cominciato ad andare in crisi. Esaltati dai commerci con la Cina, politici di mentalità nazionalisti hanno lanciato una politica estera intesa a ridurre il ruolo degli Stati Uniti in America Latina. Il Brasile ha bloccato un’iniziativa Usa per il libero scambio tra le Americhe e si è legato sempre più strettamente a governi anti-americani come il Venezuela, l’Argentina e l’Iran. Il governo ha cominciato a spendere le somme stimate dalla vendita delle commodity ancora prima che queste venissero estratte. Le banche statali riempivano i brasiliani di credito facile. Il Brasile ha sussidiato le bollette energetiche, ha erogato prestiti a basso costo alle grandi imprese legate al governo e costruito stadi per ospitare eventi come la Coppa del Mondo di calcio del 2014 e le Olimpiadi del 2016. Ma poi il credito al consumo è rimasto senza carburante e alcuni stadi della Coppa del Mondo sono rimasti inutilizzati. Nel frattempo, il Brasile ha prodotto molto meno petrolio di quanto previsto. Interessante il caso Vale, un gigante minerario dagli stretti legami con il governo. Poiché la domanda cinese di materiali da costruzione ha alzato i prezzi del minerale ferroso da 19 dollari la tonnellata nel 2000 a 126 dollari nel 2011, i manager di Vale hanno cominciato un ampliamento del loro principale complesso industriale del valore di 16 miliardi di dollari e hanno ordinato una flotta di mega navi Valemax per trasportare il minerale in Cina. Mentre l’economia cinese cominciava a rallentare, il manager di Vale, José Carlos Martins, continuava a ripetere agli investitori che i prezzi dei minerali ferroso sarebbero rimasti alti. Così non è stato.
Il boom delle materie prime ha anche messo il turbo ad alcune pratiche malsane. I pubblici ministeri brasiliani stanno indagando decine di manager e politici coinvolti in un vasto giro di corruzione come conseguenza dell’inchiesta incentrate sull’attività di Petrobras. Anche se la corruzione affligge da lungo tempo il Paese, questa volta sono rimasti scioccati gli stessi brasiliani. Petrobras sostiene di essere stata derubata di almeno 2 miliardi di dollari negli ultimi dieci anni. Un top manager incriminato ha accettato di restituire quasi 100 milioni di dollari, mentre il leader della Camera bassa del Congresso, Eduardo Cunha, è indagato con l’accusa di aver preso 5 milioni di dollari. La Corte elettorale brasiliana ha autorizzato le indagini sui fondi per la campagna elettorale del 2014 per la rielezione della Rousseff. Il tesoriere del Partito dei Lavoratori, quello della presidentessa, è stato incarcerato per riciclaggio di denaro. La Rousseff e il suo partito negano ogni addebito. «Stiamo ristrutturando l’economia e riprenderemo a crescere con tutto il nostro potenziale», ha promesso nei giorni scorsi la Rousseff. Ma nei primi sette mesi dell’anno le esportazioni verso la Cina sono crollate del 19%. Per più di un decennio, la Cina è stata lì quando il Brasile aveva bisogno. Nel 2008, il pacchetto di stimolo di Pechino da 586 miliardi di dollari ha contribuito a riaccendere la domanda di prodotti brasiliani. Anche ora il Brasile guarda alla Cina in cerca di aiuti. E nel maggio scorso, quando alcuni investitori globali stavano cominciando a fuggire dal Brasile, Pechino ha accettato di prestare a Petrobras 10 miliardi di dollari.
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John Lyons e Paul Kiernan, MilanoFinanza 29/8/2015