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 2015  agosto 28 Venerdì calendario

COME HO RESUSCITATO LISBETH SALANDER


STOCCOLMA. L’intervista che segue è piena di omissis, come ogni segreto di Stato impone. Poco importa che le intelligence svedesi, russe e americane coinvolte siano di carta, i morti siano finti e la storia sia pura fiction. La segretezza che ha circondato il quarto volume di Millennium, la saga di Lisbeth Salander e Mikael Blomkvist, inventata dal geniale e sfortunato Stieg Larsson, ha dei risvolti paradossali. Nessuno ha letto il libro, i testi sono stati mandati ai traduttori di tutto il mondo tramite corriere, nulla via mail. Mi hanno concesso di leggere un solo capitolo, il nono, per avere un’idea del ritmo e dello stile dell’autore, David Lagercrantz. Per avere l’intervista, il mio giornale ha dovuto firmare un impegno a non pubblicarla prima di oggi, data d’uscita di Quello che non uccide, il romanzo più atteso della stagione, pubblicato in Italia da Marsilio. Titolo tratto da una citazione di Nietzsche. «Quello che non uccide, fortifica». Non è una trovata del marketing, ma un’autentica paranoia che ha preso l’autore, i suoi editor e la Norstedts, la casa editrice svedese.
Quello che in Italia sarebbe stato il segreto di Pulcinella, nella coscienziosa Svezia ha funzionato, e per questo l’intervista con l’autore è stata a tratti surreale, giocata sulla psicologia, sulle espressioni del volto, sulle negazioni, sui lapsus. Perché bisogna dirlo, David Lagercrantz non è bravo a mentire e, siccome oltre ad avere un passato di giornalista è una persona perbene, si sentiva in colpa quando negava che fossero stati venduti i diritti cinematografici e che stava già scrivendo Millennium 5. Ci sono di mezzo contratti blindati e penali salatissime. Abbiamo giocato a rimpiattino per due ore nel bellissimo palazzo della Norstedts, di fronte a Gamla, la città vecchia, in una luminosa stanza tappezzata dalle edizioni svedesi di Millennium. Quando alla fine dell’incontro ho chiesto all’ufficio stampa di vedere il libro, cortesemente Linda Altrov Beig me l’ha negato. Come se potessi a una settimana dalla data fatidica leggere seicento pagine in svedese! Mi ha però regalato un quadernetto con la cover del romanzo. Il volto di un bambino dagli occhi chiarissimi spalancati, una voluta citazione della prima edizione svedese di Uomini che odiano le donne, per sottolineare il naturale passaggio di testimone tra Larsson e Lagercrantz. Eppure sugli strilli della copertina (li ho tradotti con Google) si parla di intelligenza artificiale, di un geniale scienziato costretto a nascondersi, dell’umanità minacciata da un super computer e di un idiot savant, ma non c’è il nome di Stieg Larsson.
David Lagercrantz è un bel cinquantenne, scrittore affermato, tra i più noti in Svezia. La sua biografia su Zlatan Ibrahimovic, calciatore tra i più pagati al mondo, pubblicata in Italia da Rizzoli, è stata tra i libri più venduti nel suo Paese. Cinquecentomila copie nel primo mese. Magro, vestito di nero, con una vistosa fede all’anulare, gli occhi chiarissimi, sul volto mobile l’espressione di un uomo che sa di avercela fatta.
«Credo che l’editore e la famiglia Larsson abbiano chiesto a me di scrivere il seguito di Millennium perché ho dimostrato di sapere giocare su stili diversi, mi sento a mio agio anche in mondi a me estranei. Ibrahimovic ed io siamo cresciuti ai lati opposti della società svedese, eppure sono riuscito a integrarmi nel suo universo. Quando esco fuori da me stesso do il meglio di me. E anche entrare negli anni Trenta e Quaranta di Alan Turing, per il secondo libro, mi ha aiutato».
Leggo sul suo volto l’espressione dell’uomo soddisfatto di sé. Non è preoccupato?
«Mi aspetto di essere sommerso di critiche e di insulti, come è stato dal momento in cui è uscita la notizia che avrei scritto il nuovo Millennium. Ma le confesso che sono tranquillo con la mia coscienza, ho dato il massimo. Ho vissuto per un anno e mezzo nell’ossessione della scrittura. Ho accettato d’istinto la proposta e sono tornato a casa a piedi con la febbre addosso. In quattro giorni ho riletto la trilogia prendendo appunti. Avevo il cervello in ebollizione. Alle quattro del mattino del giorno seguente mi è tornata in mente una storia di cui mi ero occupato quando facevo il reporter. Un bambino autistico, totalmente sordo e incapace di comunicare con i genitori, un giorno, passando sotto a un semaforo, aveva strabuzzato gli occhi e, tornato a casa, senza avere mai preso una matita in mano, digiuno di prospettiva, aveva disegnato perfettamente il semaforo. Era un idiota sapiente. Allora ho cominciato a pensare: che cosa accadrebbe se una persona simile fosse testimone di un fatto orribile?».
Nell’unico capitolo che ho potuto leggere c’è un ragazzino autistico, August Balder: è lui uno dei protagonisti del libro?
«Sì, come Lisbeth Salander ha una memoria fotografica prodigiosa e avrà un ruolo importante nella soluzione del caso».
August Balder è il figlio di Frans Balder, un genio del computer, che ha inventato una macchina più intelligente dell’uomo.
(Annuisce).
Ed è pentito, per questo chiama nel cuore della notte Mikael Blomkvist.
«Come fa a saperlo?».
Mi avete fatto leggere il capitolo nove.
«È vero!».
August sta dormendo, Frans Balder chiama Mikael Blomkvist e gli dice che vuole parlargli, sente la sua scoperta in pericolo, è sotto protezione dei servizi segreti svedesi, ma ha visto un’ombra aggirarsi nel giardino. Secondo me Mikael Blomkvist arriverà troppo tardi...
«Questo non posso dirglielo».
E nemmeno vorrei saperlo per non guastare il piacere ai lettori.
«Il romanzo è pieno di colpi di scena. Per scrivere un turning pages bisogna creare una quantità di scene, come al cinema. Stieg Larsson era un mostro negli intrighi complessi. Per fare rientrare in campo Lisbeth Salander ho dovuto trovare delle scene molto forti. All’inizio sono impazzito, ero depresso, nevrotico, mia moglie Anne mi rimproverava di essere ossessivo».
Ma ce l’ha fatta, alla fine.
«Il lavoro più creativo è quando non scrivo. Ho fatto ginnastica, per tirare fuori l’energia e ho camminato come un pazzo, i ritorni a casa a piedi erano i momenti più creativi. Le scene hanno cominciato a sgorgarmi in testa a flusso continuo, e a quel punto si è posto un nuovo problema. Trovare la voce dei personaggi. Rileggendo Millennium avevo riempito pagine di appunti per capire come Larsson si prendeva cura di loro, e solo quando ho accettato di staccarmi ho potuto mettere dentro qualcosa di mio e ho iniziato a macinare, lavorando giorno e notte».
Immagino che entrare nella testa di Lisbeth Salander e trovare la sua voce non sia stato facile.
«Ero terrorizzato. Non sapevo come prendere di petto una persona così vulcanica. In genere ai miei personaggi metto dentro molte emozioni, ma con Lisbeth Salander non puoi, devi fare sentire il suo dolore e le sue pene tra le righe, altrimenti la snaturi. Il mio incubo costante era che non sarei riuscito a tirarie fuori una parola. Perciò, ho aspettato prima di farla entrare in scena».
Già. La regina dei castelli di carta, il terzo e ultimo volume di Larsson, finiva con una riconciliazione tra Mikael e Lisbeth, invece nel nono capitolo, quando Mikael trova una mail di Lisbeth, esulta perché, scrive: «Per la prima volta da un secolo aveva dato segni di vita».
«Sì, c’era stata una riconciliazione ma nel frattempo è accaduto qualcosa e i due hanno perso i contatti. Il loro rapporto non è chiaro. Che tipo di relazione hanno? Lei è innamorata di lui? Lui è una figura paterna? Lei lo amava ma è stata ferita?».
E quali risposte ha dato a queste domande che molti lettori si fanno?
«Che non sappiamo cosa sia successo tra loro. Entrambi sentono dei pettegolezzi sull’altro. Mikael Blomkvist è preoccupato, perché raccoglie voci poco rassicuranti su di lei ma, di fatto, non si sentono da diverso tempo. Lei è sparita dalla sua vita con i demoni del suo passato. Questa è la chiave di Lisbeth Salander, gli incubi della sua infanzia. Potrebbero essere passati quattro anni, ma anche dieci. I supereroi non hanno età. Se dovessi seguire la cronologia, Lisbeth Salander avrebbe quarantacinque anni. Impensabile. Superman non ha settant’anni e Peter Parker va ancora a scuola».
Torniamo agli incubi dell’infanzia. Il padre Alexander Zalachenko, detto Zala, muore nel terzo libro, eppure lei scrive: «Il suo vero buco nero era il padre, più un’altra cosa». A chi si riferisce? Chi è il nuovo oggetto della vendetta di Lisbeth?
«Non posso risponderle per non rovinare il piacere della lettura, posso dirle però che ho capito perché Lisbeth Salander è speciale. Perché è un personaggio mitologico e come altri supereroi ha un passato terribile: un padre violentatore, responsabile della morte della madre, protetto dalla polizia segreta. Tornando ai tre Millennium, sono accadute tante cose nella vita di Lisbeth Salander di cui non sappiamo, perciò sono andato indietro a ricostruire il suo passato orribile e penso di avere avuto delle idee che funzionano. La motivazione di vita per lei è la vendetta, Lisbeth Salander non può vivere senza, odia le persone che fanno male alle donne e ha scoperto altre cose del suo passato. Quel buco nero. Posso anche dirle che sono orgoglioso del colpo di scena che ho trovato».
Mi scusi, ma della famiglia Zalachenko sono morti tutti: padre, madre, fratellastro di Lisbeth. Rimane soltanto la sorella gemella Camilla. E lei il buco nero?
«Non posso dirglielo, mi spiace».
È Camilla?
«Non insista, la prego».
Allora è certamente Camilla.
«Chi è Camilla?».
Ecco, a questo punto non ho dubbi.
«Non vorrei essere scortese, ma le assicuro che bisogna aspettare l’uscita del libro». (Si mette le mani dietro la testa e noto una gora di sudore sulla camicia).
Mi scusi, ma sto facendo il mio mestiere e questa segretezza mi sembra eccessiva.
«La capisco benissimo e io certamente sono diventato paranoico, ma scrivendo di hacker ho capito quanto sia facile entrare nel computer di un altro, e per evitare ulteriori polemiche, aspettiamo l’uscita del libro. È bastato che venisse fuori la notizia ed è scoppiato il finimondo, anche di gente entusiasta, ma ho dovuto cambiare il numero del cellulare. Se non mi fossi difeso, non avrei potuto scrivere più una riga».
Allora parliamo di polemiche. Lei non si sente in colpa con Eva Gabrielsson, la compagna di Stieg Larsson che ne è uscita a bocca asciutta?
«No, provo per lei rispetto e comprensione. Le posso dire che Joakim, il fratello di Larsson, e la casa editrice hanno fatto di tutto per trovare un accordo, ma la signora Gabrielsson era sulla linea o tutto o niente! Le assicuro che la famiglia ha dato milioni e milioni alla rivista antirazzista Expo fondata da Stieg Larsson. Non avere raggiunto un accordo con lei è stata la mia spina nel fianco di questi mesi».
L’ha mai incontrata?
«No, anche se vive a Stoccolma. Mi ha attaccato pubblicamente».
Di cosa la accusa?
«Dice che non c’entro niente con il mondo di Stieg Larsson, che sono un raccomandato, un viziato, che devo il mio successo alla fama di mio padre Olof. Mi lasci però dire che trovare una copia conforme a Stieg Larsson non sarebbe stata la scelta giusta».
Potrebbe spuntare alla presentazione del libro e aggredirla, lei cosa farebbe?
«Non una piega, ha tutto la mia comprensione. Se scrivere il nuovo Millennium mi avesse dato problemi etici, non lo avrei fatto».
E che cosa direbbe a Stieg Larsson se potesse?
«Mi inchinerei. Ha saputo creare una creatura come Lisbeth Salander. Ci sono pochi personaggi indimenticabili in ogni secolo e lei è tra questi. Gli direi che è un genio, che sono molto impressionato dalla sua passione morale, e dalla sua preveggenza. Ha visto in anticipo quello che sarebbe accaduto nel mondo».
Adesso sente suoi i personaggi? Per tutta l’intervista li ha citati per nome e cognome. Lisbeth le appartiene?
«Si, ho dovuto farli entrare nel mio sistema sanguigno, è la chiave che mi ha permesso di scrivere. Ho allontanato da me Stieg Larsson e sono diventato libero, spontaneo. E nel mio cuore, mentre scrivevo, li sentivo miei».
Da Millennium non ci si aspetta alta letteratura ma puro intrattenimento. Lei però ha avuto per padre uno scrittore e importantissimo intellettuale: come ha risolto la questione?
«Mio padre disprezzava i bestseller, io come lui penso che non ci sia somma di denaro che possa compensarti per avere scritto un cattivo libro. James Patterson guadagna centinaia di milioni l’anno, ma non c’è denaro che possa giustificarlo».
A proposito di denaro, che anticipo ha avuto dalla Norstedts?
«Non so se posso dirglielo».
Me lo dica per farsi perdonare di tutti gli omissis che ha seminato nella nostra chiacchierata.
«Un milione trecentomila corone, cui bisogna aggiungere gli anticipi dalle case editrice del resto del mondo. Sono un uomo molto fortunato. Lo so».
Brunella Schisa