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 2015  agosto 27 Giovedì calendario

Mettere sul web il proprio delitto– Assassino, di sicuro. Fuori di testa, molto probabilmente, Ma pure giornalista fino agli ultimi istanti

Mettere sul web il proprio delitto– Assassino, di sicuro. Fuori di testa, molto probabilmente, Ma pure giornalista fino agli ultimi istanti. Vester Flanagan, il ‘collega’ che ieri ha ucciso in diretta televisiva una reporter e un cameraman della sua ex tv, oltre che “vendicare la strage di Charleston” come lui stesso ha scritto, voleva lasciare il segno, ‘fare notizia’, ‘bucare il video’, e il web, mettendo insieme un cocktail d’elementi da prima pagina, il sangue, le immagini, il razzismo al contrario: il nero che ammazza la bianca, giovane, carina, vestita come le protagoniste della serie tv sulle all news, NewsRoom. Accade a Roanoke, Virginia, al confine con la Carolina del Nord, dove comincia il Profondo Sud. A Roanoke, ci si va per scendere in canoa le rapide sul fiume. O ci si passa scendendo da New York o da Washington in auto verso la Florida. Ora, c’è un motivo in più per segnarsela, sulla carta dell’Unione. Ci faranno un museo sulla motorway; e venderanno i ‘memorabilia’ di Vester, che, prima di cercare di scappare, posta la scena sul web. Le cronache recenti sono strapiene dell’utilizzo dei social come strumento di propaganda criminale e terroristica, oltre che di gratuito e in fondo innocuo auto-esibizionismo. Ma, in realtà, non c’era bisogno dei social per spingere Flanagan, cronista cacciato, a uccidere Alison Parker, 24 anni, giornalista – a suo dire – razzista, e Adam Ward, 27 anni, cameraman, mentre intervistano in diretta a Bridgewater Plaza Vicky Gardner, direttrice della camera di commercio della contea di Bedford. Una scena di cronaca di provincia: routine professionale, un po’ banale. Cinema e letteratura americani sono pieni di spunti che Flanagan poteva cogliere, dove la paranoia della notizia spinge al delitto. Nel 1956, Fritz Lang diresse L’alibi era perfetto, divenuto nel 2009 Un alibi perfetto di Peter Hyams: un giornalista costruisce uno scoop sull’arresto e la condanna del procuratore generale – Michael Douglas nell’ultima versione – per un omicidio da lui commesso proprio per non mettere a repentaglio la sua nomea di grande cronista. Nel 1976, Network racconta, in chiave satirica, e con un cast di stelle – il regista è Sydney Lumet – come una tv sia disposta ad assoldare una banda di terroristi, che uccidono il diretta il conduttore del talk show pur di rilanciare l’audience che langue. E il recentissimo Lo Sciacallo di Dan Gilroy ricorda l’ossessione criminale – e venale – per la notizia e l’immagine che Asso nella Manica di Billy Wilder nel 1951 aveva già denunciato tragicamente. Il governatore della Virginia, Terry McAuliffe, un ex pezzo grosso del Partito democratico, assicura che il duplice omicidio non è “un atto di terrorismo”: l’America tira un sospiro di sollievo, niente ‘lupi solitari’ questa volta, né integralisti. Poi arriva la doccia fredda: il movente è razziale, da ricondurre alla strage di Charleston. L’incubo si ripropone: il nemico peggiore per gli americani è quello della porta accanto, la lotta fra bianchi e neri. Con un elemento in più, la forza dirompente del web che in una frazione di secondo serve il delitto su tutti gli schermi, dal pc al telefonino. Flanagan, cronista perfetto, sul posto giusto al momento giusto: del resto, l’omicidio l’ha organizzato lui.