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 2015  agosto 29 Sabato calendario

Il ritorno di Lisbeth a caccia nella Rete– VUOTA. Era così che si sentiva. Lisbeth Salander non chiudeva quasi occhio da una settimana, e probabilmente aveva anche mangiato e bevuto poco o niente

Il ritorno di Lisbeth a caccia nella Rete– VUOTA. Era così che si sentiva. Lisbeth Salander non chiudeva quasi occhio da una settimana, e probabilmente aveva anche mangiato e bevuto poco o niente. Aveva mal di testa, gli occhi iniettati di sangue e le mani che le tremavano, e in quel momento non avrebbe voluto fare altro che scaraventare a terra tutta la sua attrezzatura. Ma in un certo senso era soddisfatta, anche se non per il motivo che credeva Plague o il resto della Hacker Republic. Era soddisfatta perché aveva scoperto qualcosa di nuovo sull’organizzazione criminale di cui cercava di ricostruire la struttura, trovando le prove di un legame che fino ad allora aveva soltanto intuito o sospettato. Ma lo teneva per sé, ed era stupita che gli altri potessero anche solo pensare che si fosse introdotta nei sistemi dell’Nsa per il puro gusto di farlo. Non era un adolescente imbottito di ormoni che voleva mettersi in mostra né un’idiota in cerca di una botta di adrenalina. Se si lanciava in un’impresa del genere era perché voleva ottenere qualcosa di estremamente concreto, anche se era vero che una volta l’hackeraggio era stato qualcosa di più di uno strumento per lei. Nei momenti peggiori dell’infanzia e dell’adolescenza il computer era stato il modo di fuggire e di sentirsi meno prigioniera nella sua vita. Grazie all’informatica aveva potuto abbattere i muri e le barriere che le venivano eretti davanti e godersi qualche attimo di libertà, e sicuramente qualche traccia di tutto ciò le era rimasto dentro. Ma la cosa più importante era la caccia, quella che aveva iniziato una mattina all’alba, quando si era svegliata con il sogno di una mano che batteva ritmicamente sul materasso in Lundagatan. Non si poteva certo dire che fosse semplice. I suoi avversari si nascondevano dietro una cortina di fumo, e forse era per quel motivo che negli ultimi tempi era particolarmente insopportabile e di cattivo umore. Sembrava quasi emanare un’oscurità nuova, e a parte un pugile grande, grosso e chiacchierone di nome Obinze e due o tre amanti di entrambi i sessi, non frequentava praticamente nessuno. Aveva l’aria più da attaccabrighe che mai, con i capelli ispidi e lo sguardo cupo, e malgrado ci avesse provato non era migliorata granché in quanto a frasi di cortesia: o diceva quel che pensava o se ne stava zitta. Quanto all’appartamento di Fiskargatan, era un capitolo a sé. Era grande abbastanza da ospitare una famiglia con sette figli, ma nonostante fossero passati anni era rimasto vuoto e poco accogliente come il primo giorno. C’era solo qualche mobile dell’Ikea piazzato a caso qua e là, senza nemmeno uno stereo, forse perché non ci capiva niente di musica. Per lei un’equazione differenziale era più musicale di un brano di Beethoven. Eppure i soldi non le mancavano di certo. Il gruzzolo che anni prima aveva sottratto a quel farabutto di Hans-Erik Wennerström era cresciuto fino alla considerevole cifra di cinque miliardi di corone. Ma in realtà, ed era proprio una sua caratteristica, la ricchezza non aveva lasciato alcuna traccia in lei, tranne forse renderla ancora più spericolata. O almeno, negli ultimi tempi si era inventata cose sempre più azzardate, come rompere le dita a uno stupratore o intrufolarsi nella rete Intranet dell’Nsa. In effetti era possibile che con quell’ultima impresa avesse esagerato. Ma l’aveva considerata una mossa necessaria, e per giorni e notti ne era stata totalmente assorbita, dimenticando qualsiasi altra cosa. Ora che era tutto finito, osservava le sue due scrivanie a L con occhi stanchi, ridotti a due fessure. Sopra c’era la sua attrezzatura, il suo solito computer e poi la macchina cavia su cui aveva installato la copia del server e del sistema operativo dell’Nsa. Poco dopo aveva attaccato il computer cavia con un programma di fuzzing appositamente sviluppato che cercava falle e vulnerabilità nella piattaforma, per poi completare il lavoro con collaudi black-box e beta e un’operazione di debugging. I risultati che aveva ottenuto avrebbero costituito la base del suo virusspia, il suo Rat, perciò non aveva potuto abbassare un attimo la concentrazione. Insomma, aveva passato il sistema ai raggi X da cima a fondo, ed era proprio per quel motivo che aveva installato una copia del server a casa sua. Se avesse attaccato direttamente la piattaforma dell’Nsa, i tecnici se ne sarebbero accorti subito e fine del divertimento. Così invece aveva potuto andare avanti indisturbata, un giorno dopo l’altro, senza nemmeno perdere troppo tempo a mangiare o dormire: se qualche volta si staccava dal computer, si limitava ad appisolarsi un attimo sul divano o a scaldarsi una pizza nel microonde. Per il resto lavorava fino ad avere gli occhi iniettati di sangue per sviluppare il suo zero-day exploit, un programma che avrebbe cercato le vulnerabilità non ancora note del sistema e poi, una volta che vi si fosse introdotta, avrebbe elevato i suoi privilegi. A dire la verità, era una gran figata. Marsilio editore 2015