Elisa Manacorda, L’Espresso 28/08/2015, 28 agosto 2015
IL ROBOT E LA BAMBINA
Guardavo su Internet un video di un ragazzo in grado di risolvere il cubo di Rubik in 10 secondi. Ho provato anche io, e sono riuscita a farlo in 40 secondi. Poi ho pensato: magari un robot può farlo meglio di me. E così ne ho costruito uno. Eccolo qui». Al Festival dell’Innovazione di Bari, Ilaria Capitanelli mostra con orgoglio la sua creatura. Dodici anni, gli occhi chiari nel viso minuto, parla con un filo di voce. Ma ha le idee chiarissime. «Per Natale ho chiesto un kit della Lego Mindstorms (il brand robotico della casa di mattoncini colorati, ndr.). Poi ho cercato sul web i tutorial di programmazione. Ho fatto una base con le ruote, ho inserito un sensore di luce che rileva i colori scansionando le facce del cubo, poi ho applicato un braccio meccanico collegato al motore che fa girare il cestello nel quale è posizionato il cubo. Il computer calcola le mosse: con questa configurazione», dice Ilaria indicando il display del robot: «Lo risolviamo in 30 movimenti».
Un piccolo genio? Niente affatto. Solo una bambina sveglia e curiosa, che ha avuto l’opportunità di crescere a pane e robotica. Anzi: a scuola e robotica. Ilaria frequenta infatti la seconda media dell’Istituto comprensivo Japigia1-Verga, 1200 alunni dai 3 ai 15 anni in un quartiere complesso e a volte difficile di Bari.
Qui, sin dalla scuola dell’infanzia, aritmetica e geometria, ma anche geografia, storia, italiano, si insegnano (e si imparano) anche con l’aiuto dei robot. «Per noi la robotica è uno strumento fondamentale non tanto per diventare esperti di tecnologia, ma per imparare a ragionare nella vita di tutti i giorni. Programmare un BeeBot, una piccola ape a rotelle che si muove su un percorso dato, insegna ai bambini a porsi un obiettivo, a formulare un’ipotesi, a procedere per tentativi ed errori», spiega Patrizia Rossini, la dirigente dell’Istituto che quattro anni fa, grazie a un finanziamento del ministero dell’Istruzione (34 mila euro), ha messo in piedi corsi di formazione in robotica per i suoi docenti, e acquistato i primi componenti. Oggi, dopo un esordio difficile – genitori e insegnanti non riuscivano a capire il senso di questa iniziativa, spiega Rossini – la scuola fa fatica a soddisfare tutte le richieste di iscrizione, e gli studenti partecipano con successo alle gare nazionali e internazionali, portando a casa premi e riconoscimenti. Il prossimo appuntamento è a Pechino, per la 2015 VEX Robotics World Championship, con ragazzi da tutto il mondo. E l’anno prossimo Bari ospiterà, unica metropoli del meridione, la gara nazionale di robotica per le scuole.
Eppure, non siamo in un istituto per soli geni. Japigia è un quartiere difficile. Ma questo è uno stimolo in più per garantire a tutti la possibilità di sperimentarsi con le macchine. «Grazie ai robot, persino i bambini più timidi e impacciati riescono a dare il meglio di sé: fare, invece che parlare, per loro è un grande aiuto», continua la dirigente. Programmando software e assemblando sensori si impara la collaborazione, il lavoro di gruppo, il problem solving, e tutti sono partecipi dell’apprendimento. Le tabelline si memorizzano velocemente, si capiscono meglio angoli e figure geometriche. Studiare la geografia è divertente: si programma un robot in grado di eseguire un percorso definito su una cartina disegnata a terra, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, e per ogni tappa si racconta la storia di quella regione. La storia? «Tracciamo una linea del tempo, e programmiamo robot in grado di muoversi dalla preistoria alla Seconda guerra mondiale», dice Rossini.
Con i robot si fa persino attività motoria: Giorgia, piccola atleta di ginnastica artistica, ha programmato un robot che riproduce alcuni dei suoi movimenti. E danza con lei.