Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  agosto 28 Venerdì calendario

POLETTI, VITA E DISAVVENTURE DEL PALLOTTOLIERE RENZIANO

Giuliano Poletti è un po’ il Pavolini di Matteo Renzi: i suoi comunicati di vittoria arrivano dalla trincea del lavoro e sempre informano gli italiani che “abbiamo spezzato le reni della disoccupazione” o “della precarietà”, salvo poi ritrovarseli il giorno dopo – mancanza di lavoro e precariato – con le reni perfettamente a posto. Diciamo che l’ottimismo della volontà non gli fa difetto quanto la ragione (pessimista o no che sia) e la capacità di leggere i numeri: prova ne sia l’ultimo “errore” sui 630mila nuovi contratti stabili che invece sono meno della metà (anzi, a guardar bene solo 117mila).

Infortuni: da Buzzi a Boeri
Che il nostro ministro del Lavoro sia percepito come un inguaribile ottimista lo dimostra un episodio di luglio: all’assemblea degli industriali di Vercelli, sul palco, lo hanno acclamato responsabile dello Sviluppo economico. D’altronde, se lo sviluppo si misurasse coi comunicati stampa, lui ne sarebbe il motore. Il nostro – classe 1951, perito agrario, una vita tra Pci e cooperazione rossa fino alla presidenza di Legacoop, ruolo dal quale benediceva con la sua presenza le cene della 29 Giugno di Salvatore Buzzi – non se l’è presa a male. D’altronde, uno arrivato al ministero su indicazione della fu “ditta” bersaniana” e rapidamente convertitosi al nuovo corso sa come prendere la vita: e dire che infortuni e smentite non gli sono mai mancati.
Giusto un anno fa, sul Corriere della Sera, annunciò un intervento sulle pensioni d’oro e una sorta di “scivolo” per l’assegno Inps ai cassaintegrati. Renzi lo maltrattò addirittura dall’Iraq e lui fece pubblico autodafé proprio al Meeting ciellino di Rimini (“nessun intervento sulle pensioni nella manovra”).
Il tema pensioni, peraltro, è uno di quelli che gli ha creato più dolore: a dicembre, per dire, il premier gli ha imposto l’economista Tito Boeri come presidente Inps e quello ora annuncia riforme delle pensioni come se il ministro fosse lui. Se non tocca palla sulla fine della carriera lavorativa, però, il nostro ha provato almeno a rivoluzionarne l’inizio: “Tre mesi di vacanze scolastiche sono troppi. Non troverei niente di strano se un ragazzo lavorasse tre o quattro ore al giorno per un periodo preciso durante l’estate”. Sia chiaro, quel che nell’universo di Renzi e Poletti si chiama “periodo formativo” è lavoro gratuito. D’altra parte, per il ministro in Italia di lavoro ce n’è così tanto che l’unico modo di darlo via è gratis.

Nuovi lavori: l’uomo che migliora i numeri
L’ottimismo, si sa, è il sale di Poletti. Non lo scoraggia il fatto che dal decreto che porta il suo nome – quello che rende più agevole fare contratti a termine e risale alla primavera 2014 – non abbia praticamente toccato palla: non solo la legge delega nella sua forma finale, ma pure i decreti attuativi del Jobs Act se li sono scritti a Palazzo Chigi. Ormai non lo informano nemmeno sul calendario: mercoledì al Meeting di Rimini ha annunciato che gli ultimi 4 dlgs sul lavoro sarebbero andati in Consiglio dei ministri ieri. Niente: Renzi l’ha chiamato e ha dovuto smentire. Non solo: Poletti ha fatto circolare una bozza di decreto attuativo in cui si ridimensionava la possibilità di “spiare” i dipendenti attraverso i controlli a distanza e Palazzo Chigi ha passato la velina contraria ai giornali (“Renzi vuole non si cambi nulla”). Ce n’è abbastanza da amareggiare l’uomo più calmo, ma Poletti non è calmo: è olimpico.
Il fatto è che non fa più il ministro: ormai è una sorta di bizzarro pallottoliere umano che conta i nuovi contratti. Non gli interessa che – secondo l’unica fonte ufficiale, Istat – la disoccupazione sia al 12,7%, come a febbraio 2014, quando arrivò al ministero: Poletti vede tutti quei milioni di nuovi contratti ed è felice. Come ha dimostrato in molte occasioni fin dall’anno scorso, sottrarre i nuovi contratti attivati a quelli cessati è operazione troppo complessa per lui. Capire che il trend – da maggio – segnala un impennata dei contratti a termine gli risulta complicato.
Lui è convinto di vivere nel migliore dei governi possibili ed è la realtà che deve adeguarsi. Valgano, quanto al rispetto dei fatti, le parole del presidente dell’Istat Giorgio Alleva al Fatto: “Quelli forniti dal ministero e dall’Inps sono dati di fonte amministrativa, non ‘statistiche’. Valutare il saldo tra attivazioni e cessazioni dei contratti come se fosse un aumento di teste, cioè occupati, è una approssimazione non accettabile”. Quell’approssimazione, però, è lo spazio politico di Poletti, il suo nuovo ruolo istituzionale. Certo, è un gioco che riguarda una tragedia nazionale: se non fosse ovvio che il prossimo ministro sarebbe anche peggio, ci sarebbe da chiederne le dimissioni.