Simone Battaggia, La Gazzetta dello Sport 28/8/2015, 28 agosto 2015
TREVISAN, DA ESTREMO A PRETE
«Cèo, no te ‘ndarà miga a far el prete? ». Ruggero Trevisan se l’era sentito chiedere, nei mesi scorsi. Qualche compagno del Benetton aveva intuito. Campagnaro, Favaro, Nitoglia e gli altri ragazzi che nell’ultimo anno gli erano stati più vicino, che con lui avevano condiviso esperienze di volontariato e lunghe serate di chiacchiere, forse immaginavano che ci fosse qualcosa di più di una serie di infortuni, dietro alla sua scelta di dire addio al rugby. Il fisico ti fa mollare a 35 anni, non a 25. Per un ragazzo che aveva iniziato a giocare da bambino, che aveva costruito la sua vita attorno alla palla ovale fino a diventare professionista, per il Ruggero che avevano conosciuto, una decisione del genere doveva avere una motivazione più profonda. E quella domanda in dialetto era più di una battuta.
«CHE FIGATA» «Io però non potevo rispondere — racconta ora l’ormai ex estremo del Treviso —. Non sapevo ancora se mi avrebbero preso in seminario. E poi ero vincolato al silenzio. Il 5 settembre 2014 avevo iniziato il percorso di verifica. Mi vedevo con il colletto bianco, ma avevo bisogno di tempo per capire cosa significasse. Non potevo dirlo a nessuno, nemmeno ai miei genitori». Ora che l’ha detto a tutti, Ruggero Trevisan parla della sua scelta con serenità. Il tono della voce rivela la coscienza del percorso fatto e la certezza di aver preso la strada giusta. «Certo, è una decisione strana di questi tempi, me ne rendo conto. Fino a quattro anni fa non ero credente. Sentivo che c’era qualcosa di più grande, ma la mia curiosità non andava oltre. Da ragazzino non avevo nemmeno fatto la Cresima. Allora andavo avanti e indietro da Caorle a San Donà per gli allenamenti, tempo per il catechismo non ne avevo. Ma così come il rugby allora mi portava via dalla spiritualità, più tardi me l’avrebbe fatta incontrare. Pensa che figata».
FATICA L’incontro è avvenuto durante la sua stagione agli Aironi, nel 2011-12. «Un giorno a Caorle conobbi alcuni amici di Comunione e Liberazione. Mi colpì subito la profondità del rapporto tra di loro, l’interesse che nutrivano per le persone. Così, quando sono tornato in Emilia, ho cercato un contatto con il movimento. L’ho trovato a Reggio Emilia, nella Fraternità San Carlo Borromeo». A fine stagione Trevisan passò alle Zebre, a Parma. Giorno dopo giorno osservava la propria vita cambiare. «Avevo una ragazza, ma nel 2012 ci siamo lasciati. Era destino che finisse così. Io volevo capire quale fosse la mia strada, ciò che avevo non mi bastava. Più andavo avanti, meno mi interessava il rugby. Vedevo i compagni che a fine stagione tornavano in palestra ad allenarsi. Lo facevo anch’io perché ho sempre affrontato lo sport con professionalità, ma facevo tanta fatica. Quando avevo un po’ di tempo libero andavo a far volontariato, nelle case d’accoglienza per gli orfani o dai ragazzi passati per adozioni fallite. Giocavo, davo una mano a fare i compiti, stavo con loro». Nell’estate 2014, dopo due stagioni e 22 presenze in Celtic League con le Zebre, Trevisan è passato a Treviso. «Ho giocato solo due partite, con Llanelli e Northampton, per il resto sono rimasto fermo per infortunio. In tre anni mi sono operato tre volte, alla spalla destra, a un metacarpo della mano destra e all’ernia del disco. Gli infortuni hanno fatto combaciare tutto. I fatti della vita mi indicavano la stessa direzione».
MISSIONE E così Trevisan ha deciso di lasciare il rugby e abbracciare un’altra vita. «No, non mi sono mai sentito a disagio in spogliatoio. Le parolacce scappano pure a me. Non ho mai cercato di catechizzare, non mi interessano le posizioni moralistiche, sbagliano tutti e posso sbagliare anch’io. Quando c’era qualcosa che non mi andava, però, lo dicevo. E cercavo di raccontare ai compagni ciò che mi succedeva. Per essere felice, a me non basta andare ogni sera con una ragazza diversa o cambiare macchina. Alcuni lo capivano, altri no». Ma il rugby ha plasmato Trevisan e alcuni valori lo accompagneranno. «Il rugby ti insegna che non vivi da solo. Ci sono i compagni, gli amici, nei loro confronti hai una responsabilità. E poi capisci cos’è il sacrificio. Ti alleni e giochi anche se sei stanco e vorresti mollare, come succede nella vita. Sono sicuro che questa esperienza mi aiuterà nei momenti difficili in seminario». Il cammino di Trevisan inizierà l’8 settembre a Roma, quartiere Boccea, nella Fraternità San Carlo Borromeo. Tre giorni dopo l’esordio di Treviso in Celtic League col Munster. «Per tre anni studierò filosofia, poi mi manderanno un anno in missione, infine avrò altri tre anni di studi di teologia. Vorrei fare il missionario. E sì, se girerò per il mondo porterò con me la palla da rugby».(ha collaborato Emanuele Spironello)