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 2015  agosto 28 Venerdì calendario

LA SICCITÀ? È UNA RAGIONE DI “VITI”

Quando hai la luce non pensi alla lampadina, quando hai l’auto non pensi al motore a scoppio, quando hai l’acqua in casa non pensi all’acquedotto. Vista da una collina di Langa, questa vendemmia promette molto bene. Sì, l’annata è stata anormale, i vecchi non ne ricordano una simile: tanto caldo, siccità, vento africano, il sole che ha bruciato le foglie persino delle acacie, l’albero più resistente e infestante. La vite si esalta nella siccità, non così gli uomini. Un’annata così in epoche passate sarebbe stata un dramma. I pozzi sono asciutti, le cisterne che hanno raccolto l’acqua piovana vuote da tempo, ma la mancanza di pioggia non fa più paura. Non è come nel 1921, quando la “grande sete” provocò morti e carestia. Non è come nel passato, quando in situazioni simili carovane di buoi si avviavano verso la sorgente più vicina (e magari distava chilometri e chilometri di distanza) per far rifornimento di acqua, più per le bestie che per gli uomini. Quest’estate mi è capitato di leggere un curioso libro che ho divorato con avidità perché racconta la storia della mia terra. Il libro si chiama La grande sete, un vecchio testo del giornalista Ernesto Cardone riscoperto negli archivi del CALSO (Consorzio Acquedotto Langhe sud Occidentali) con sede a Dogliani, e pubblicato in occasione dei sessant’anni della nascita del Consorzio. La Langa, specie la Bassa, è un territorio siccitoso, ha sempre patito la sete. L’Alta Langa, quella che finisce a Montezemolo, sta un po’ meglio, ma l’acqua, a casa mia, bisognava tirarla su dal pozzo. Quella di CALSO è una storia di acque potabili, una storia di uomini lungimiranti: dal marchese Mario Cordero di Montezemolo all’ing. Ugo Mazzarelli, da Luigi Einaudi (allora presidente della Repubblica) a Luigi Secco (nomen omen), un giudice di origini langarole che viveva a Genova e si batterà tutta la vita per la sua terra: «Senz’acqua è destinata alla morte. Bisogna sconfiggere questo flagello».
Fanfani & Einaudi. Nel 1952, l’allora ministro dell’Agricoltura Amintore Fanfani, in visita nelle Langhe, viene duramente contestato: «Hai dato la casa agli operai, dà l’acqua ai contadini». Fanfani si rifugia a Dogliani, a casa Einaudi. Sessant’anni fa si moriva ancora per mancanza d’acqua: spesso i pozzi s’inquinavano (bastava vi cadesse una carogna), l’igiene era quello che era, la mortalità infantile molto alta. La storia di CALSO è la storia di un gruppo di uomini coraggiosi che, un po’ per necessità, un po’ per avvedutezza, hanno saputo dar vita a un consorzio vitale. Dal primo nucleo di 17 comuni (alcuni nomi: Dogliani, Castelnuovo, Murazzano, Sale Langhe, Bossolasco, Paroldo, Farigliano…) sono passati ora a 22. La siccità non fa più paura, non è più ragione di vita o di morte. Se mai di vite, intesa come uva. Cui un po’ di secco fa anche bene.