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 2015  agosto 28 Venerdì calendario

TREVISAN SPIAZZA TUTTI:« CIAO MIO CARO RUGBY, DIVENTO MISSIONARIO»

Il problema era porgere l’altra guancia. Perché quando giochi a rugby arrivano certe sventole che è difficile mantenere la calma. E Ruggero Trevisan è sempre stato un tipo sanguigno. Uno dai modi spicci, alle volte pure un po’ troppo manesco. Adesso però basta: «Da oggi farò il bravo, giuro». L’estremo della Benetton Treviso, 25 anni, una montagna di muscoli e simpatia, una vita con la maglia della Nazionale, lascia lo sport professionistico. Entra in seminario.
Niente più mischie e percussioni, zuffe nel fango e tutta quella birra del terzo tempo. Addio alla palestra, al campo. Ad uno stipendio importante, al sogno di battere un giorno gli All Blacks. E’ successo così, poco alla volta e tutto di un colpo. «Come un placcaggio che ti toglie il fiato, e ti fa ripensare a tutto». Fino a quattro anni fa non era credente. «Nemmeno cresimato. Capirài, da ragazzino a San Donà ero preso solo dagli allenamenti. Finita la scuola correvo a giocare, felice. Figuriamoci se c’era tempo per il catechismo ». Un predestinato: tre vittorie di fila nel Trofeo Topolino che non era ancora adolescente, poi la maglia azzurra nelle categorie giovanili, l’Accademia federale e il primo contratto con Parma, quindi la franchigia dei Crociati e le Zebre. La lega celtica, la Nazionale. Un veneto veloce e robusto, tecnico e lottatore: meglio estremo però anche ala, mediano di apertura. Poi, nel 2011, un incontro casuale con amici di Comunione e Liberazione. «Rimasi molto colpito dal rapporto che c’era tra di loro, dall’interesse profondo che avevano per le persone. E quando tornai al club mi misi in contatto con qualcuno del movimento ». Un percorso di crescita e maturazione simile a quello sportivo. «L’anno successivo ho lasciato la mia ragazza. Niente di traumatico. Semplicemente, stavo cercando qualcosa di diverso. Continuavo a comportarmi da professionista, mi allenavo seriamente e in partita cercavo di dare il massimo. Ma lontano dal terreno di gioco ho cominciato a fare volontariato. Ad occuparmi di giovani. Orfani, ragazzi passati attraverso esperienza fallimentari di adozioni ». Dice che il rugby lo ha aiutato. «Moltissimo. Perché la solidarietà, la condivisione, il senso di responsabilità e di appartenenza ad un gruppo sono le basi di questo sport. Ti fanno capire quanto sia importante sacrificarti per gli altri». Uno che lo conosce bene è Vittorio Munari, a lungo direttore sportivo della Benetton Treviso. E’ lui che lo aveva voluto di nuovo in Veneto. «Un buon giocatore. Ma soprattutto un ragazzo puro. Coscienzioso, leale. Io credo stesse maturando questa sua scelta da due-tre anni, ma non lo sapeva neppure lui».
I compagni di squadra però in qualche modo se n’erano resi conto,se è vero che Ruggero prima ha avvertito l’attuale ds dei biancoverdi – Antonio Pavanello – per dirgli che avrebbe rinunciato ad un altro anno di contratto. E poi si è presentato nello spogliatoio dai compagni di squadra e ha parlato poco ma chiaro: «Mi faccio prete».
Lo hanno abbracciato senza fare domande, senza sorprendersi. Un’altra festa, come un terzo tempo. Ruggero Trevisan, che in quei giorni avrebbe dovuto giocare da titolare contro gli irlandesi del Munster, l’8 settembre scenderà in campo a Roma: Fraternità Vittorio Borromeo, tre anni di studi filosofici poi altri tre di teologia e una vita da missionario. «A battermi insieme e per gli altri. In fondo, è un’altra partita di rugby» .