Paolo G. Brera, la Repubblica 28/8/2015, 28 agosto 2015
«TRECENTO EURO PER UN PASSAGGIO». ECCO CHI FA SOLDI SUI DISPERATI
«Taxi? Trecento euro a testa. Budapest », dice un tipo sbrigativo in un inglese essenziale affacciandosi al ciglio del parcheggio della stazione di servizio. Amer, yazida di Mosul, sorride e fa segno con la mano: «No grazie, abbiamo già un taxi». «Duecentocinquanta», ribatte l’uomo. «Ok, 200. Quanti siete? Tutta la macchina 500».
Il pomeriggio ci sono i saldi, alla stazione di servizio Omv di Roszke, il primo bivacco dei profughi entrati in Ungheria dalla Serbia e scampati alla cattura. «Stamattina – racconta Amer un gruppo di siriani è partito in un grosso furgone. Sono i trafficanti ad avvicinarsi e a chiedere se vuoi un passaggio. Passano di continuo». Budapest è a 180 chilometri di autostrada, la tariffa media standard è 250 euro a testa per un comodo viaggio in auto. E se non li hai? «Puoi andare in autobus o in treno, ma il rischio dei controlli di polizia è alto, soprattutto per proseguire il viaggio verso Vienna» dice l’avvocato Mohamad al Hariri, siriano di un paese a 20 chilometri da Damasco. Il taxi dei trafficanti è un servizio abominevole ma di prima classe. La meta è unica per tutti: Vienna, e da lì la Germania; poi ognun per sé, dove ti sembra meno difficile ricominciare una vita.
Ma è nel piazzale dell’area di servizio di Roszke che molte di queste storie cominciano. «La notte è una baraonda”, dice la donna che gestisce il parcheggio dei tir in fondo alla rampa di uscita dall’autostrada. «Dovete tornare di notte, quando la stazione di servizio si riempie di profughi. Ma fate attenzione agli “zingari”, sono loro che gestiscono il traffico. Gente pericolosa. Caricano i profughi in auto e li portano a Budapest». Anche nei tir? «Non so, quelli che parcheggiano nel mio piazzale no di certo; nell’area di servizio non so».
Dopo le 22 il confine tra la Serbia e l’Ungheria cambia volto. Centinaia di profughi che di giorno hanno varcato la porta sempre aperta lungo il binario singolo di una ferrovia secondaria sono tornati indietro appena hanno capito che proseguire signifi- cherebbe essere accolti dai pullman della polizia ungherese, e portati nei campi per l’identificazione. «Se ti rifiuti ti rimandano indietro, se accetti rischi di non poter andare in nessun altro paese europeo. La Germania dice che accetterà le persone che si sono lasciate prendere le impronte digitali in Ungheria, ma non mi fido », dice Abood, 23enne studente di Ingegneria a Latakia, la città di Assad. Lui è riuscito a passare: lo hanno aiutato alcuni giornalisti, accompagnandolo in auto alla fermata del bus. Gli altri finiscono in una radura di stoppie in cui la polizia ungherese li accoglie inviandoli ai pullman.
Chi torna in Serbia si accampa sulla massicciata, tra i vigneti, e sotto i pruni, ad aspettare l’ora buona per ritentare senza essere intercettati. Coperti dalle tenebre passano il confine e si rimettono in cammino. Li incontri lungo l’autostrada, sul ciglio delle strade. «Noi abbiamo attraversato il confine ieri notte sotto il filo spinato – dice Amer, lo yazida nell’area di servizio - e abbiamo fatto chilometri a piedi per arrivare qui. Non ci fidiamo di questi autisti abusivi. Sono mafiosi, paghi in anticipo e non sai come andrà a finire. E poi noi abbiamo già pagato 800 dollari anticipati in Iraq alla nostra guida in cambio di un piano di viaggio con tutti gli appoggi necessari. Siamo arrivati in Turchia in bus e abbiamo dormito a Istanbul nel suo albergo, poi in Bulgaria dove ci hanno rimandati indietro due volte, e infine in Serbia e qui. Ora aspettiamo il marito di mio sorella, che è arrivata dieci giorni fa a Berlino. Verrà lui a prenderci».