Walter Passerini, La Stampa 28/8/2015, 28 agosto 2015
LAVORO, STOP ALLA GUERRA DEI NUMERI
Non sappiamo se ha ragione chi dice che la statistica è la terza menzogna (dopo le bugie e le grandissime bugie) oppure una raccolta di dati per governare meglio. Certo è che la lotteria dei numeri su contratti e occupazione di questi giorni l’ha relegata nell’ambito dei fenomeni aleatori.
Del resto, diceva Winston Churchill, le sole statistiche di cui ci possiamo fidare sono quelle che noi abbiamo falsificato. Non di questo, per fortuna, si tratta nel dietrofront dei numeri pubblicati e ritirati dal ministero del Lavoro, bensì di «errore umano», assicurano al dicastero di Giuliano Poletti, che forse nella fretta di sottolineare più le luci delle ombre ha causato la scomparsa di 1,4 milioni di cessazioni (sono 4 milioni e non 2,6), con un effetto domino sulle altre componenti dei dati. La vicenda è emblematica e chiama in causa la necessità di cambiare sistema, all’insegna del coordinamento e della chiarezza di numeri e fonti, non per manipolarle, ma per non confondere un’opinione pubblica diffidente.
Ogni mese è un supplizio e un derby, che assomiglia a una lotteria nazionale. Istat, Inps e ministero del Lavoro escono con dati diversi, frequenze diverse di pochi giorni e oggetti d’indagine diversi, che creano disorientamento. Urge intervenire. Per esempio per spiegare che le tre fonti dei dati su contratti e occupazione utilizzano panel diversi. L’Istat, nell’ambito di protocolli europei coordinati da Eurostat, pubblica mensilmente i dati su occupati e disoccupati sulla base di un’indagine campionaria su individui e famiglie (45mila persone a giugno) con panel precisi e segmentati.
L’Osservatorio Inps pubblica i dati sui rapporti di lavoro attivati e cessati e, a partire dal report di giugno, offre un campo di osservazione riferito esclusivamente ai lavoratori dipendenti del settore privato (esclusi lavoratori domestici e operai agricoli) ed ai lavoratori degli enti pubblici economici; rileva tutti i rapporti di lavoro attivati nel periodo, anche quelli che riguardano uno stesso lavoratore, comprendendo tutte le tipologie di lavoro subordinato, incluso il lavoro somministrato e il lavoro intermittente.
Il Ministero, infine, pubblica mensilmente i dati delle Comunicazioni obbligatorie su attivazioni e cessazioni (escluso il lavoro domestico e la pubblica amministrazione), con un profilo quindi di tipo amministrativo, segnalando il numero dei contratti avviati e cessati e non quello delle persone. Se a questa fornitura di numeri ogni trenta giorni aggiungiamo il filtro delle interpretazioni, degli enti preposti, del Ministero e, perché no, dei media, il diluvio scaricato sulla testa dei cittadini ha l’effetto di uno tsunami. L’informazione è un bene prezioso in una democrazia, ma di eccesso di dati, tra l’altro non comparabili tra loro, si può anche morire.
La controprova l’avremo presto: martedì 1 settembre l’Istat pubblicherà i dati su occupati e disoccupati di luglio; speriamo di non dover assistere a un’ennesima litania di commenti, di dati e controdati, che trasformano la statistica in un suk numerologico più vicino agli esoterici e ai seguaci della cabala che al governo del mercato del lavoro.
E speriamo anche che alla guerra dei numeri possa seguire entro pochi giorni l’approvazione definitiva degli ultimi quattro decreti attuativi delle deleghe del Jobs Act, inopinatamente rinviati. Semplificazioni e controlli, agenzia ispettiva unica, riordino della cassa integrazione e agenzia per le nuove politiche attive del lavoro non possono più aspettare.
Usciamo dal pantano: solo con trasparenza e determinazione potremo creare e veder crescere nuova occupazione.