Francesco Guerrera, La Stampa 27/8/2015, 27 agosto 2015
PRESTITI E MUTUI CON UN CLIC, COSÌ LA FINANZA ONLINE ASSALTA IL FORTINO DI WALL STREET
Renaud Laplanche non pare il tipo da far tremare Wall Street. Cordiale, pacato e francese, il fondatore del Lending Club sembra un ex-giocatore di tennis e parla di finanza senza l’aggressività e l’ambizione tipiche dei banchieri di New York.
Eppure questo dinoccolato signore quarantaquattrenne che mi accoglie con la camicia fuori dai pantaloni è uno dei generali nella guerriglia di Silicon Valley contro il vecchio mondo del denaro.
«Risolviamo i problemi di clienti e investitori con la tecnologia non con le persone e la burocrazia», mi dice Renaud e potrebbe essere il motto di un’industria intera.
La chiamano «fintech», parola che amalgama finanza e tecnologia. È la nuova frontiera, e la più grande paura, di Wall Street: una progenie di società che utilizza super-computer per rendere obsolete le banche «tradizionali».
Società come il Lending Club, connette via Internet chi di soldi ne ha bisogno e chi li vuole dare in prestito, senza passare per le banche. O Quicken Loans, dell’imprenditore-agitatore Dan Gilbert, sta mettendo in difficoltà rivali più grandi e blasonati offrendo mutui in tempi ridotti e con buoni tassi. O Kabbage, il cavolfiore con la kappa, offre a piccole aziende fino a 100 mila dollari in prestito in pochi minuti.
NUOVI GIOCATORI IN CAMPO
Per investitori e consumatori, l’entrata in campo di nuovi giocatori, con il desiderio, la capacità e i soldi per sfidare la supremazia delle banche, dovrebbe essere una cosa positiva – un barlume di buone notizie in questi giorni di tumulto nei mercati azionari.
«Nuove facce e nuovi nomi stanno cambiando il modo in cui prendiamo prestiti e utilizziamo le banche», a dirlo non è stato un ragazzino di belle speranze a Silicon Valley ma Goldman Sachs – la banca d’affari per eccellenza – in un enorme tomo sulla nuova finanza che è diventato subito lettura obbligata per i signori del denaro.
La conclusione di Goldman ha fatto scalpore: nei prossimi cinque anni, questo nuovo settore potrebbe «prendere» 11 miliardi di dollari dagli utili delle banche, circa il 7% di tutti i soldi guadagnati dalle grandi della finanza Usa l’anno scorso.
È una cifra altissima che conferma i patemi delle varie JP Morgan, Citigroup e compagnia: non possono più ignorare la «fintech» e le sue sorelle, le «shadow bank», le «banche ombra» che operano al di fuori del sistema tradizionale.
«I nostri concorrenti più pericolosi stanno nei dintorni di San Francisco, non a New York», mi aveva detto un alto dirigente di una delle grandi banche prima che partissi per il mio viaggio da costa a costa.
La «fintech» è ormai una realtà, con migliaia di utenti e dipendenti, miliardi di dollari in gioco e società quotate in Borsa. Nel mio peregrinaggio sulla costa Ovest volevo analizzare i tempi di questa esplosione in un settore che quasi non esisteva un decennio fa. Perché proprio ora? Per anni, la finanza ha resistito all’onda tecnologica che ha sommerso altre industrie, come la musica, lo shopping e i media.
LA LENTEZZA DELLE BANCHE
Ci siamo tutti abituati a comprare le scarpe sul computer, ad ascoltare la musica sul telefonino e a prenotare l’aereo mentre beviamo il caffè, ma nessuno di noi si meravigliava quando la banca ci metteva una settimana per versare un assegno sul nostro conto-corrente o richiedeva un incontro di un’ora durante orari di apertura antidiluviani per discutere di un mutuo.
Erano inefficienze che il sistema dava per scontate, anche se di sconti non ce n’erano proprio: gli utenti le accettavano, i regolatori le tolleravano e, ovviamente, le banche non alzavano paglia.
Renaud ammette di non averci pensato fino al 2006, quando era in vacanza in Francia. Aveva appena venduto la sua società di software a Oracle e si voleva prendere sei mesi sabbatici.
«Avevo tempo e allora ho aperto l’estratto conto della mia carta di credito», mi ha raccontato. «Ho visto che i tassi d’interesse se non pagavo tutto subito erano del 18%. Poi, ho aperto la lettera mensile della mia banca e ho visto che ricevevo 0,4% d’interessi al mese sui miei risparmi. Allora ho pensato: “Ci deve essere un modo migliore per far pagare meno a chi riceve prestiti e offrire un ritorno più appetibile a chi i soldi li dà».
E fu così che, dopo poche settimane, Monsieur Laplanche mise fine al mezzo anno sabbatico e si gettò nella rivoluzione del denaro.
Il nome tecnico di società come Lending Club è «peer-to-peer lending», i prestiti da pari a pari, ma è solo un modo pretenzioso di spiegare un concetto semplice – la tecnologia di oggi permette di collegare la domanda e l’offerta di capitale. Kickstarter, la piattaforma Internet per tirare su soldi per qualsiasi progetto, sta offrendo un servizio simile in un settore limitrofo.
Queste aziende si stanno appropriando di una delle funzioni storiche delle banche: trasferire e «trasformare» il denaro in maniera tale che possa essere utilizzato da chi ne ha bisogno quando ne ha bisogno. Da questo sistema, le banche derivano pagamenti, ma anche il potere di controllare flussi giganteschi di denaro.
I FLUSSI DI DENARO
È proprio lì che Lending Club, Kabbage e tanti altre piccole società stanno andando all’attacco, con successi notevoli. La crescita di queste piattaforme è stata rapidissima. Nei primi tre mesi del 2011, Lending Club aveva facilitato solo 46 milioni di dollari in prestiti in tutti gli Stati Uniti. Negli ultimi tre mesi, ha fatto quasi due miliardi di dollari, in gran parte per gente che voleva pagare i propri debiti sulle carte di credito. Alla fine dell’anno dovrebbe arrivare a quasi 8 miliardi, con almeno un milione di utenti.
Renaud mi dice che il prossimo anno, Lending Club lancerà un altro prodotto, per ora segreto, ma che potrebbe includere prestiti per macchine o persino per case. Nel frattempo, i rivali non stanno fermi: nel 2014 quasi la metà dei mutui negli Usa è stata venduta da «non-banche», tipo Quicken Loans. Nel 2009 era solo il 10%.
Gli strateghi della battaglia del «fintech» parlano della crisi del 2008-2009 come il momento ideale per la loro offensiva contro «l’ancien regime» di Wall Street. Hanno utilizzato tre armi: tecnologia, opinione pubblica e regole.
L’informatica è stata fondamentale. Lo sviluppo di algoritmi sempre più sofisticati ha permesso di ridurre costi e accelerare processi senza compromettere la qualità dei prestiti. Una banca deve pagare l’infrastruttura umana ed edile che ha accumulato nel corso dei decenni: migliaia di filiali, cassieri, guardie giurate, segretarie etc. etc. Renaud deve solo pagare l’affitto di un ufficio a San Francisco, i pochi cervelloni che producono il software e quelli che fanno il marketing. Secondo Goldman Sachs, i costi del Lending Club sono quasi la metà di quelli dell’American Express, il gigante delle carte di credito.
Le spese minori permettono ai nuovi arrivati di offrire tassi d’interessi migliori ai consumatori senza ridurre i ritorni per gli investitori. Gli algoritmi di Lending Club, per esempio, offrono diversi menu per chi vuole investire: da prestiti più lucrativi, ma più rischiosi a prestiti quasi sicuri, ma meno redditizi.
E questo aiuta a superare il secondo ostacolo: i timori del pubblico nei confronti di una piattaforma finanziaria su Internet. «Pensaci un attimo», mi dice Renaud. «Non ci sono grandi rischi nel leggere le notizie su Internet invece che sul giornale o ad ascoltare la musica sul telefonino invece che sul cd. Ma otto anni fa, l’idea di prestare denaro a perfetti sconosciuti su Internet faceva paura a molti».
Anche qui, le banche hanno fatto autogol. Dopo una crisi che ha distrutto l’economia, fatto salire la disoccupazione alle stelle e annientato i risparmi di milioni di persone, l’americano medio odia il sistema finanziario tradizionale e ha meno paura ad avventurarsi su Internet per cercare un’alternativa. Il parallelo in questo caso è lo shopping dove la scelta, il servizio e la rapidità d’esecuzione dei rivenditori online hanno messo i commercianti tradizionali sulla difensiva.
LE RAGIONI DEL SUCCESSO
Ma né i costi né l’opinione pubblica sono la ragione principale per l’affermazione della «fintech». La vera differenza l’hanno fatta i politici che hanno reagito al caos della crisi con regole tostissime per le banche, lasciando il campo libero a chi non deve osservarle.
«Never again». Mai più. Fu questo il motto della Casa Bianca e del Congresso e delle autorità di settore dopo il quasi-collasso di istituzioni finanziarie gigantesche come la Bank of America e la Citigroup. Le banche che accettano depositi da gente comune non dovranno mai più essere sull’orlo della bancarotta. Il risultato: limiti draconiani sulle attività a rischio, compresi i prestiti e i mutui, e altissimi livelli di capitale. Le banche hanno reagito prestando meno, soprattutto alle piccole imprese.
Renaud i depositi non li vuole e quindi fa un po’ come gli pare – una situazione che fa imbestialire Wall Street. «L’ascesa di queste società è un fenomeno temporaneo causato dal fatto che noi dobbiamo obbedire a delle regole e loro no. Cambierà appena il Congresso se ne accorge», mi ha detto un banchiere di New York.
Forse ha ragione – qualche Stato e qualche regolatore si stanno muovendo – ma è più probabile che sia una pia illusione. Lending Club e gli altri rivoluzionari della finanza possono sempre difendersi dicendo che, a differenza di Citigroup e Bank of America, un loro fallimento non metterebbe a repentaglio il sistema finanziario e quindi non devono essere regolati come i bestioni di Wall Street.
Più interessante sarà vedere come la vecchia guardia reagisce all’insurrezione che parte della costa Ovest. Alcuni stanno tentando di copiarla. Suntrust, una banca del Sud degli Usa, ha una piattaforma online simile a Lending Club e Kabbage. Altri potrebbero tentare di comprare i nuovi concorrenti, un po’ come Facebook ha fatto con WhatsApp, l’ applicazione dei messaggi. Il problema è che, a differenza di Facebook, Apple e Google, le grandi banche non hanno centinaia di miliardi di dollari in cerca d’autore nelle loro casse.
La terza via sono le alleanze: accettare il nuovo e provare a innestarlo sulle infrastrutture storiche. Ne ho visto un esempio quando ero a Des Moines, Iowa, in una zona nel mezzo del paese che vorrebbe essere ribattezzata «Silicon Prairie», la prateria del silicio.
La società si chiama Dwolla ed è ancora molto piccola: una trentina di persone nel classico ufficio dell’azienda alle prime armi: muri colorati su cui puoi scrivere, tavolo da ping pong, facce giovani illuminate dagli schermi dei computer. Ma l’idea è ambiziosa. Dwolla, che ha sei anni, vuole trasformare «le rotaie» sui cui viaggia il denaro, creando un nuovo sistema informatico che permette alle banche di trasferire denaro velocemente e agli utenti di non aspettare giorni per i propri soldi.
IN TEMPO REALE
«Siamo abituati a poter comprare una canna da pesca su Amazon che ci verrà consegnata il giorno dopo nel mezzo dell’Idaho», mi spiega Anne Driscoll, la capa delle vendite e del marketing a Dwolla. «Viviamo in un mondo in tempo reale. I consumatori lo richiedono e le banche si devono adattare».
È una missione un po’ arcana, dietro le quinte di un’industria complessa, ma dà un’idea delle possibilità offerte alle banche dalla tecnologia.
I pericoli rimangono: non sappiamo, per esempio, quanti soldi perderanno gli investitori nei prestiti di Lending Club o nei mutui di Quicken Loans durante la prossima recessione. Come gli algoritmi delle banche d’affari prima della crisi, i computer e i dirigenti di queste società-bambine non sono mai stati temprati nel periodo cupo di una crisi finanziaria. E non è chiaro se un sistema come quello di Dwolla potrebbe sopravvivere a un infarto finanziario come quello del crollo di Lehman Brothers nel 2008.
Ma i rischi, anche se seri, non fermeranno questa rivoluzione. Renaud, Dan Gilbert e gli altri sanculotti della finanza stanno cercando di abbattere le barricate di un’industria che è stata per troppo tempo legata al passato. Wall Street deve cambiare se non vuole fare la fine di tanti altri vecchi regimi.
Francesco Guerrera, La Stampa 27/8/2015