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 2015  agosto 27 Giovedì calendario

OMBRE E LUCI DEL MEDIOEVO CULLA DELL’EUROPA MODERNA

Di secoli bui. Di donne, cavalieri e amor cortese. Di guerre e pestilenze. Di Inquisizione (più garantista di quanto si pensi) ed eretici, di Francesco e Domenico. Di regni romano-barbarici, di Sacro Romano Impero, della prima idea di Europa e di modernità. Ecco di che cosa parliamo quando parliamo di Medioevo. Di molteplici luoghi e stagioni, di epoche economiche e culturali profondamente diverse. In bilico tra fascinazione e orrore, ammaliati da gesta eroiche e codici miniati, sconvolti da crudeltà e arretratezza di certi popoli, stupiti dalla raffinatezza di altri. Sedotti dal mistero. Di un periodo così lontano. E così vicino.
Film, fiction, videogame, giochi di ruolo. Rievocazioni, mostre, rassegne gastronomiche. Il Medioevo piace. Da un pezzo. Da Il nome della rosa del 1980; dalla tesi, sempre di Umberto Eco ( Sugli specchi e altri saggi , Bompiani, 1985), secondo cui «Il Medioevo inventa tutte le cose con cui ancora stiamo facendo i conti, le banche e la cambiale (...) la lotta di classe e il pauperismo, la diatriba tra Stato e Chiesa». Dalle saghe hollywoodiane di Robin Hood e del Signore degli anelli fino al Trono di spade . Dall’opera divulgativa di grandi storici come Jacques Le Goff e Georges Duby, che ci hanno insegnato a conoscere L’uomo medievale (il primo), le Donne nello specchio del Medioevo (il secondo), strutture sociali e costumi spesso ignorati.
Tanti tasselli. Che ci hanno portato, negli ultimi trent’anni, a conoscere un po’ di più quei secoli tormentati. Ad abbinare (spesso) periodi e immagini con tanto entusiasmo e poco rigore scientifico: alchimisti e Papi, folletti e monaci, Templari e vivandiere. Ad attendere un «Duemila non più Duemila» con paure simili (se non identiche) a quelle con cui si aspettava l’anno Mille, per poi — superati attacchi di panico e superstizioni — tornare a ragionare di tenebre e di luci, ortodossia ed eresia, di guerre e destini eroici. E a innamorarci, ancora una volta.
Un amore spesso superficiale, come ha più volte ribadito — con amarezza — lo storico Franco Cardini. Una moda veicolata più dal cinema, dalla televisione e da certa letteratura che da studi solidi, «con la gente che legge Dan Brown e non Marc Bloch», e le cattedre «che rischiano di chiudere». La sua collega Chiara Frugoni, medievista che ha fatto della figura di Francesco d’Assisi il nucleo principale della sua ricerca, lascia invece qualche speranza e prova a fare chiarezza: «Anzitutto — puntualizza — in quei mille anni è successo di tutto, non bisogna mai dimenticarlo. In un periodo così lungo le stagioni sono impossibili da accostare». La studiosa fa esempi concreti: «Il tempo dei Longobardi è caratterizzato da una grande depressione e da un’estrema violenza: sono anni molto diversi da quelli precedenti in cui regnava Teodorico, che conosceva il greco ed era stato a Bisanzio». Meglio non fare confusione. E nemmeno generalizzare: «Il Medioevo che ci viene raccontato è spesso proiezione di quello che noi ci immaginiamo. Sembra efferato, stranissimo, nell’immaginario collettivo corrisponde a un’epoca di irrazionalità e barbarie. Anche se il secolo appena trascorso, che ha visto due guerre terribili e l’Olocausto non è così luminoso...».
Quanto alle nuove generazioni di cultori della materia, Chiara Frugoni è ottimista: «Molti studiosi, giovani e preparati, non sono ancora emersi, ma ci sono. Piuttosto, per tornare a considerazioni di carattere più generale, bisogna chiedersi perché in Italia si legga così poco. Perché manchi una cultura un po’ più profonda di una semplice infarinatura. Perché le mostre siano piene e i musei vuoti». Un sospiro: «Ma non bisogna arrendersi. Dobbiamo continuare a parlare e a far capire che, se non si hanno le parole, non si hanno né idee né pensieri. E che leggendo non si è mai soli».
Elogio della lettura (per gli appassionati di storia c’è la collana Grandangolo del «Corriere della Sera», quaranta volumi dalla Grecia classica alla dissoluzione dell’Urss). E del Medioevo, fonte infinita di suggestioni, culla dell’Europa moderna e di tutte le sue contraddizioni. Valeria Montaldi, che dell’età di mezzo ha fatto lo scenario perfetto per ambientare i suoi documentatissimi romanzi (tra questi, Il monaco inglese ; Il manoscritto dell’imperatore ; La prigioniera del silenzi o , editi da Rizzoli), commenta: «Il Medioevo piace per il mistero che lo avvolge. Abbiamo poche testimonianze dirette su quello che succedeva nelle campagne, nei paesi, perfino nelle corti. E tutto questo contribuisce a rendere il racconto conturbante, a destare curiosità — solo per dirne una: le donne, in particolare a Venezia, camminavano su zeppe alte trenta centimetri, le domestiche le sorreggevano tenendole per i gomiti — ma soprattutto paura, come le sculture della cattedrale di Chartres. Il Medioevo riesce a farci sembrare i demoni più vicini, il futuro più incerto, l’oscurità più avvolgente. A interrogarci: erano come noi? Io penso proprio di sì».
Secoli bui, vero. Per le lotte di potere legate alle acquisizioni territoriali, sempre a danno dei più deboli, per le condizioni di vita miserabili, la mancanza di diritti. Secoli bui, falso. Per la diffusione di viaggi e pellegrinaggi, per le innovazioni nelle opere ingegneristiche, nella pittura, nella scultura, nella musica (Guido d’Arezzo diede il nome alle sette note), per il diffondersi delle università, della medicina. Tanti «Medioevi» che nelle epoche successive (fino alla nostra) hanno subito adattamenti e rivisitazioni in base allo zeitgeist del momento, a paure e necessità. Idealizzati, condannati (o entrambe le cose insieme), modificati. In fondo, è quello che sostiene la stessa Chiara Frugoni: «Il Medioevo piace e continua a piacere perché la nostra immaginazione ce lo fa sembrare rassicurante, una sorta di contenitore in cui ognuno può proiettare qualsiasi cosa. Tanto è lontano e non tornerà mai più».