Marco Sabella, Corriere della Sera 27/8/2015, 27 agosto 2015
Arrivano segnali contraddittori dai mercati azionari globali, che dopo il deciso recupero di martedì scorso (seguito al lunedì nero innescato dalla crisi di Pechino) ieri hanno registrato una seduta più misurata, con perdite di circa l’1% sulle piazze europee e un rialzo di oltre il 3% degli indici statunitensi
Arrivano segnali contraddittori dai mercati azionari globali, che dopo il deciso recupero di martedì scorso (seguito al lunedì nero innescato dalla crisi di Pechino) ieri hanno registrato una seduta più misurata, con perdite di circa l’1% sulle piazze europee e un rialzo di oltre il 3% degli indici statunitensi. Tokio aveva chiuso in mattinata con un recupero di oltre il 3 per cento. Piazza Affari ha registrato un calo contenuto, - 0,81%, mentre il Dax di Francoforte ha ceduto l’1,29% , il Ftse 100 di Londra l’1,68%e la borsa di Shanghai, epicentro della crisi, ha perso l’1,27% segno che le misure adottate dalle autorità monetarie di Pechino (taglio dei tassi e immissione di nuova liquidità) cominciano a produrre qualche effetto. I principali indici statunitensi, S&P500 e Nasdaq Composite, hanno registrato invece un rialzo di oltre il 3% e meno volatilità rispetto ai picchi degli ultimi giorni. «Il mercato sta ancora cercando di capire quale sarà la reale ampiezza della decelerazione della crescita cinese», commenta Carlo Gentili, partner della società di gestione del risparmio Nextam. L’andamento divergente tra le borse europee (tutte in calo, salvo Atene che ha chiuso con un rialzo dello 0,1%) e gli indici azionari statunitensi, secondo l’analisi di Nextam è causato dal peso della quota di fatturato che le imprese europee realizzano in Cina (circa il 6%), contro ricavi totali in quest’area pari alla metà per le imprese statunitensi. «Il rallentamento economico cinese peserà dunque molto di più sulle imprese europee, che secondo una prima stima potrebbero vedere ridursi gli utili del secondo semestre 2015 di un valore superiore al 10%», conclude Gentili. L’effetto deflazionistico e recessivo della crisi cinese continua del resto a preoccupare le autorità monetarie. Il presidente della Federal Reserve di New York, William Dudley, ha dichiarato che «una decisione su un aumento dei tassi Usa a settembre sembra ora meno convincente». Mentre secondo Peter Praet, membro del consiglio esecutivo della Bce, gli sviluppi dell’economia mondiale rendono meno probabile il raggiungimento del target del 2% di inflazione. «A tal fine il programma di acquisto di titoli del settore pubblico garantisce sufficiente flessibilità in termini di importo, composizione e durata del programma», sottolinea. Marco Sabella