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 2015  agosto 26 Mercoledì calendario

Notizie tratte da: Corrado Giustiniani, Dinosauri, Sperling & Kupfer 2015, 206 pagine, 17 euroVedi Libro in gocce in scheda: 2325773Vedi Biblioteca in scheda: 2334713Dirigenti pubblici Uno studio dell’Ocse, dal titolo Government at a Glance, diffuso nel 2013, ha svelato che i dirigenti pubblici italiani sono i più ricchi dei trentaquattro Paesi aderenti a questa organizzazione internazionale

Notizie tratte da: Corrado Giustiniani, Dinosauri, Sperling & Kupfer 2015, 206 pagine, 17 euro

Vedi Libro in gocce in scheda: 2325773
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Dirigenti pubblici Uno studio dell’Ocse, dal titolo Government at a Glance, diffuso nel 2013, ha svelato che i dirigenti pubblici italiani sono i più ricchi dei trentaquattro Paesi aderenti a questa organizzazione internazionale. Ai nostri superburocrati venivano attribuiti in media 650.000 dollari l’anno a testa, con un distacco enorme sui secondi in classifica, i neozelandesi, fotografati a 397.000 dollari, mentre i britannici erano a 348.000, gli americani a 275.000, e francesi e tedeschi ancora più in basso.

Aziende private Dal 2008 al 2013 sono stati licenziati 70.000 dirigenti di aziende private.

Età media In Italia sono circa 70.000 i dirigenti pubblici, quattro su dieci donne, con un’età media di cinquantadue anni e sette mesi.

Premi di risultato «Le superpaghe pubbliche sono infiocchettate di bonus per la produttività: “premi di risultato”, come si dice in gergo. I più alti sono quelli distribuiti dall’Agenzia delle Entrate. Ma come è possibile, se l’evasione fiscale è la grande vergogna nazionale, e se la lotta ai furbi delle tasse da un anno all’altro non progredisce di un millimetro? È possibile, certo che lo è, nel nostro mondo alla rovescia. È lo stesso sito dell’Agenzia, per altri versi reticente, a informarci che un dirigente generale incassa un bonus che va da un minimo di 28.000 a un massimo di 108.000 euro lordi l’anno, e uno con responsabilità più limitate sino a 25.000 euro. Per quali successi, non è facile capirlo».

Tetto «La progressione economica dei dirigenti pubblici è stata spettacolare dalla fine degli anni Novanta e per tutto il primo decennio del nuovo secolo, ed è singolare che a promuovere il decollo retributivo siano stati due uomini del centrosinistra, Massimo D’Alema e Giuliano Amato.Mentre il fallimento del colosso bancario Lehman Brothers dava il via al periodo più devastante vissuto dal mondo a partire dal 1929, i nostri mettevano legna in cascina, con molte retribuzioni sopra i 300.000 euro. Sono anche gli anni dei cumuli, dei collaudi e degli arbitrati a sei cifre. Nel 2013 verrà resa nota la graduatoria dei dirigenti più pagati: in testa il capo della Polizia, Antonio Manganelli, con 621.000 euro. Ma colpisce che fra i primi dieci, con oltre 480.000 euro, figurassero ben tre generali. Un altro premier di centrosinistra, Romano Prodi, inizia la faticosa costruzione del tetto, completata da Matteo Renzi nel 2014, con il limite invalicabile e unico di 240.000 euro».

Nababbi «Ancor prima che scattasse il giro di poltrone deciso dal Consiglio dei ministri, su L’Espresso del 6 marzo 2014 Luca Piana aveva fatto un po’ di conti in tasca ai nababbi in procinto di andarsene. A Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni, veniva attribuito un lordo di 6 milioni e 400.000 euro, e 8 milioni e 400.000 euro di bonus in caso di mancata riconferma. A Fulvio Conti, Enel, 4 milioni di busta paga e 6 di bonus. A Flavio Cattaneo, amministratore delegato di Terna, 2 milioni e 400.000 euro e stessa cifra di bonus».

Dirigenti ministeriali 1 I dirigenti apicali dei nostri ministeri – e cioè i segretari generali, i capi di gabinetto, i capi dipartimento – guadagnano, in proporzione, due volte e mezzo i loro colleghi tedeschi, il doppio dei francesi, un terzo in più dei britannici.

Dirigenti ministeriali 2 Abbiamo oltre 3.000 dirigenti ministeriali.

Dirigenti ministeriali 3 I quattro «apicali» del ministero dell’Ambiente sono sul gradino più alto del podio con 261.000 euro lordi. Seguiti dai dirigenti di prima fascia del ministero della Salute, con 236.000 euro a testa. I più sfortunati si trovano ai Beni culturali, con 165.000 euro lordi. Tra i primi e loro c’è una differenza di quasi 100.000 euro. Ma vi sono anche altri ministeri, ci racconta la Ragioneria, dove la media è superiore ai 200.000 euro lordi. I dirigenti generali del Lavoro prendono 229.000 euro, quelli dell’Interno 207.000. A 198.000 troviamo i ministeri dell’Economia e della Giustizia, con 10.000 euro in meno i dirigenti generali della Presidenza del Consiglio. Stiamo parlando di medie, perché gli apicali (segretari generali, capi di gabinetto, capi dipartimento) si librano più in alto. Mentre in giù, tra i 170.000 e i 180.000 euro, troviamo
Infrastrutture, Difesa, Istruzione.

Cultura Con lo 0,2 per cento del Prodotto interno lordo, siamo ultimi in Europa per investimenti nel settore della cultura.

Confronti «Nel 2013 i compensi dei nostri massimi dirigenti si libravano a 12,6 volte il reddito pro capite italiano. Quelli dei pari grado tedeschi svolazzavano più bassi di due volte e mezzo, a quota 4,97, nel contesto di riferimento del loro Paese. In mezzo, tra italiani e tedeschi, i dirigenti di maggior spicco di Sua Maestà, secondi ma a notevole distanza: 8,48 volte il loro reddito pro capite. Terzi, infine, i francesi usciti dalla celebrata Ena, l’École Nationale d’Administration. Con un multiplo del 6,44: più o meno la metà, come detto, rispetto ai nostri dirigenti apicali».

Servizio sanitario Il Servizio sanitario fornisce più dirigenti di qualsiasi altro comparto: circa 33.000.

Entrate Alle Entrate un dirigente di prima fascia prende in media 239.996 euro lordi, quattro caffè in meno del tetto Renzi, e 107.000 uno di secondo livello. Alle Dogane e Monopoli, rispettivamente, 220.000 e 100.000. Ma è l’Inps il paradiso terrestre: dei dirigenti generali (237.000 euro in media) e dei cinquecento di seconda fascia (142.000 euro in media).

Tg1 Al Tg1, come ha denunciato Michele Anzaldi, deputato del Pd e segretario della Commissione di vigilanza Rai, su 113 giornalisti i dirigenti sono 40, per l’esattezza un direttore, cinque vice e trentaquattro redattori capo. Ovvero un dirigente ogni 2,8.

Sicilia 1 «Ciò che accade in Sicilia è al di fuori di ogni immaginazione. Intanto il numero dei dirigenti alle dipendenze della Regione: sono poco meno di 1.800, una quantità pari alla somma dei dirigenti di tutte e quindici le regioni italiane a statuto ordinario. Ma cosa avrà mai da dirigere tutta questa gente? Spropositato è anche il numero complessivo degli impiegati regionali, circa 18.000. Immaginate una città come Chiari in Lombardia, o come Bracciano nel Lazio, popolata esclusivamente dai dipendenti di quella Regione.
Per avere un altro termine di confronto: la Lombardia ha
una popolazione doppia rispetto ai cinque milioni che
risiedono invece nell’isola, ma circa un quinto dei suoi
dipendenti regionali».

Sicilia 2 Come si sia prodotta questa gemmazione di capi e capetti, uno ogni dieci impiegati, lo ha rivelato ad Antonio Fraschilla de la Repubblica il responsabile del dipartimento Beni culturali dell’isola, Salvatore Giglione: «Colpa di una legge che in una notte del Duemila ha promosso mille funzionari a dirigenti». E buona parte di loro sono stati fatti migrare verso i siti culturali, naturalmente quelli più vicini a casa. Risultato: oggi la Sicilia ha qualcosa come 306 dirigenti dei Beni culturali, cento in più che al ministero, e nel loro curriculum c’è tutto fuorché una laurea in storia dell’arte, antropologia o archeologia, mentre non è affatto infrequente il titolo in agronomia.

Sicilia 3 Al museo di Mazara del Vallo, racconta la Repubblica, il Satiro danzante, emerso miracolosamente dal mare nel 1997, è illuminato solo a metà perché non c’erano i soldi per pagare un elettricista che potenziasse l’impianto. Al Paolo Orsi di Siracusa, che ospita reperti preistorici, greci e romani, si sono rotte le telecamere e non c’è verso di ripararle. La Venere di Morgantina, che al Getty Museum di Malibu ha raccolto in poche settimane 400.000 visitatori, è tornata nel suo sito originario, il museo di Aidone, senza trovare guide e brochure illustrative, perché la Regione è senza fondi. Ben tre sono i dirigenti del museo, due manco a
dirlo agronomi, con stipendi tra i 60.000 e gli 80.000 euro
l’anno, che li collocano nella fascia ricca di questo paesino di cinquemila anime in provincia di Enna, se si pensa che il reddito pro capite della Sicilia è attorno ai 16.000 euro. Soltanto nel parco archeologico di Agrigento vi sono otto dirigenti, nessuno dei quali laureato in archeologia.

Sicilia 4 L’overdose di burocrati offre altri casi limite, raccontati stavolta da L’Espresso: l’Ufficio di vigilanza sulle opere pubbliche, per esempio, dove vi sono due dirigenti che comandano solo se stessi. Per non parlare dell’Ufficio di auditing per i programmi cofinanziati dall’Unione Europea: su 28 dipendenti si contano qui 15 capi. Che non devono certo essere dei campioni di efficienza, se la Sicilia a fine ottobre del 2014 aveva speso appena il 48,5 per cento dei fondi europei a sua disposizione. Le mancava ancora da investire la bazzecola di 2 miliardi e 200 milioni entro il 2015, pena la revoca dei finanziamenti da parte di Bruxelles.

Sicilia 5 Sebastiano Di Bella, segretario generale dell’Ars
per meno di un anno, fino all’estate del 2014, con uno
stipendio faraonico sul quale sono filtrate soltanto indiscrezioni: 520.000 euro lordi l’anno, secondo Il Fatto
Quotidiano, ovvero 1.400 euro al giorno. O ancora, se
si preferisce, 32 volte il reddito pro capite della regione. Poi, temendo di perderlo per l’imminente sbarco anche a
Palermo del tetto Renzi e, soprattutto, di vedersi dimezzate la superliquidazione e la pensione da sogno, ha deciso di tagliare la corda. Pensione anticipata, a sessantun anni. Il suo predecessore, del resto, Giovanni Tomasello, se l’era squagliata a cinquantasette anni, con una liquidazione di quasi un milione e mezzo di euro e un assegno di quiescenza attorno ai 13.000 euro al mese. E il predecessore del predecessore, Gianliborio Mazzola, era andato via nel 2006 con una liquidazione di 1 milione e 700.000 euro.

Sicilia 6 il 28 luglio 2014 l’Assemblea generale siciliana, mentre da una parte fissava finalmente il limite di 240.000 euro agli stipendi d’oro, dall’altra però consentiva a chi era sopra questa soglia di andare in pensione anticipata a cinquantatré anni alla fine dell’anno. Per i dirigenti della Regione il tetto sarebbe scattato non subito ma a scoppio ritardato, a partire da gennaio del 2015. Casualmente, i beneficiari avevano tutti appena compiuto i cinquantatré anni. Come
Mario Di Piazza, vicesegretario generale, classe 1961, che
si scopre avere una retribuzione di 340.000 euro l’anno
(finalmente anche alla Regione Sicilia è stata faticosamente avviata l’operazione trasparenza, e il trattamento lordo annuo viene pubblicato sul sito).
Come Eugenio Consoli, classe 1959, direttore Ufficio
affari europei (anche lui dunque protagonista della performance negativa sui Fondi Ue), che incasserà la sua ricca liquidazione e il suo speciale assegno pensionistico partendo da 344.000 euro l’anno. E Laura Salamone, classe 1961, direttore del Servizio studi per la modica somma di 339.400 euro. Per non dire di Antonino Purpura, classe 1959, direttore della Biblioteca e dell’Archivio storico, settore in cui non sembra che responsabilità e rischi siano così elevati da richiedere una professionalità retribuita 338.763 euro lordi l’anno, com’era la sua.

Aumento L’intero settore degli statali, nel 1989 ottenne 300.000 lire di aumento.

Quadruplicati Per effetto di varie norme, tra il 1999 e il 2003 il numero dei dirigenti generali è più che quadruplicato, mentre i dirigenti di seconda fascia sono aumentati del 34 per cento.

Incrementi Solo nel quadriennio 1999-2003 le retribuzioni medie dei dirigenti di prima fascia hanno registrato un incremento del 53 per cento, mentre gli altri dirigenti hanno visto un aumento del 29 per cento.

Febbre del pollo Uno studio della Ragioneria generale dello Stato rivela che nel quadriennio 1999-2003 vennero creati 87 nuovi posti da direttore generale (e 400, invece, di seconda fascia). Il caso più curioso si verificò al ministero della Salute, per colpa o per merito – dipende dai punti di vista – dell’influenza aviaria che nell’ottobre del 2005 dall’Estremo Oriente entrò in Europa. Nel nostro Paese si diffuse un panico da contagio e, in quello stesso mese, il governo corse ai ripari con un decreto legge recante «misure urgenti per la prevenzione». All’articolo 1, comma 3 per la precisione, questa bella novità: «È istituito presso il ministero della Salute il Dipartimento per la sanità pubblica veterinaria, la nutrizione e la sicurezza degli alimenti, articolato in tre uffici di livello dirigenziale generale [...]». La decisione era assistita da una
copertura finanziaria complessiva di 15 milioni e 200.000
euro l’anno a partire dal 2006. Un nuovo dipartimento,
dunque, per un ministero che sino ad allora ne aveva soltanto due. Con quattro nuove poltrone: una per il capo
della struttura e tre per i direttori generali a lui subordinati. La febbre del pollo se n’è andata via senza fare danni, per fortuna. Quelle quattro posizioni, invece, sono rimaste lì.

Obiettivi strategici L’Autorità anticorruzione (l’Anac) a febbraio del 2014 ha stilato un primo bilancio, relativo a
una sessantina tra ministeri, enti previdenziali e di ricerca, enti parco e agenzie, per i piani sulle performance presentati nel 2012. Una cinquantina di amministrazioni, dunque più di otto su dieci, ha dichiarato di aver raggiunto gli obiettivi strategici
in una percentuale superiore al 90 per cento. Qualcuno
ha comunicato persino di aver sfondato il 100 per cento.
Delle rimanenti amministrazioni, la quota prevalente ha
dichiarato tra il 70 e l’80 per cento di obiettivi centrati. Ciascun utente riterrà scontata la conclusione dell’Anac: «Gli straordinari risultati positivi» nel centrare gli obiettivi strategici «appaiono irrealistici ed in contrasto con la percezione dei cittadini sull’efficacia dell’azione delle amministrazioni pubbliche centrali».

Pretesti «Nel dicembre del 2014, grazie alla denuncia di un Organismo indipendente di valutazione che ha avuto finalmente il coraggio di fare il suo dovere, sono trapelati i ridicoli pretesti a cui ricorreva la Regione Toscana per distribuire ai suoi dirigenti i premi annuali di produttività fino 16.000 euro. Fra questi spiccava l’obbligo di ridurre di appena il 5 per cento l’uso della carta, in modo da incentivare l’utilizzo della e-mail».

Basilicata «Ecco il piano 2011 dell’assessorato alla Sanità della Basilicata. La linea strategica è “il potenziamento del welfare come diritto essenziale e fattore di sviluppo economico”. Ah, però. E compito dei dirigenti è “migliorare le condizioni strutturali di garanzia delle prestazioni socio-sanitarie essenziali”. Per fortuna non è quello di peggiorarle. Seguono pesi e target, grazie ai quali si è centrato l’ambizioso obiettivo. La chicca è aver fatto sei riunioni, sei consulenze, sei relazioni. “Come le avemaria che ti dà di penitenza il prete quando vai a confessarti”, ha chiosato Pierfrancesco De Robertis ne La casta invisibile delle Regioni».

Ricchi e poveri «[...] irrompono nel Bollettino della Presidenza del Consiglio i nomi d’oro delle aziende a partecipazione pubblica. La più ricca è Diana Bracco, con un reddito di 4 milioni e 208.000 euro, secondo gli ultimi dati pubblicati l’anno scorso, come prevede la legge del 1982. Ma che c’entra con queste imprese la vicepresidente di Confindustria, al vertice dell’omonimo gruppo chimico-farmaceutico di famiglia? C’entra, in quanto presidente di Expo 2015 Spa, la società
pubblica che ha organizzato la rassegna universale di Milano. Il più povero, invece, è risultato Raffaele Barbiero, con un reddito men che da fame: 200 euro al mese, 2.415 l’anno. È un pioniere del volontariato, viaggia su una Fiat Punto del 2004 ed è vicepresidente di Techne, società di formazione partecipata al 50 per cento dai comuni di Cesena e Forlì.

Misteri nel Bollettino della Presidenza del Consiglio diramato nel 2014 e sul suo supplemento a vantaggio dei ritardatari, uscito nello scorso mese di ottobre risultavano circa 750 nominativi, nel supplemento 308. Dunque poco più di mille manager pubblici in totale. Quanti dovrebbero essere, invece? Questo è un vero mistero. Intanto bisognerebbe sapere quante sono le società a partecipazione statale. Secondo il ministero dell’Economia circa 7.800, secondo un’indagine condotta dal Cerved per conto della Presidenza del Consiglio oltre 10.000, possedute soprattutto dagli enti locali. Considerando che la legge 441 impone il deposito dei dati di patrimonio e di reddito da parte di presidenti, vicepresidenti, amministratori delegati e direttori generali, ma che vi sono enti e società di dimensioni minime (addirittura 1.213 senza addetti, ma con soli amministratori, secondo il Cerved), è ragionevole
stimare che il bollettino dovrebbe contenere almeno 20.000 nomi. Soltanto un manager su 20, dunque, avrebbe fatto il suo dovere.

L’orrido di Bellano Il caso di Roberto Santalucia, sindaco di Bellano, provincia di Lecco, multato di circa mille euro dall’Arpa (l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente) della Lombardia per una cascata troppo rumorosa: l’Orrido di Bellano, ovvero una delle principali attrattive turistiche nei dintorni di Lecco, una gola naturale creata nel corso dei secoli dal torrente
Pioverna, le cui acque tumultuose hanno disegnato
anfratti e spelonche. La vicenda partì dal reclamo di un cittadino che, evidentemente infastidito dal suono dell’acqua, chiamò l’Arpa perché effettuasse analisi acustiche. I tecnici constatarono che il rumore della cascata, captato dalla casa del richiedente nelle ore di apertura delle cascata (mai di notte), era di 62 decibel, 7 più del limite (sette decibel equivalgono al rumore del respiro umano). Un giorno di metà settembre del 2014 un dirigente dell’Agenzia lombarda, con il benestare del suo superiore e direttore di Dipartimento, notificò dunque «al signor Santalucia Roberto, nato a Angri (Sa) il 09/03/1951, in qualità di sindaco pro tempore del Comune di Bellano e, come obbligato in solido al Comune di Bellano, la violazione degli articoli 2 e 3 del Dpcm 14.11.1997, per i quali risulta irrogabile la sanzione prevista dall’art. ...» Se decideva di
pagare entro sessanta giorni, se la sarebbe cavata con
il doppio del minimo previsto, e cioè con 1.032 euro. Da
versare sul conto corrente della Banca Popolare di Sondrio intestato al Comune di Bellano. Una
multa a se stesso. Fra l’altro il Comune è proprietario dell’Orrido, dichiarato bene paesaggistico nel 1953, ma non dell’acqua e della sua destinazione. La grande vasca di contenimento un tempo dava energia al Cotonificio Cantoni, che aveva una sua centrale idroelettrica, con diritti di sfruttamento dell’acqua del Pioverna accordati dal ministero dei Lavori pubblici per trent’anni. Poi la proprietà dell’impianto è passata a una società altoatesina, la Hydro Energy Power, e la provincia di Lecco ha rinnovato la concessione per altri trent’anni.
Alla fine vinse il sindaco, ma in una maniera tipicamente
italiana: e cioè con l’archiviazione del procedimento, dopo
aver perso settimane tra lettere, documenti e richieste
d’incontro.

Arpa La succursale lombarda dell’Arpa è la
più ricca d’Italia quanto a dirigenti, con un direttore generale da 229.000 euro l’anno, altri quattordici fra direttori di settore e di dipartimento, con stipendi compresi fra i 112.000 e i 149.000 euro, e un esercito di 155 dirigenti per così dire semplici (soltanto questi sono più del doppio dei corrispondenti dell’Arpa Piemonte), 30 dei quali guadagnano attorno ai 100.000 euro.

Giovanni Scrizzi 1 L’11 ottobre del 2014, un celebre ristoratore di Pordenone di 59 anni, Giovanni Scrizzi,
fu trovato morto all’interno della sua auto, sul greto
del fiume Meduna. L’uomo negli ultimi tempi non riusciva
a darsi pace, dal momento che era stato escluso dall’appalto per la gestione del Caffè Letterario, di proprietà del Comune, da anni punto di riferimento di tutta l’attività culturale cittadina. Caffè Letterario che lui stesso conduceva, da ben dodici anni. Ed escluso perché? Per un’autentica sciocchezza: si era dimenticato di inserire in un’apposita busta la fotocopia della carta d’identità, come recitava il bando. E così era stato estromesso dalla graduatoria, senza che la sua offerta
economica e culturale venisse presa in considerazione.
Dopo il suicidio di Scrizzi il direttore generale del Comune
di Pordenone respinse ogni accusa con queste parole:
«La procedura di gara è stata seguita in maniera ineccepibile e la mancanza del documento di identità è equiparabile, a termini di legge, all’assenza della firma, provocando l’irricevibilità dell’offerta».

Giovanni Scrizzi 2 Lo storico Giovanni Sabbatucci su Il Messaggero del 13 ottobre 2014: «Non si può chiedere alle pubbliche amministrazioni di sorvolare su una documentazione incompleta (essendo il controllo formale consustanziale all’attività burocratica). Si può chiedere però di ridurre la montagna di carte, spesso inutili, richiesta per qualsiasi pratica, anche la più banale». Sullo slancio, una proposta concreta: «Aprire uno sportello che permetta di verificare a monte la congruità della documentazione presentata e segnalare all’utente le eventuali lacune. Sarebbe anche questo un modo», ne è convinto lo storico, «per avvicinare la burocrazia ai cittadini, per renderla più amichevole nei loro confronti o, se non altro, meno impopolare».

Giorni Per allacciarsi alla rete elettrica in Germania sono necessari 17 giorni, in Italia 124. Per ottenere un permesso di costruzione, in Finlandia bastano 66 giorni, in Germania 97, in Italia ce ne vogliono 234. Per espletare il pagamento delle tasse sono necessarie a un’impresa stabilita nel nostro Paese ben 269 ore all’anno, pari a 33 giorni lavorativi. La media dell’area euro è di 163 ore. Solo il Portogallo fa peggio di noi, con una giornata lavorativa in più.

Carico fiscale Il carico fiscale italiano non ha eguali in
nessun’altra nazione del continente. Infatti, sui profitti
commerciali di un’impresa, da noi le imposte incidono per
il 65,8 per cento, contro una media dell’Unione Europea
del 44,3 per cento.

Ricerca Secondo una ricerca della Banca Mondiale, siamo al diciassettesimo posto per il costo che un imprenditore deve sostenere se vuole avviare una nuova
attività: è il 14,2 per cento in rapporto al nostro reddito
pro capite. La media dell’area euro è tre volte e mezzo più bassa: 4,5 per cento. Va anche sottolineato che la Spagna, che era un po’ il nostro capro espiatorio sino a una ventina d’anni fa, è costantemente davanti a noi in ciascuna di queste classifiche. A volte ci infligge un bel distacco (10 giorni per perfezionare le procedure d’esportazione, 9 per importare: la metà di noi) a volte ci sopravanza soltanto di un’incollatura (4 giorni in media in meno per un permesso di costruzione) ma è sempre in testa. Tra le voci prese in considerazione
dalla ricerca della Banca Mondiale, ve n’è una – una sola
– in cui centriamo un traguardo di tutto rispetto: per dare
avvio a un’azienda sono necessari in Italia solo 6 giorni,
contro i 13 della media Ue. Siamo al quarto posto, nell’area dell’euro.

Imprese piccole Naturalmente sono le imprese più piccole, così centrali nell’economia italiana, a risultare le più schiacciate dal peso della burocrazia. Il costo medio complessivo sostenuto dalle unità produttive con meno di 50 addetti, per espletare gli adempimenti amministrativi, sfiora infatti i 12.000 euro l’anno, costi e tempo persi in timbri, certificati, formulari, bolli e pratiche di ogni genere. E negli ultimi sette anni
gli oneri, anziché ridursi, sono saliti del 19 per cento. La
ricerca che lo rivela, condotta dalla Promo P.A. Fondazione, appare del tutto affidabile in quanto si basa su un campione di 1.900 imprese minori distribuite su tutto il territorio nazionale.

Code 1 Negli ultimi dieci anni, il numero di persone
che attendono più di venti minuti agli sportelli dell’ufficio
anagrafe è cresciuto del 44 per cento, ci fa sapere l’ufficio
studi della Cgia, l’Associazione artigiani e piccole imprese
di Mestre, che ha rielaborato i dati delle indagini multisco- po sulle famiglie realizzate ogni anno dall’Istat. Nel 2003, infatti, 12,6 persone su cento lamentavano tempi di attesa superiori ai venti minuti: dieci anni dopo le persone in coda all’anagrafe erano il 18 per cento.
Ma l’anagrafe è niente, al confronto degli sportelli delle
Aziende sanitarie locali. Qui è la metà quasi spaccata degli utenti (il 49,7 per cento) a denunciare di aver atteso più di venti minuti. In dieci anni è come se la fila si fosse allungata di otto persone. L’incremento delle vittime dell’inefficienza della sanità pubblica, dal 2003 al 2013, è stato infatti del 21 per cento.

Code 2 Nel Centro-Sud, poi, le attese diventano drammatiche. Per quanto riguarda le Asl, infatti, il 70 per cento dei calabresi ha dichiarato di aver aspettato più di venti minuti, come il 66,6 per cento dei siciliani, ma c’è anche il 62,5 per cento di quanti risiedono nel Lazio. Regione i cui Comuni hanno le anagrafi meno virtuose d’Italia: quasi il 40 per cento dei laziali ha denunciato nel 2013 code superiori ai venti minuti.

Giudici costituzionali 1 I giudici costituzionali italiani sono i più pagati del mondo e il presidente guadagna un quinto più degli altri. Fino all’aprile del 2014 si portava a casa 561.000 euro lordi l’anno, 93.000 in più del già vertiginoso compenso di ciascuno dei suoi quattordici colleghi. Da maggio in poi, per un’applicazione
parziale del tetto Renzi, il suo compenso è sceso a 432.000 euro e quello dei colleghi a 362.000, ma sempre «record del mondo» per entrambe le categorie.

Giudici costituzionali 2 Per Roberto Perotti, docente della Bocconi, la Corte costituzionale è «forse il più grande scandalo della pubblica amministrazione italiana» nonché uno dei più nascosti. In uno studio apparso nel novembre del 2013 sul sito la voce.info, opera un confronto internazionale delle retribuzioni. Quella media lorda dei dodici giudici britannici è di 235.000 euro, in Canada siamo a 217.000 euro e a 234.000 per il loro presidente. Negli Stati Uniti, infine, il compenso del presidente equivale a 173.000 e i giudici ne
percepiscono solo 7.000 in meno. Distanze enormi anche dopo il mese di maggio del 2014 quando, come detto, i giudici si adeguarono, ma assai parzialmente,
al «tetto Renzi», senza farlo valere come limite
assoluto. Più semplicemente, si riportava doverosamente a 240.000 euro il valore di base, visto che questo era diventato il compenso annuo del primo presidente di Cassazione, da maggiorare del 50 per cento per tutti e poi di un altro quinto per il presidente. Con il nuovo importo di 362.000 euro, i giudici sono ancora pagati oltre il doppio di quelli americani e il 50 per cento in più dei britannici. Per non dire del presidente, a quota 432.000 euro.

Giudici costituzionali 3 Due volte al mese nostri quindici giudici costituzionali sono in «settimana bianca». Nel gergo della Consulta, dicesi «settimana bianca» quella in cui i giudici delle leggi non vanno a palazzo, ma restano a casa a redigere le loro impegnative sentenze. Da sessant’anni il ritmo è questo: una settimana di udienze e una «bianca». La prima, per la verità, è una settimana corta, perché si comincia lunedì dopo pranzo e il giovedì sera i giudici rompono le righe.

Giudici costituzionali 4 Molti dei nostri giudici sono pensionati e come tali percepiscono anche il trattamento di quiescenza, dell’ordine di 150-200.000 euro lordi l’anno

Giudici costituzionali 5 Auto blu Fino al 2011
ogni giudice costituzionale aveva il diritto di conservarla
a vita, con tanto di autista. Un beneficio di carattere feudale. Poi la concessione è stata un po’ ridotta: il giudice mantiene l’auto blu fino a un anno dopo la scadenza del suo mandato novennale.

Giudici costituzionali 6 Uno studio dell’economista Roberto Perotti stima che, tra stipendio dei due autisti, carburante, spese di manutenzione e di riparazione, bollo, assicurazione, se ne vadano in media 750 euro per giorno lavorativo di ogni giudice.

Giudici costituzionali 7 Auto a parte, i costi dei singoli viaggi ferroviari, aerei o in taxi, effettuati per ragioni inerenti la carica, sono a spese della Consulta. Per i giudici della Corte costituzionale britannica, invece, l’onere complessivo per i trasporti è pari all’equivalente di 31.122 euro l’anno, ovvero, poiché nel Regno Unito i giudici sono dodici, a circa 2.600 euro a testa. In più, i nostri giudici hanno cellulare, pc portatile e telefono pagato, oltre all’uso gratuito della foresteria romana.
Ma ancora, ciascuno di loro può contare su una segreteria di tre persone e su tre assistenti di studio, da lui scelti, per fare ricerche e allestire i fascicoli sulle questioni su cui la Corte si pronuncerà. Si tratta di professori universitari e magistrati che, oltre a mantenere lo stipendio dell’amministrazione
di provenienza, incassano anche un’indennità
che nel 2008, secondo l’inchiesta di Primo Di Nicola su
L’Espresso, variava tra i 25.000 e i 34.000 euro.

Giudici costituzionali 8 C’è poi il succulento capitolo delle liquidazioni e delle pensioni di fine mandato. Per il 2013 Perotti ha calcolato che a venti ex giudici in quiescenza e a nove vedove sia stata pagata una pensione media di 200.000 euro lordi l’anno. Quanto alla liquidazione, Primo Di Nicola ha citato il caso storico di Zagrebelsky, giudice dal 1995 e presidente per pochi mesi nel 2004 che, ricongiungendo gli anni da professore ordinario con il mandato alla Corte, ha accumulato nove anni di anzianità lavorativa, ed è uscito con una liquidazione di 907.000 euro lordi, 635.000 netti e una pensione, all’epoca, di 12.200 euro netti, sempre più bassa in ogni caso di quella di Vaccarella, che superava i 14.000 netti al mese.

Ambasciatori 1 Alfredo Bastianelli, classe 1951, ambasciatore d’Italia presso il Regno del Belgio, gira per Bruxelles e dintorni con la sua Rolls Royce.

Ambasciatori 2 Giulio Maria Terzi di Sant’Agata e sua moglie Antonella hanno comprato casa a Manhattan nel giugno del 2009 – informa il sito web BlockShopper – quando il diplomatico serviva l’Italia presso l’Onu. Nell’autunno dello stesso 2009 sarebbe diventato ambasciatore d’Italia a Washington e un paio d’anni dopo ministro degli Esteri del governo Monti,
protagonista di quelle clamorose dimissioni contro la
decisione di rimandare in India i due marò che avevano
trascorso le vacanze di Natale in patria. Secondo il sito degli affari immobiliari a Manhattan, Terzi avrebbe acquistato per 2 milioni e 350.000 dollari un
appartamento con tre stanze da letto e tre bagni a Lenox
Hill, in un edificio di quarantadue piani chiamato «The
Royale», all’angolo fra la Terza Avenue e la 64a Strada,
poco lontano dal palazzo della Bank of America.
Un altro acquisto pesante l’aveva effettuato anni prima
il ministro plenipotenziario Francesco Maria Talò, attuale
ambasciatore a Tel Aviv, sborsando 1 milione e 825.000 dollari per un immobile al 116 di Central Park South, mentre a Fulton Street aveva comprato il consigliere di legazione Roberto Storaci. Ma lo Speedy Gonzales degli acquisti è stato certamente Mauro Battocchi. Già responsabile del desk Commercio e promozione degli investimenti della Farnesina, fa una capatina di quattro anni nel privato, come vicepresidente Enel per gli affari internazionali, poi torna agli Esteri e nel settembre del 2012 viene nominato console generale a San Francisco, evento che celebra con uno spot autopromozionale girato a bordo di una Fiat 500 lunga. Non sono trascorsi tre mesi da quando è in California, ed eccolo che mette mano al portafoglio per realizzare il suo investimento immobiliare: poco più di un milione di dollari per comprare casa nella metropoli della West Coast, al n.
35 di Saturn Street.

Ambasciatori 3 L’ambasciatore italiano a Parigi, se
scapolo e senza figli, guadagna 21.000 euro netti al mese, quello di stanza a Washington ha un compenso di 24.600 euro, a Buenos Aires siamo a 20.400 euro, a Tokyo balziamo a 27.000 euro netti, il top dei top. A Pretoria, capitale del Sudafrica, caliamo a 20.900 euro. Al Cairo c’è un ministro plenipotenziario che ha un compenso netto di 21.200 euro, mentre quello che rappresenta l’Italia al Palazzo di Vetro ne percepisce 23.700.

Ambasciatori 4 Per le spese di rappresentanza, prima fra tutte il ricevimento per la Festa nazionale del 2 giugno, e poi colazioni, pranzi, buffet, cocktail, vini d’onore offerti agli ospiti, c’è un congruo assegno aggiuntivo, chiamato per l’appunto «indennità di rappresentanza», e istituito non oggi ma nel lontano 1967. Per Parigi, trattasi di 12.983 euro netti al mese, che arrivano direttamente sul conto dell’ambasciatore, a Washington si balza a 20.846, a Buenos Aires l’importo, basato su indici del costo della vita, scende a 7.500 euro e spiccioli, a Tokyo si impenna a 22.397 euro e a Pretoria crolla a 4.200 euro. E se questi soldi non bastano per l’attività di rappresentanza? Si cercano allora sponsorizzazioni, incoraggiate da direttive della stessa Farnesina.

Ambasciatori 5 A parità di condizione anagrafica (scapolo e senza figli) un ambasciatore del governo
di Berlino guadagna a Parigi due volte e mezzo in
meno di un diplomatico italiano, 8.330 euro netti al mese
contro 21.000, la metà al Cairo, 10.600 contro 21.200,
e ben 2,7 volte in meno a Tokyo, 27.000 contro 9.900.

Ambasciatori 6 L’ambasciatore inglese a Roma percepisce uno stipendio lordo di 110-115.000 sterline l’anno, meno di 140.000 euro.

Coordinatori per lo spazio e per il mare Alla Farnesina, dal gioco di ruoli sistematicamente inventati per dare una fittizia consistenza al lavoro dei dirigenti e
precostituire un avanzamento retributivo, è saltato fuori
il «coordinatore per lo spazio», compito attribuito il 5
giugno 2014 al ministro plenipotenziario Roberto Cantone. Meno male. L’Italia così è più protetta dagli attacchi dei droni, dalla caduta di meteoriti e dalle incursioni degli alieni. Contemporaneamente veniva designato anche un «coordinatore per il mare». Anzi, una coordinatrice, il ministro plenipotenziario Paola Imperiale, che avrà dunque inghiottito il coordinatore per l’Adriatico, altro incarico tutto fumo e niente arrosto, attribuito in precedenza. E un coordinatore per la Terra, ce lo vogliamo negare? Certo che no: ecco l’uomo delegato all’Ambiente e all’Energia, Marco Marsilli. L’ordine di servizio informa che è già «vicedirettore
generale per la Mondializzazione e le Questioni globali e
direttore centrale per le questioni globali e i processi G8 e
G20». Ne aveva dunque parecchie di faccende da seguire, Marsilli. Adesso anche Ambiente ed Energia. Magari cederà qualcosa a un nuovo arrivato.

Carriere infinite Il caso di Umberto Vattani, ex segretario
generale della Farnesina, e già consigliere diplomatico di Giulio Andreotti, Ciriaco De Mita e Giuliano Amato,
nonché capo della segreteria di Arnaldo Forlani, e padre
di Mario, l’ex console di Osaka destituito dopo un video
della sua esibizione fascio-rock a un concerto organizzato
da CasaPound nel maggio del 2011, ma ancora in forza alla Farnesina. Non fa in tempo ad andare in pensione, che nel 2005 viene nominato dal Consiglio dei ministri presidente dell’Istituto per il commercio estero, carica che manterrà fino al 2011, per poi dirigere Sviluppo Italia Sicilia, con l’aggiunta di una consulenza di diritto commerciale per il governatore Raffaele Lombardo, per conquistare poi la presidenza della Fondazione Italia-Giappone.

Avvocatura dello Stato L’Avvocatura dello Stato, il gruppo professionale più pagato dell’intera pubblica
amministrazione, che ha il compito di offrire consulenza
e assistere in esclusiva le amministrazioni statali in tutti i
giudizi, anche davanti alle corti di giustizia internazionali.
È stratosferico il compenso medio lordo che l’ultimo Conto annuale della Ragioneria dello Stato assegna a questi 330 magistrati: 294.286 euro.

Messaggero 1 Nel 1975 Il Messaggero pubblica una serie di articoli sulla giungla retributiva e le sperequazioni in busta paga. Fa scandalo, per esempio, la macroscopica differenza di trattamento tra un usciere della Banca d’Italia e uno di un ministero: a fine carriera il primo guadagnava infatti, in base a dati dell’autunno 1974, 8 milioni e 435.000 lire lorde l’anno, contro i 3 milioni e 135.000 lire di un parigrado ministeriale. Ben più del doppio, dunque. Il quotidiano pubblica una grande tabella, elaborata dall’Associazione sindacale degli attuari del pubblico impiego, che tiene conto di un ginepraio di
differenze: la scala mobile, o indennità integrativa, che per gli statali scattava ogni sei mesi, mentre per tutti gli altri ogni tre; gli scatti periodici, pari al 2,5 per cento per statali e dipendenti di enti previdenziali e Regioni, dal 3,50 al 6 per tutti gli altri; per non dire dei dipendenti dell’Enel, che godevano del privilegio di uno sconto dell’80 per cento sull’energia consumata fino a 7.000 kwh l’anno. Il tabellone mostra come i lavoratori dell’Inail guadagnassero costantemente meno di tutti gli altri: la dirigenza dell’Istituto, per esempio, che oggi ha abbondantemente colmato il gap, risultava compresa nella forbice tra 2 milioni e 893.000 lire lorde l’anno a inizio carriera e il massimo,alla fine, di 9 milioni e 348.000 lire, mentre in Banca d’Italia si veleggiava da 6 milioni e 200.000 sino a 25 milioni e 800.000, quasi tre volte di più. E nei ministeri da 3 milioni e 300.000 a 12 milioni e 900.000 (anche se dalla statistica
venivano esclusi i direttori generali). Impiegati di concetto: quelli Inail schiacciati fra 2 milioni e 666.000 lire l’anno e 5 milioni e 77.000 al top, stavolta appaiati ai ministeriali. Meglio i dipendenti dell’Ina, l’Istituto nazionale delle assicurazioni: da 3 milioni e 800 a 10,3 milioni lordi l’anno. E in paradiso, come sempre, gli impiegati di concetto della Banca d’Italia: da un minimo di 5 milioni e 300.000 lire fino a 12 milioni lordi l’anno.

Messaggero 2 Nella puntata del 5 ottobre Il Messaggero rende note per la prima volta le retribuzioni di Montecitorio, che si avvantaggiano di una scala mobile stellare, istituita all’inizio degli anni Cinquanta, tale da far impennare la busta paga del 45 per cento. Il segretario generale, per esempio, gode di uno stipendio base lordo di 2 milioni e 50.000 lire al mese, che salgono a sfiorare i 3 milioni con l’indennità integrativa per il carovita di ben 922.000 lire mensili. Un consigliere può arrivare a 2 milioni e 479.000 lire totali, un impiegato di concetto a 1 milione e 830.000, grazie anche a una scala mobile di 567.000 lire al mese che da sola, per i parigrado di altre categorie del pubblico impiego, costituirebbe più che uno stipendio. Un ausiliario viaggia poi attorno al milione, il triplo di un capotreno delle Ferrovie dello Stato. Le mensilità, inoltre, sono ben 16 per gli alti gradi e 15 per tutti gli altri a Montecitorio (così come al Senato, il quale vanta addirittura trattamenti migliori). A lasciare sbalorditi i lettori sono le 900.000 lire al mese di pensione che si porta a casa una segretaria della Camera. Per avere un termine di confronto: era da poco uscita la Fiat 126, erede della storica 600, e il suo prezzo di vendita oscillava tra le 900.000 lire e il milione. Per acquistarla o farne dono a un figlio, quella segretaria avrebbe dovuto impegnare un solo rateo del suo assegno di vecchiaia.

Usciere del Parlamento «Per guadagnare 136.000 euro», ha scritto il settimanale britannico The Economist nell’agosto del 2014, «una ricerca su internet rivelerà che
tu debba essere il direttore dell’information technology
in una società inglese, il governatore dello Stato di New
York o... un usciere del Parlamento italiano che, nella sua
distinta uniforme, ricca di fregi dorati, porta messaggi e
accompagna visitatori e il solo rischio che corre è quello
di ricevere un pugno nell’occhio sedando occasionali risse
fra i parlamentari...»

Camera e Senato Un consigliere parlamentare al massimo
della carriera, e dunque dopo quarant’anni di servizio, a
Montecitorio arriva a 358.000 euro, mentre al Senato ne
spunta 372.000. I segretari giungono a un top di 156.000
euro alla Camera, ma balzano fino a 228.000 euro lordi al
Senato. C’è invece più omogeneità fra gli assistenti, i famosi commessi di cui parla l’Economist: fino a 136.000 euro alla Camera e solo 6.000 euro in più a Palazzo Madama. Tutte queste cifre sono dunque al «lordo fiscale» ma, a differenza del tetto da 240.000 euro per i dirigenti pubblici, al netto dei contributi previdenziali. Che per un consigliere della Camera con quarant’anni di anzianità ammontano a 63.000 euro, per un documentarista tecnico a 42.000, per un segretario e un collaboratore tecnico a 27.000, per operatore tecnico e assistente a 24.000. Così, un consigliere con quarant’anni di anzianità, se le regole fossero le stesse degli altri dirigenti pubblici, sfonderebbe il tetto di 63.000 euro e uno con venti anni di quasi 30.000 euro. Quest’ultimo, considerando invece la sua retribuzione al netto dei contributi previdenziali, si mantiene sotto quota 229.000.