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 2015  agosto 23 Domenica calendario

LE CORBU DELLA DISCORDIA

Fu scattata il 19 agosto l’ultima foto di Le Corbusier, pseudonimo di Charles-Édouard Jeanneret, l’architetto più noto e controverso del XX secolo. Henry Pessar, autore di quell’involontario scoop, si trovava sulla spiaggia di Cap Martin, in Costa azzurra, dove il maestro svizzero-francese si era costruito un “castello” di legno di 10 metri quadri, il Cabanon, un austero “studiolo” dove ritirarsi nel lusso della solitudine e del silenzio.
Ma Pessar non era lì per l’architetto, perché allora gli architetti erano ancora intellettuali più che uomini di mondo: da diversi giorni era sulle tracce dell’attrice italiana Silvana Mangano, arroccata nella lussuosa “Casa del Mare” sulla Plage du Buse. Anzi, neanche sapeva chi fosse Corbusier, che gli fu indicato da un paparazzo italiano a caccia di mondanità. Dalla spiaggia, Pessar comincia a scattare foto e Corbu , un po’ seccato, gli risponde: «Va a fotografare Brigitte Bardot! Io ormai non interesso più a nessuno».
Spogliato dai grandi occhiali neri – che indossava come un guerriero la celata per combattere il mondo – Le Corbusier non rassomiglia all’abituale iconografia del condottiero spavaldo: il volto stanco e indifeso , il corpo appesantito dagli anni e con le stigmate della fatica, stava immerso nell’acqua in attesa di lanciarsi nel nuoto. Era il 1965: la sua notorietà era ancora alle stelle per il maestoso incarico della costruzione di Chandigard, la capitale del Punjab commissionatagli dal Pandit Nehru. Dall’India era tornato da poco, in uno di quei defatiganti viaggi che precedevano l’era dei globe trotters. E Roquebrune era l’atteso riposo vicino alla tomba della moglie Yvonne.
Il suo corpo venne ritrovato il 27 agosto del 1965 sulla spiaggia: stroncato da un infarto, il cuore aveva smesso di battere. Ma come la scatola nera di un aeroplano in fondo all’oceano, l’enorme lascito del suo pensiero continuò a emettere segnali, consegnandolo all’eternità dei classici.
Cinquant’anni dopo la letteratura sulla sua opera è cresciuta al punto che, nel 1987, la grande mostra che il Centre Pompidou dedicò al centenario della sua nascita, si intitolava semplicemente Une encyclopedie.
Le celebrazioni sono sempre occasioni di riscritture: precedute da studi minuziosi e da ricerche influenzate dal variare della prospettiva storica, costituiscono l’occasione per ricalibrare l’attualità del passato, per fornire nuove visioni capaci di illuminare aspetti lasciati precedentemente in ombra o proporre nuove interpretazioni di qualcosa che sembrava già noto consolidato.
Così, nel 2013 – inaugurando con largo anticipo le manifestazioni per il cinquantenario della morte - la mostra di J. L. Cohen al MoMA di New York – An Atlas of Modern Landscapes - ha suggerito di ribaltare la stereotipata immagine di Le Corbusier come settario esponente di un’urbanistica meccanica e totalitaria, sostenendone una visione dell’architettura come creatrice di paesaggi. La rassegna americana è passata però quasi sotto silenzio presso il grande pubblico e lo stesso destino sembrava riservato all’altra grande mostra organizzata dal Centre Pompidou, intitolata Le Corbusier. Mesures de l’homme, perché in fondo le “novità “ proposte rimanevano tutte interne a un dibattito intellettuale e specialistico, orchestrato da un ristretto nucleo di cultori – i custodi di Le Corbusier – il cui principale ruolo sembra essere quello di perpetrarne la memoria in uno spazio sottratto alla dialettica delle contraddizioni, usando paradossalmente la strategia della ricerca storica per creare un labirinto dove giganteggia il genio solitario al comando del mondo.
Durante l’orazione funebre al Louvre, André Malraux era stato profetico: «Nessuno ha segnato con tale forza la rivoluzione dell’architettura, perché nessuno è stato così lungamente insultato […]. La gloria trova nell’oltraggio il suo supremo fulgore, e questa gloria qui s’indirizzava ad un’opera più che ad una persona, che vi si prestava poco».
E oltraggio è stato, quasi in reazione alla mostra agiografica del Pompidou: nel giro di poche settimane, tre libri (vedi box) hanno sollevato il lato oscuro o privato di Corbusier: «La volpe travestita da riccio» - come l’aveva chiamato Colin Rowe per sottolinearne l’intelligenza di rottura e la sua oscillazione tra sfera pubblica e privata – è stata sottoposta al fuoco incrociato di chi ha denunciato il “disumanesimo” del suo razionalismo e di chi ha mirato più dettagliatamente sulla sua nota predilizione per l’”autorità” , anche quando questa rivestiva i panni di Pétain, di Mussolini e perfino di Hitler. Niente che non si sapesse nell’ambito degli studiosi: ma che adesso, a furia di essere distillato e fumosamente sublimato dall’alchimia del linguaggio specialistico, ha fatto deflagrare il mito dell’architetto “sociale” , equiparando il caso dell’architetto a quello del filosofo Martin Heidegger con cui avrebbe condiviso antisemitismo e simpatia per il nazismo. Una violenta offensiva ha scatenato una generalizzata caccia all’uomo, sino a richiederne quasi la cancellazione dalla vita pubblica francese, ma anche le reazioni della Fondazione e del sua “cupola” che ha promesso in settembre un’arena di confronto. Quasi tutti hanno però dimenticato che in Italia ci sono voluti molti decenni e un grande lavoro di elaborazione politica perché venissero deposte le accuse di fascismo a Giuseppe Terragni, il più dotato architetto razionalista del ventennio: una concezione meno settaria e rozza della storia ha permesso di elaborare le zone d’ombra contro il bianco e nero della sua versione ufficiale, mettendo a fuoco i meccanismi del consenso e dell’adesione sociale su una base più ampia che la singola vita di una persona.
Le Corbusier non è stato solo un architetto rivoluzionario e di talento: è stato l’”architetto” del XX secolo, colui che ha sintetizzato e portato all’iperbole un secolo tragico e crudele che ha cambiato radicalmente il mondo in una misura di cui ancora il XXI porta le tracce. Logico dunque che il suo caso sia diventato emblematico per chi ritiene - in nome di una nuova demagogia fondata sull’individualismo, sull’ecologismo sentimentale, sulla diffidenza per il progresso industriale – di portare alla sbarra un secolo ritenuto demagogicamente fonte di tutti i disagi della nostra epoca.
Fulvio Irace