Filippo Facci, Libero 26/8/2015, 26 agosto 2015
TRAVAGLIO FA L’AVVOCATO DELLE CAUSE PERSE DELLA MALAGIUSTIZIA
Bisogna essere brutti dentro per incazzarsi col Sabino Cassese il 24 di agosto, così, prendendo cappello e sclerando solo perché il professore (80 anni a ottobre) lunedì scorso si è permesso di scrivere delle placide ovvietà sulla giustizia e sui magistrati. È vero, Cassese le ha scritte nientemeno che nell’editoriale di apertura del Corriere Della Sera, roba importante, e il travasato di bile è Marco Travaglio, d’accordo; inoltre il professor Cassese è inviso (...) :::segue dalla prima FILIPPO FACCI (...) al professor Gustavo Zagrebelsky che è amico di Travaglio, d’accordo anche su questo: ma vien da chiedersi, lo stesso, che razza di vacanze abbia fatto il direttore del Fatto. Oltretutto lo sapete che il Corriere-della-Sera-tardi è fatto così: arriva sempre buon ultimo, mette timbri di ufficialità sopra tutto ciò che è già lampante da tempo, il che significa che anche Sabino Cassese non ha certo rivelato nulla. Il professore oltretutto è un personaggio serafico, un ex giudice costituzionale noto per il suo equilibrio e non propriamente un berlusconiano: nel 2013, per dire, è stato relatore sul conflitto d’attribuzione sollevato dal Cavaliere contro il tribunale di Milano, e sappiamo com’è finita. Il problema è che si contrappose a Zagrebelsky sulla questione delle intercettazioni illegali che riguardavano il Quirinale: sappiamo anche questo. Ma detto questo - domanda - che cosa ha detto, che cosa ha scritto Cassese sul Corriere? Ha scritto, nell’ordine, che gli avvocati in Italia restano troppi, che il Csm è inquinato dalle correnti, che la Cassazione è intasata di ricorsi, che i magistrati abusano della carcerazione preventiva, che la usano per ottenere confessioni, che troppi magistrati passano in politica o esternano di politica, che troppe procure dettano l’agenda politica o addirittura stabiliscono criteri di politica industriale, che sulla criminalità organizzata ci sono procure valevoli ma altre che paiono inadeguate come pure le forze di polizia, che il sistema giudiziario è invasivo e che fallisce come erogatore del servizio della giustizia, che perciò molti la rifuggono e non ne hanno nessuna fiducia, che i tempi sono notoriamente geologici. Oltre questo il professore ha scritto le solite cose, ovvie anche queste: che c’è l’abuso delle intercettazioni, che è necessario separare le carriere tra giudici e pubblici ministeri come avviene in tutti i paesi civili, che la Corte di Strasburgo ci ha criticato e condannato un’infinità di volte: c’è qualcosa che non sapevate? E non lo diciamo per prendercela con Cassese, che è un insigne e pacato giurista che non fa che riordinare ciò che è appunto palese a tutti: ma con chi, nel tardo agosto 2015, ancora ha il coraggio di negare ciò che è appunto palese a tutti. Travaglio - lasciando da parte gli insulti che rivolge al professore, musica per i suoi lettori più cretini - ha scritto che le considerazioni di Cassese corrispondono a «i più vieti, banali e farlocchi luoghi comuni sparsi sull’argomento». Ha ragione: sono realtà così ovvie che ormai sono diventate luoghi comuni, non per questo meno veri. Poi, però, il negazionista passa a negare l’evidenza e sciroppa i rimedi (suoi) che a suo dire sarebbero stranoti: «Disincentivare le impugnazioni pretestuose e limitare i dibattimenti rendendo convenienti i riti alternativi: patteggiamenti e abbreviati», poi «abolire l’appello, filtrare i ricorsi in Cassazione, consentire la reformatio in pejius (l’aumento della pena in caso di impugnazione) ecc.». Avete notato anche voi? I «rimedi» del professor Travaglio sono soltanto olio negli ingranaggi della pubblica accusa: non servono all’accertamento della verità, servono solo a velocizzare la condanna di chi si ritiene automaticamente colpevole. Non c’è spazio per i non colpevoli: l’ammissione ai riti alternativi, infatti, implica l’ammissione del reato, e dal momento che c’è il reato, beh, ogni impugnazione diventa «pretestuosa» e quindi aboliamo l’Appello, come no, anzi, prevediamo che, in caso di appello, la pena possa essere aumentata. Tutte le altre necessità invocate da Cassese e da mezzo Paese (tipo il fissare delle linee guida per il perseguimento dei reati, o separare le carriere dei magistrati) secondo Travaglio equivalgono a «sventrare la carta», cioè la Costituzione: e se all’estero le ovvietà predicate da Cassese sono realtà, sappia il professore che «gli organismi europei additano il modello italiano come un modello da imitare e una garanzia di indipendenza dei giudici». E qui siamo alla pura invenzione, alla barzelletta: il modello della giustizia italiana, semmai, è un notorio zimbello mondiale, tanto che è additato tra le cause dell’arretratezza e della mancata crescita del Paese. Che poi in giro per il mondo ci sia qualche toga a cui piaccia il modello italiano (ma non «gli organismi europei») è come dire che a Lucignolo piaccia il paese dei balocchi.