Gaia Piccardi, Corriere della Sera 26/8/2015, 26 agosto 2015
TAMBERI PROVA A VOLARE ALTO NEL NIDO
Possiamo chiedere a un saltatore 23enne malato di basket Nba, uno che scende in pista con la barba mezza fatta e mezza no, di salvare l’atletica azzurra? Yes, we can.
Il medagliere è un miraggio, di italiani in finale sul tartan nemmeno l’ombra (ieri out la Grenot, oro europeo: 51’’14, lontanissima dalla finale dei 400), tra noi e il mondo la distanza dalla terra alla luna. Poi a Eberstadt, ultimo meeting prima di questi campionati in cui il Kenya ha piantato le unghie (4 ori), su una pedana dura come asfalto fiorisce il talento di Gianmarco Tamberi, figlio di Marco finalista a Mosca ’80 e fratello di Gianluca (ex giavellottista) il più bello d’Italia 2012: rincorsa, stacco, volo a planare e record italiano migliorato due volte (2,35 al terzo tentativo, 2,37 al primo). L’insostenibile leggerezza dell’essere Tamberi come balsamo per l’anima.
Gianmarco viene da lontano. Da un nonno che saltava, dalla pallacanestro a livello giovanile nelle Marche («Anche oggi mi devo imporre di stare lontano dalla palla a spicchi»), dai primi salti ai campionati studenteschi. Così, per provare, 2,01 a 16 anni. «È tutta la vita che mi chiedo: e se avessi continuato col basket come il mio idolo Tracy McGrady degli Houston Rockets? Però nell’alto le cose stanno andando bene, non ho rimpianti. Saltare, ora che sto bene, mi viene facile: non ho sbagliato scelta». Gli ultimi anni, costellati da infortuni, lo hanno fatto crescere molto, fino a scavalcare Marco Fassinotti (ieri esami alla caviglia, non di stacco, infiammata) nel derby in pedana: l’antica ruggine («Caratteri diversi, in passato non ci stavamo simpatici; poi all’Europeo di Zurigo abbiamo appianato tutto») è diventata sana rivalità e fare gioco di squadra domenica contro Barshim, Zhang, Bondarenko e Kynard, come in luglio a Londra (Marco primo, Gibo secondo) sarà la chiave.
«Arrivo al Mondiale con la terza prestazione stagionale e nel Nido, a 2,37, può succedere di tutto. Sto tenendo lontano paranoie e pressioni. Penserò solo a me, non agli altri». Lo vedremo in pedana con mezza barba, o peggio. Ha avuto i capelli blu, verdi, in base all’estro del momento: «Sono un giocherellone, nasce tutto per scherzo: agli Assoluti 2011, combinato così, mi migliorai di 10 cm. Allora funziona, pensai. Ma nella vita di tutti i giorni mica vado in giro così…». Meno male. «Anche perché alla mia fidanzata non piace». A essere cambiato, innanzitutto, è il rapporto col papà-coach. «Fino a due anni fa, era impossibile. Fino a 5 mesi fa, difficilissimo». E poi, Gianmarco? «Poi ho messo la testa a posto. Ero un macello: facevo tardi la sera, arrivavo svaccato al campo e lui, giustamente, si arrabbiava. Inoltre stavo coi miei: mi sentivo controllato e diventavo matto. Da febbraio vivo da solo ad Ancona. E ho capito che fare la vita da atleta è fondamentale. Oggi ringrazio papà di tutte le imposizioni».
Aggiustate le dinamiche famigliari, cambiata la rincorsa («Ho allontanato lo stacco e aumentato la velocità d’ingresso. Sempre 11 passi però ora parto 1,80 m prima: sembra niente, cambia tutto»), la premiata ditta Tamberi pensa in grande. Una medaglia a Pechino salverebbe la patria e ripagherebbe di mille sacrifici («Il salto perfetto esiste: trovarlo nel Nido è un sogno»), altro che i calciatori: «Attori da palcoscenico. I giocatori dell’Nba e della Nfl non piangono mai». Meglio Sotomayor e quel record, 2,45 m (Salamanca, 23/7/93), scolpito nella roccia? «Due stop per doping: non mi piace parlare di lui». Allora parliamo di Gibo e della sua orribile mezza barba. Presto e tanto, speriamo.