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 2015  agosto 26 Mercoledì calendario

LA CAPACITA’ DI SEUL DI RESISTERE ALLA CRISI – 

Molti occhi sono puntati sulla quarta economia asiatica, che indirizza verso la Cina ben il 25% del totale delle sue esportazioni: l’interrogativo riguarda la capacità della Corea del Sud e della sua classe dirigente di reagire ai venti contrari provenienti da Pechino, come riuscì a fare ai tempi della crisi finanziaria del 2008. Allora Seul divenne un Paese-modello, in grado di inserirsi tra i pochissimi a registrare una crescita anche del 2009, che poi accelerò a un impressionante 6,5% nel 2010. L’amministrazione dell’ex presidente Lee Myung-Bak promosse politiche fiscali e monetarie espansive, che si accoppiarono al raggiungimento di una serie di accordi di swap valutario e a una valuta relativamente debole. Non mancarono mosse simboliche o radicali per dare il senso di un grande sforzo collettivo e di un pugno di ferro di fronte all’emergenza: i funzionari pubblici furono costretti ad alzarsi più presto al mattino per dare il buon esempio e un giovane blogger “disfattista” fu addirittura arrestato con l’accusa di danneggiamento all’economia nazionale. Così il Paese uscì persino (relativamente) rafforzato dalla crisi, come in fondo era avvenuto dopo la crisi asiatica del 1997-98: tempi durissimi da cui Seul emerse a furor di popolo e di riforme promosse dall’alto. Ora che il mito - per lungo tempo circolato all’estero - della quasi-infallibilità del dirigismo cinese è minato, va sotto i riflettori la qualità delle scelte di politica economica di un Paese come la Corea del Sud, dove il governo ha tradizionalmente poteri e responsabilità più spiccati di quanto accada nei classici Paesi avanzati.
Congiuntura difficile. La crisi dei mercati e i segnali di brusca frenata economica della prima economia asiatica cadono in un momento già molto delicato per la Corea del Sud, che deve fronteggiare un ristagno sia della domanda interna sia dell’export. A fine maggio è scoppiata una emergenza sanitaria della Sindrome respiratoria mediorientale (Mers) che per alcune settimane ha creato il panico, con conseguenze pesanti sui consumi e sul turismo dall’estero. Drastiche misure di controllo e quarantena hanno arrestato il diffondersi di una malattia potenzialmente letale anche per l’economia. Le esportazioni, nel periodo gennaio-luglio, risultano comunque in calo del 4,9% a 315,2 miliardi di dollari e le previsioni sul Pil sono state riviste al ribasso, dopo la modesta performance di un secondo trimestre risultato in crescita solo dello 0,3% sui primi tre mesi dell’anno.
Verso politiche più espansive. Il governo guidato dalla presidente Park Geun-hye ha già reagito al caso Mers con l’introduzione di un budget supplementare da circa 10 miliardi di dollari, mentre la Banca centrale ha portato i tassi di riferimento al minimo storico dell’1,5% nonostante le perduranti preoccupazioni per l’alto livello di indebitamento delle famiglie. Ieri il ministro delle Finanze Choi Kyung-hwan ha promesso che il governo accelererà sulle misure espansive. «A questo affiancheremo riforme finalizzate a promuovere una maggiore competitività del sistema-Paese, a partire da mercato del lavoro, educazione e sistema finanziario», ha sottolineato Choi, esprimendo fiducia nella possibilità che l’economia possa crescere quest’anno del 3%. Il ministro, inoltre, ha respinto ogni sollecitazione a alzare la corporate tax, escludendo misure che in ultima analisi finirebbero per peggiorare la competitività internazionale del Paese. Secondo Marcella Chow e Hak Bin Chua di BankAmerica Merrill Lynch «il budget addizionale e le politiche mirate agli investimenti pubblici e privati compenseranno il calo dell’export», ma resta probabile che il Pil “cresca quest’anno non più del 2,7%».
Campagna di rassicurazioni. In questi giorni si sono moltiplicati gli sforzi per cercare di convincere gli investitori che Seul è diversa dai mercati emergenti. È vero che la Corea del Sud è esposta più che in passato nei confronti della Cina, dalla quale dipende oggi circa il 10% del Pil sudcoreano (nonché destinataria del 40% degli investimenti esteri sudcoreani): alcune stime indicano che ogni 1% in meno di crescita cinese si riverbera in un -0,17% per il Pil sudcoreano. Ma è anche vero che alcuni fondamentali sono migliorati, a partire dal livello delle riserve valutarie (oggi al sesto posto nel mondo). I parametri dell’indebitamento pubblico, poi, risultano relativamente contenuti. Ieri, in una conferenza stampa per i media stranieri, lo standing commissioner della Financial Services Commission Kim Yong-Beom ha sottolineato che l’attuale fuga di capitali esteri ha dimensioni inferiori a quelle delle ultime crisi: i fondi stranieri hanno alleggerito le loro posizioni sul mercato azionario nell’ordine di 1000 -1.500 miliardi di won al mese negli ultimi tre mesi, contro i 2.500 miliardi mensili dei tempi dello shock Lehman. Va da sè, inoltre, che la conseguente scivolata del won ai minimi da 5 anni sul dollaro possa avere effetti tutt’altro che negativi su una economia tanto dipendente dalle esportazioni. Tra l’altro, le turbolenze di questi giorni rafforzano lo yen-valuta rifugio, il che pare destinato ad avvantaggiare i gruppi coreani in concorrenza con i rivali giapponesi. Vari broker e banche d’affari, comunque, consigliano di tenersi alla larga dai mercati sudcoreani finché le tensioni finanziarie internazionali non daranno chiari segni di evaporazione.
Schiarita fra nord e sud. Un evento inatteso ha portato ieri a un primo recupero della Borsa di Seul dai minimi da oltre due anni accusati lunedì: in una giornata in cui la piazza di Tokyo e quella di Shanghai hanno continuato a precipitare (prima dell’annuncio di nuove misure di emergenza da parte di Pechino), l’indice Kospi – reduce da sei sessioni negative - ha guadagnato quasi l’1% (+0,92% a 1.846,63 punti) sull’onda di un accordo in sei punti raggiunto tra Pyongyang e Seul al termine di una maratona negoziale di 43 ore. Una intesa che pone fine alle tensioni di un agosto caldissimo sulla frontiera più militarizzata del mondo, tra esplosione di mine, scambi di artiglieria e minacce di guerra totale dal Nord. Seul ha accettato di interrompere la propaganda con altoparlanti che era stata riattivata in ritorsione alle provocazioni del Nord, che per la prima volta ha espresso ricrescimento per alcuni fatti avvenuti alla frontiera. Vari analisti hanno apprezzato il mix di durezza e flessibilità dimostrato dall’amministrazione Park. E gli investitori hanno premiato i titoli di alcune società che dovrebbero beneficiare dalla prospettiva di un rilancio dei rapporti intercoreani.
Park a Pechino. Le esigenze dell’economia, secondo vari osservatori, finiscono per assumere un ruolo pacificatore nei delicati equilibri politici dell’Asia orientale. Ne pare una spia la reazione pacata di Seul e Pechino al discorso con cui il premier giapponese Shinzo Abe ha commemorato il 70esimo anniversario della fine della guerra, per vari aspetti deludente per i suoi vicini. Park sarà a Pechino dal 2 al 4 settembre, in coincidenza con le grandi celebrazioni con cui i cinesi celebreranno la vittoria sul Giappone del 1945. Probabilmente parteciperà alla stessa parata militare. Il tono antigiapponese che vi si profila ha indotto Abe a decidere di non farsi vivo neanche nei giorni successivi (come era stato ventilato). Pur alleata degli Usa al pari del Giappone, nel comune passato di vittima dell’imperialismo giapponese Seul può trovare con Pechino livelli di sintonia preclusi ad altri. Anche in un franco scambio di idee sui modi per calmare le apprensioni dei mercati e sostenere - a vantaggio reciproco - rapporti economici che la recente firma (a inizio giugno) di una intesa bilaterale di libero scambio promette di rendere ancora più profondi.