Luca Cifoni, Il Messaggero 26/8/2015, 26 agosto 2015
IL GOVERNO CERCA 4,5 MILIARDI, CANCELLARE I DUE TRIBUTI SULLA CASA NE COSTEREBBE 24 –
Vale poco più di 3,5 miliardi l’imposta comunale che gli italiani pagano sull’abitazione principale. Un’imposta che per la stragrande maggioranza di loro si chiama Tasi ma che per poche decine di migliaia di proprietari di dimore “signorili”, ville e castelli si sdoppia comprendendo anche la vecchia Imu. Per questo il presidente del Consiglio nel rinnovare l’impegno a cancellare il tributo ha menzionato entrambe le sigle che a rigore, nel barocco meccanismo legislativo messo a punto a fine 2013, andrebbero a comporre la Iuc, imposta unica solo nel nome. Questo è il grosso dell’importo che il governo dovrà reperire per dare copertura finanziaria alla propria promessa: aggiungendo i fondi necessari per cancellare anche l’Imu agricola ed escludere definitivamente dal prelievo i cosiddetti “imbullonati” (macchinari industriali ancorati al suolo e quindi in qualche modo equiparati ai capannoni) si arriva a circa 4,5 miliardi.
L’ABOLIZIONE TOTALE
Ben altro sforzo richiederebbe una totale cancellazione di Imu e Tasi, che però non è all’ordine del giorno. Nel 2014 il gettito complessivo ha sfiorato i 24 miliardi, cifra sostanzialmente analoga a quella versata nel 2012 a titolo di sola Imu, allora applicata anche alle abitazioni principali. Mentre il dato relativo al 2013 risulta meno comparabile per la quasi completa esenzione decisa a beneficio proprio delle case di abitazione e per gli immobili agricoli. Nello stilare il consuntivo relativo alla scorso anno, il ministero dell’Economia aveva rilevato come il gettito relativo alla sola abitazione principale si fosse ridotto del 12,6 per cento (circa mezzo miliardo di euro in meno) rispetto a quello di due anni prima. Era invece aumentato di 1,8 milioni di unità il numero di contribuenti essenzialmente a causa del venire meno - rispetto all’impianto dell’Imu - della detrazione generalizzata di 200 euro che aveva messo al riparo i proprietari di abitazione con una bassa rendita catastale. Dunque più italiani sono stati chiamati a versare ma con importi medi più contenuti. Il nuovo meccanismo però ha favorito essenzialmente le case con una rendita più elevata, che tendenzialmente (ma non sempre in un sistema catastale vecchio di decenni) sono quelle di maggior valore; anche a causa della riduzione delle aliquote di base della Tasi rispetto a quelle dell’Imu.
Così per le abitazioni con una rendita catastale inferiore ai 50 euro, l’incremento dei versamenti complessivi è stato quasi del 22 per cento, per quelle tra i 50 e i 100 euro addirittura del 40. L’entità dell’aumento si riduce progressivamente fino ad un livello di rendita catastale entro i 300 euro: al di sopra di questa soglia invece la variazione diventa negativa, quindi favorevole ai contribuenti. In totale hanno risparmiato quasi il 12 per cento coloro le cui dimore hanno una rendita tra 300 e 400 euro; tra 400 e 500 la riduzione percentuale è del 26, tra 500 e 600 del 33 mentre al di sopra dei 600 euro sfiora il 50 per cento.
L’ANALISI GEOGRAFICA
Se invece si analizza la situazione a livello geografico, salta all’occhio come la tassazione degli immobili in generale ed in particolare quella dell’abitazione principale risulti ben più incisiva nella grandi città rispetto ai centri medio-piccoli. L’abolizione del prelievo sulla casa di residenza favorirà quindi soprattutto i contribuenti che vivono nelle metropoli del Paese. In testa alla graduatoria ci sono Torno e Roma, dove l’importo medio del tributo è intorno ai 400 euro, rispettivamente 403 nel capoluogo piemontese e 391 nella Capitale. I valori sono un po’ più bassi a Milano dove l’imposta viaggia intorno ai 300 euro. Il beneficio medio della cancellazione - calcolato per l’intero Paese - è di circa 204 euro l’anno a testa.