Marcello Bussi, MilanoFinanza 25/8/2015, 25 agosto 2015
E L’EURO DIVENTA UN RIFUGIO SICURO
Crollano le borse e la corsa al rifugio sicuro premia a sorpresa l’euro, che ieri è salito addirittura fino a 1,1711 dollari per poi assestarsi a 1,1580, in rialzo dell’1,7%, ai massimi da sette mesi. Eppure è Eurolandia a dover temere di più da una crisi della Cina, visto che l’Ue è il primo partner commerciale del colosso asiatico e la sua crescita debole la espone a una ricaduta in recessione, oltre alla minaccia di deflazione originata dalla svalutazione dello yuan.
Logica vorrebbe che il rifugio sicuro fosse il dollaro in quanto l’economia Usa è meno esposta a quella cinese e viaggia a un ritmo di crescita superiore al 2%, niente di eccezionale ma comunque sufficiente a evitare l’impatto recessivo della frenata di Pechino. A fare pendere la bilancia a favore dell’euro è stato certamente il cambiamento di aspettative riguardo al rialzo dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve. Di fronte a un crollo dei mercati azionari in tutto il mondo è impensabile che l’istituto guidato da Janet Yellen aumenti i tassi il mese prossimo.
La prospettiva che a settembre la Fed decida di mettere fine alla politica dei tassi a zero cominciata nel dicembre 2008 è talmente agghiacciante che ieri ha spinto l’ex segretario al Tesoro Usa, Lawrence Summers, a prendere carta e penna per scrivere un editoriale sul Financial Times in cui sostiene che l’aumento del costo del denaro «potrebbe minacciare tutti e tre gli obiettivi principali» della banca centrale Usa, ossia stabilità dei prezzi, piena occupazione e stabilità finanziaria. Secondo il docente di Harvard, una stretta monetaria rischierebbe di spingere l’inflazione ancora più in basso rispetto al target fissato al 2% dalla Fed. «Oltre la metà delle componenti dell’indice dei prezzi al consumo sono scese negli ultimi sei mesi», ha scritto Summers, ricordando che si tratta della prima volta in oltre un decennio che ciò è successo. Secondo l’ex segretario al Tesoro Usa, «nei prossimi dieci anni l’inflazione sarà sotto il 2%. Se le valute di Cina e altri mercati emergenti subiscono un ulteriore deprezzamento, l’inflazione Usa sarà ancor più contenuta». Una stretta monetaria, continua Summers, avrebbe inoltre «un effetto negativo sull’occupazione perché tassi di interesse più alti rendono il mantenimento del cash più attraente che l’investimento» di quella stessa liquidità. Inoltre, un costo del denaro superiore «aumenterà il valore del dollaro, rendendo i gruppi manifatturieri americani meno competitivi e mettendo sotto pressione le economie dei nostri partner commerciali». Un trend, sottolinea Summers, «particolarmente preoccupante in tempi di crescenti ineguaglianze. In questo momento di fragilità», è la conclusione dell’ex segretario al Tesoro dell’amministrazione Clinton, «alzare i tassi rischia di mandare in crisi parte del sistema finanziario con risultati imprevedibili e dannosi». Analizzando i prezzi dei futures sui Fed Fund, ieri le probabilità di un rialzo dei tassi a dicembre sono scese al 49%, mentre venerdì scorso erano al 60%. Un aumento del costo del denaro a gennaio è ora dato al 57%. La Fed, insomma, seguirebbe il percorso annunciato un paio di settimane fa dalla Banca d’Inghilterra, che ha escluso un rialzo dei tassi prima dell’anno prossimo. E ora Barclays vede l’aumento da parte della Fed non più a settembre ma a marzo dell’anno prossimo. La combinazione della caduta delle borse mondiali, dei rendimenti dei T-bond e delle valute dei mercati emergenti spingerà la Yellen a rinviare il rialzo dei tassi «per il timore che una mossa del genere possa destabilizzare ulteriormente i mercati».
Venerdì scorso il cambio di prospettive aveva già spinto Nomura a rivedere al rialzo le stime sull’euro da 1,05 a 1,13 dollari alla fine del terzo trimestre e da 1,05 a 1,10 alla fine dell’anno. «Dubito che l’euro possa rafforzarsi ulteriormente», è invece il parere di John Higgins, capo economista di Capital Economics. «Penso infatti che gli eventi in Cina e in particolare negli Usa non dissuaderanno la Fed dall’alzare i tassi a settembre». Ma ormai l’opinione di Higgins è minoritaria. Secondo Matteo Paganini, Chief Analyst Fxcm Italia, i movimenti di ieri indicano «un’avversione al rischio e ricerca di rifugi. Il mercato», ha proseguito, «non si sta dimostrando dollaro-centrico in quanto se così fosse stato avremmo avuto dei probabili flussi di capitali in acquisto generalizzato sul dollaro contro tutte le altre valute, il che avrebbe messo in difficoltà gli Usa e il suo tentativo di normalizzare la politica monetaria. Il mercato ha preferito diversificare gli acquisti di valute rifugio prediligendo quelle europee (euro, sterlina e franco) mentre ha acquistato dollari contro le valute legate alle commodity» come il dollaro australiano e quello neozelandese, «in sofferenza anche a causa della pesantezza sulle materie prime». A favore della moneta unica gioca inoltre il fatto che Eurolandia vanta un surplus delle partite correnti, a differenza degli Usa che convivono da anni con una bilancia commerciale in rosso. Il rafforzamento dell’euro, quindi, è basato anche sui fondamentali.
Marcello Bussi, MilanoFinanza 25/8/2015