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 2015  agosto 25 Martedì calendario

ADDIO A MARCELLO COLITTI, MANAGER ENI CON IL PAPILLON, SPIRITO LIBERO E COLTO, CHE HA RACCONTATO COME LA SINISTRA RIUSCÌ A SFASCIARE LE PP.SS

Dei tanti manager delle Partecipazioni statali che ho conosciuto in 40 anni per ragioni di lavoro, Marcello Colitti, spentosi pochi giorni fa a 83 anni, era il più simpatico di tutti. Ha diretto per anni il servizio studi dell’Eni, dove entrò giovanissimo e lavorò a fianco di diversi presidenti dell’ente, a cominciare da Enrico Mattei ed Eugenio Cefis. Un fonte preziosa, che non si concedeva a chiunque. Tutte le volte che l’ho incontrato, era sempre allegro, di un’allegria contagiosa, ma mai banale. In largo anticipo sui tempi, aveva capito che l’apparenza conta, e da furbo emiliano vestiva sempre in modo originale e ricercato: mai la cravatta, ma un papillon a colori, al quale abbinava il colore della giacca e del cappello.
Oltre alla forma, sapeva curare la sostanza. Nel suo immenso bagaglio culturale, che spaziava dall’economia alla filosofia (ha scritto un libro anche su Baruch Spinoza, oltre a quelli più noti sulle questioni energetiche), per commentare i fatti economici e politici trovava sempre una citazione o un aneddoto, in chiave ironica e graffiante. Lavorando all’Eni a fianco di personaggi come Mattei e Cefis, e poi di altri presidenti più scoloriti come Raffele Girotti, Pietro Sette e Alberto Grandi, ha vissuto in prima linea l’ascesa e il declino delle Partecipazione statali, ed ha potuto toccare con mano quanto sia stato profondo l’intreccio tra la politica e le aziende pubbliche. Un’esperienza che ha deciso di raccontare pubblicamente soltanto nel 2008, all’età di 76 anni, in un libro imperdibile (Eni. Cronache dall’interno di un’azienda; Egea), dove l’orgoglio di avere fatto parte del nucleo di manager che ha costruito uno dei maggiori gruppi petroliferi mondiali si accompagna alla delusione di chi ha dovuto assistere, dopo averlo previsto, allo sfascio di gran parte delle imprese pubbliche.
All’interno dell’Eni, scrive Colitti nel suo libro, gli economisti del servizio studi erano considerati di sinistra: il loro compito era di studiare i problemi e proporre soluzioni. Ma le decisioni operative spettavano soltanto al presidente dell’ente e ai capi delle aziende, che erano tutti democristiani. È dunque nella veste di «economista di sinistra» che Colitti, nel 1977, vede l’inizio dello sfascio e, da intellettuale libero qual era, non esita ad attribuirne la responsabilità proprio alla sinistra. A quell’epoca era in ballo il salvataggio dell’Egam, il minore dei tre enti a partecipazione statale, dopo Iri ed Eni. «La suddivisione fra Iri ed Eni delle attività dell’ente per le aziende minero- metallurgiche, voluta dalle sinistre con l’ingenua convinzione di poter smantellare uno strumento di potere e corruzione, si rivela presto mortale», ha scritto Colitti. «I veleni dell’Egam, un gruppo di aziende abituate a perdere e a lavorare per la politica piuttosto che per il risultato, uccidono l’Eni dal di dentro».
A capo dell’Eni c’era allora Pietro Sette, dc della corrente morotea, e Colitti, suo ascoltato consigliere, era convinto che l’Eni dovesse rifiutare le aziende ex Egam. «Mi ci oppongo strenuamente, con tutti i mezzi possibili. Ma resto nel mio più completo isolamento. Il presidente Sette ha ben chiaro il significato catastrofico dell’operazione, ma cerca di opporvisi a modo suo, senza parere, secondo le collaudate tecniche della leggina all’ultimo momento, del colpo di coda quando nessuno vede. Non ha valutato il fatto che a proporre l’operazione non è la Dc, ma la sinistra che, convinta di fare una grande azione anti-regime, torna felicemente alla sua idea, sempre smentita, ma fortemente sentita, che le Pp.ss devono tutelare l’occupazione e salvare le aziende decotte, che altrimenti licenziano. A sinistra credono di fare un capolavoro. Smantellano un nido di vipere, un’azienda fallimentare protetta dalla Dc, e contemporaneamente salvano l’occupazione. E se l’Eni non è capace di assorbire quelle conseguenze, a che serve?».
In realtà, così facendo, la sinistra finisce per fare il gioco della balena bianca: «La Dc capisce benissimo che dividere l’Egam fra l’Iri e l’Eni non è uno smantellamento, ma il rafforzamento della logica e delle persone che hanno portato allo sfascio: e si fa imporre la soluzione che funziona meglio per il suo potere». Scriveva Colitti: «Ho un bel proporre per iscritto a Sette di fare un piano di smantellamento, che cominci con l’azzeramento di tutte le società che ci hanno rifilato». Tutto inutile.
Conclusione: «Altri hanno capito meglio di me che la politica parla ormai solo di potere, che è giunto il momento di arricchirsi, di usare l’azienda invece di servirla e diventare così paladini dell’occupazione e il beniamino delle sinistre». Più avanti: «Quello è il momento della verità, nel quale un’impresa efficiente, che non faceva mancare qualche soldo ai partiti, viene trasformata in un sistema che ha come primo obiettivo la realizzazione di operazioni politiche e di potere pilotate dai politici e dai loro scudieri a vantaggio elettorale e personale. Ciò che ne è venuto è sotto gli occhi di tutti, e non c’è bisogno di insisterci» Un’allusione sobria a Mani pulite e alle tangenti Eni, vale a dire al crollo della prima Repubblica, a cui anche la sinistra, miope e corrotta, ha dato un contributo decisivo. Grazie, Marcello!
Tino Oldani, ItaliaOggi 25/8/2015