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 2015  agosto 25 Martedì calendario

ALBERTINI, NON RIFARÒ IL SINDACO

[Intervista a Gabriele Albertini] –
Qualcuno lo rivorrebbe a Palazzo Marino, Gabriele Albertini, milanese, classe 1950, sindaco sotto la Madunina, dal 1997 al 2006, oggi senatore Ncd. Nei giorni scorsi, uno dei papabili candidati del centrodestra, il conduttore televisivo Paolo Del Debbio, per schermirsi, ha indicato proprio lui, Albertini, come candidato perfetto.
Domanda. Senatore, le avrà fatto piacere, Del Debbio fu anche suo assessore.
Risposta. Certo che mi ha fatto piacere, anche se per la verità, nei giorni in cui Del Debbio rilasciava quell’intervista al Corriere, io facevo lo stesso, ma nei suoi confronti, in una conversazione con Il Giorno.
D. Che assessore fu, Del Debbio?
R. Ottimo. Fece con me tutto il primo mandato e due anni del secondo, occupandosi di sicurezza, periferie, decentramento. È stato lui ad avere quella geniale idea del vigile di quartiere. Ma non fece solo quello.
D. Cos’altro si può ricordare?
R. Beh, sulle periferie ebbe un memorabile dialogo con Renzo Piano, col quale facemmo la riqualificazione di un immobile di case popolari nella zona di Ponte Lambro. Era un casermone, in pessime condizioni, abitato da 40 famiglie. L’assessore Del Debbio le convinse a spostarsi temporaneamente e la ristrutturazione fu un’esperienza brillante: creammo residenze, attività ricreative, commerciali, insomma ne cambiammo il volto.
D. Piano ha il pallino delle periferie, dice che bisogna «rammendarle» e devolve tutta la sua indennità di senatore a vita in un progetto di studio.
R. Ricordo che anche allora, quando ci incontrammo per questo progetto, diceva che da studente del Politecnico già sognava di riqualificare le periferie della sua città di adozione. Da architetto di fama mondiale è la sua ultima aspirazione nella scala di Marshall McLuhan, un bisogno della ionosfera dello spirito, dove tutto è più rarefatto, e dove puoi fare quello che ti senti di fare.
D. Torniamo quaggiù, nella politica, senatore. La riqualificazione delle periferie sono uno dei punti che il sindaco uscente, Giuliano Pisapia, rivendica come meritori. È d’accordo?
R. Ho sempre apprezzato il sindaco, per eleganza e dignità morale...
D. Ma parliamo della sua amministrazione...
R. Sulla sua amministrazione sono meno generoso, spesso piegata com’è al ricatto dei verdi-talebani e dei centri sociali. D’altronde cominciò con quel blitz di Nichi Vendola al comizio di Piazza Duomo, appena vinto il ballottaggio nel 2011.
D. Quel memorabile «venite, fratelli Rom». Pisapia però non gradì l’ingerenza del suo capo partito.
R. È vero, però anche lui si affrettò a dire che non voleva i 500 militari, inviati dal governo, e che presidiavano i luoghi sensibili, risparmiando lavoro ad altrettanti poliziotti e carabinieri, i quali potevano così dedicarsi alla sicurezza dei cittadini. Erano segnali di quello che sarebbe stato il suo governo della città.
D. Vale a dire?
R. Un approccio di mera assistenza sociale nelle periferie ha generato qualche problema di sicurezza. Con le occupazione abusive, se molli la briglia, è finita. Per quanto, recentemente, si sia tentato di fare qualche correzione, almeno verbale.
D. Voi invece come vi regolavate?
R. Con le riqualificazioni, di cui le ho fatto un esempio, ma anche con un approccio piuttosto fermo all’illegalità.
D. Meno da assistenza sociale...
R. Anche polizia municipale che, con noi, aveva un altro stile, inclusa la fanfara, era appunto quella di un corpo di agenti di pubblica sicurezza.
D. E più in generale delle periferie che visione avevate?
R. Quella della rigenerazione urbanistica: prendere aree post-industriali o post-servizi, facendole diventare «centrali», anche se periferiche.
D. Che cosa significava?
R. Fare in ognuna una «città nella città», mettendo assieme terziario, commerciale, una presenza dell’università, molto verde. La città policentrica insomma.
D. La giunta Pisapia, invece?
R. Beh, per prima cosa, ha di fatto cancellato il Piano generale del territorio-Pgt della giunta di Letizia Moratti, che non era male, col concetto di borsa immobiliare.
D. Quella che consentiva di scambiare aree volumetrie: si acquistava il diritto di costruire in aree di pregio, cedendo aree di interesse pubblico.
R. Sì, però l’errore vero è stato un altro.
D. Vale a dire?
R. Con il timore della cementificazione, hanno chiuso agli investimenti internazionali. Sbagliato: al cavallo che già non beve, non si toglie l’acqua. Anzi, proprio loro, una giunta con la schiena dritta, non sospetta di intese con gli immobiliaristi o coi poteri forti, dovevano seguire quella strada.
D. Perché voi eravate sospetti, invece?
R. Beh, secondo una certa rappresentazione della politica, lo eravamo. Io ero un industriale del settore meccanico, davo del tu a Cesare Romiti e a Fedele Confalonieri, sono stati loro che mi presentarono a Silvio Berlusconi. Davo del tu anche a Marco Tronchetti Provera, che con al Pirelli Real Estate qualche interesse nel settore lo aveva, e pure l’ingegner Salvatore Ligresti tendeva a rapportarsi al nostro mondo.
D. In ogni caso, la vostra gestione dell’urbanistica fu indenne, dal punto di vista giudiziario.
R. Assolutamente. Anzi, ho speso sei miliardi di euro in opere pubbliche, da sindaco, e tre da commissario, senza un avviso di garanzia.
D. Dovrebbe essere la norma ma, effettivamente, fa notizia.
R. In pratica facevamo le cose preventivamente in intesa con la Procura di Milano, con la quale costituimmo il gruppo di lavoro «Ali Babà».
D. Contro i 40 ladroni?
R. Esatto. Chiesi a Francesco Saverio Borrelli, allora capo della Procura, di poterlo creare: ne facevano parte tre pubblici ministeri, fra cui Gherardo Colombo, e tre dirigenti apicali del Comune. Facemmo cioè i «patti di integrità».
D. L’onestà della sua gestione è uno dei motivi per cui Del Debbio la rivorrebbe sindaco.
R. Ho letto, ho letto. Però a 66 anni, quanti ne avrei nel 2016, non si può fare unlavoro così assorbente, una sorta di sequestro di persona del consenziente, che non lascia spazio a momento di requie.
D. Il sindaco di una metropoli in effetti...
R. Guardi ha la dignità istituzionale di ministero «serie A», la responsabilità gestione di una grande impresa di servizi e un’enorme proiezione del singolo cittadino sulla tua persona. Sa che ricevevo 25mila lettere all’anno?
D. Addirittura. E che le chiedevano? R. Di tutto. Conservo ancora la lettera di un suicida, un signore di 60 anni, un trasportare, che si impiccò: mi affidava la sua famiglia.
D. E lei che fece?
R. Li aiutai, quella fiducia non fu mal riposta, ma non mi faccia aggiungere altro.
D. Insomma, Albertini declina la candidatura. E quindi resta Del Debbio?
R. Ne avrebbe l’esperienza, l’appeal professionale, la capacità, una grande cultura...
D. Eccellente filosofo tomista.
R. Esatto ma, dopo questa esperienza tv, anche una grande popolarità.
D. E dire che, all’inizio, se ne facevamo beffe.
R. E invece Del Debbio aveva capito il ruolo di trasmissioni che ascoltano i bisogni veri, che avvertono su cosa stia funzionando e cosa no, e non centrate solo su cosa abbia detto Matteo Renzi a Stefano Fassina, o sull’ultima dichiarazione di Maurizio Landini. Certo, a volte con un rischio demagogico e populista, come ho detto anche io.
D. Si può dire che con Quinta colonna, la sua trasmissione, Del Debbio sia tornato in periferia come faceva da assessore. Senta, però, potrebbe fare il sindaco di Milano, lui così lucchese?
R. Quando andai da Indro Montanelli per festeggiare il suo 90mo compleanno, mi disse (e qui imita splendidamente il grande giornalista, ndr): ’Quello che sono lo devo a Fucecchio, quello che sono diventato, a Milano’. E poi se va al Famedio, vedrà che fra i milanesi celebri molti sono nati altrove.
D. Dunque Del Debbio, è l’uomo giusto. Ma, pure lui, non pare averne troppa voglia.
R. Ha un carattere difficilino perché, come molti creativi, ha una sensibilità spiccata. Un po’ come quelle formula uno dalle grandi prestazioni ma con l’elettronica delicatissima. Capisco, poi, che non voglia lasciare la sua attività televisiva, che gli dà soddisfazioni, immagino anche economiche.
D. Vabbé il prestigio di Palazzo Marino è grande.
R. Non vorrei fare il Sciur Brambilla che dice ’sel è che ’l custa?’, ma il sindaco di Milano prende 121mila euro lordi, netti circa la metà, e risponde di 40mila dipendenti. Un consigliere regionale guadagna di più.
D. Dunque chi resta, per il centrodestra?
R. Mi sono espresso a favore di Corrado Passera, che si è messo a disposizione, con la sua storia e la sua motivazione. Si è buttato e sarebbe un grande sindaco, da ricordare fra 100 anni ma...
D. Ma?
R. Nella Lega e, anche alcuni in Forza Italia, un po’ a guida leghista in questa fase, hanno una pruderie per il suo esser stato banchiere, ministro con Mario Monti, per i suoi lombi nobili insomma. E questa è una difficoltà obiettiva.
D. Ci vorrebbe un endorsement del Cavaliere. Ma i due, forse, non si stanno simpatici.
R. Non lo so, onestamente. Per certo Passera ha incontrato Fedele Confalonieri, come gli avevo suggerito. Vediamo. Però credo che poi Berlusconi, se lo appoggiasse, dovrebbe spiegare a molti dei suoi, a un Paolo Romani, per fare un esempio, perché li avrebbe accantonati. Già io, nel 1997, passai la fila e a molti la cosa non piacque.
D. Vicenda non semplice, per il centrodestra.
Anche perché il Pd renziano potrebbe schierare un candidato che possa piacere anche al centro e ai moderati.
R. Ora i renziani non paiono fortissimo nel Pd milanese, però se azzeccassero l’uomo giusto...
D. Per esempio?
R. Non so, uno come Manfredi Catella.
D. L’imprenditore immobiliare?
R. Sì quello dei grattacieli di Porta Nuova: ha mostrato una spiccata sensibilità sociale, è giovane, ha una moglie deliziosa e, se non sbaglio, ha frequentato le cene milanesi di Renzi.
D. Lei lo voterebbe?
R. Guardi, il voto più a sinistra che ho dato è stata la Dc e, preciso, quello più a destra il Partito liberale di Giovanni Malagodi.
D. A chi dava la preferenza sotto lo Scudo crociato?
R. A beh, ai Massimo De Carolis,
D. La maggioranza silenziosa.
R. Certo, ma anche ai Mario Usellini, ad Umberto Agnelli: si ricorda i Mille montanelliani?
D. I candidati doc, certo. Ma torniamo a Renzi.
R. Lui è diverso e infatti, il Pd si sta spaccando. Se guardiamo ai contenuti del suo governo, ci sono novità importanti. A partire dell’articolo 18, sul quale uno può dire che andava sradicato ma accontentiamoci di vederlo potato. E poi la responsabilità civile dei giudici: sa che con la legge Vassalli ci sono stati solo quattro processi a magistrati? E gli 80 euro? Non sono un po’ di cuneo fiscale che se ne va?
D. Le ragioni di 200 imprenditori che, a sostegno del governo Renzi, hanno comperato una pagina del Corriere per dirgli di andare avanti.
R. Qualcuno ne conosco, infatti. Ma guardi che in Confindustria, che frequento da un pezzo, non ho mai sentito parlare così bene di un governo.
D. Torniamo a Milano, voterebbe un renziano per Palazzo Marino?
R. Se è il programma fosse quello di governo, i valori condivisibili, se la persone fosse credibili, perché no? D’altra parte se nel centrodestra finissimo per avere quattro candidati diversi e più di destra che di centro, cosa dovremmo fare? Insomma, Milano va governata ma non con le battute di Matteo Salvini.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 25/8/2015