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 2015  agosto 22 Sabato calendario

L’INDIA VIAGGIA A 90 ALL’ORA

È un fatto storicamente accertato che il Mahatma Gandhi ce l’avesse a morte coi treni, fin dagli albori della civiltà su rotaia esportata dai colonialisti inglesi. La molla della ribellione gli scattò a fine Ottocento lontano dalla sua India, nel Sudafrica dell’apartheid, quando venne buttato fuori dalla carrozza di prima classe vietata agli scuri di pelle. Ma la sua avversione contro questo veicolo «che propaga il male» – testuale – era ben più profonda: considerava la ferrovia il simbolo dell’espansione veloce di un’avida ideologia capitalista, a discapito della tradizione.
Nel 1870 tra Calcutta e Bombay viaggiava già il primo treno a lunga distanza della compagnia privata East Indian Railway di Londra e 15 anni prima la locomotiva Fairy Queen, la “regina dalla pelle chiara” ispirata a Vittoria d’Inghilterra, giungeva in India dalle officine di Leeds per collegare il Bengala dell’est e dell’ovest coi suoi due cilindri a vapore sbuffanti che trasportavano passeggeri di rango e truppe destinate a domare le ribellioni lungo la linea.
Oggi che la Fairy Queen compie 160 anni e fa ancora servizio per viaggi di lusso tra Delhi e il Rajasthan, l’eco delle polemiche gandhiane contro questo mito del progresso sembra ancora più irreale. Se nel 1853 non c’era una sola traversina, dal 1929 il Continente possedeva già 66mila km di strade ferrate, pressappoco le stesse di oggi, due terzi delle quali non ancora elettrificate.
Va da sé che nessuno ormai potrebbe nemmeno immaginare un Paese così immenso senza treni, come speravano il Mahatma e un nutrito gruppo di intellettuali del suo tempo, convinti che le priorità di un Paese soggetto a fame e carestie erano ben altre, a cominciare dai canali di irrigazione dei campi. Appena rientrato dal Sudafrica con il prestigio delle sue campagne contro l’apartheid, Gandhi approfittò comunque della ferrovia tanto vituperata per portare in lungo e largo il suo messaggio di ahimsa, o non violenza, accolto da folle oceaniche a ogni stazione. Ma per non contraddire la sua opposizione di principio scelse il compromesso di viaggiare in terza classe, e non ripudiò mai i capitoli sugli effetti “demoniaci” del treno contenuti nel suo celebre Swaraj and Other Writings, un testo a difesa del sistema di tradizioni indiane.
Scrisse che i binari d’acciaio trasportavano velocemente da un luogo all’altro germi e contagi e favorivano la circolazione “di persone dalle intenzioni malevole in generale”. Ma da romantico idealista il Mahatma si preoccupava soprattutto delle moltitudini che avrebbero smesso di recarsi secondo tradizione su carri trainati dai buoi o a piedi nei luoghi di pellegrinaggio, resi accessibili in poche ore o giorni di viaggio anche a gente priva di devozione.
Oggi le statistiche parlano di 13 milioni di passeggeri che salgono in media ogni giorno sui 14mila treni in servizio nel Continente. Accovacciati nei corridoi, appesi alle porte o comodamente seduti nelle carrozze riservate, tutti devono armarsi di pazienza e spirito di sacrificio per sopportare i quotidiani disagi di una rete vetusta, sulla quale finora si è investito poco o niente. Anche se oggi lo spirito conservatore gandhiano si è affievolito, pesano ancora gli interrogativi sulle priorità del governo, che ha già stanziato un miliardo di dollari per il primo dei “treni proiettile” progettati con cinesi e giapponesi tra Mumbai e Ahmedabad, destinati a coprire in due ore anziché sette la distanza tra la capitale commerciale e la laboriosa città di Gandhi e del premier Narendra Modi (il quale, per inciso, da ragazzo vendeva tè alle stazioni). La mossa è vista come un’altro regalo ai ricchi, che potranno permettersi le tariffe dell’alta velocità a discapito di quanti viaggiano sulla rete ordinaria che serve centinaia di migliaia di villaggi.
L’India impiega un milione e mezzo di persone – primo datore nazionale di lavoro in assoluto – per collegare 8mila stazioni sparse dall’Himalaya alla punta sud di Kanyakumari a una velocità massima di 91 km orari (sul solo Shatabdi Express tra Delhi e Bhopal), talvolta con oltre 100 fermate tra le due stazioni principali. Una rete che ha inevitabilmente cambiato il Paese romantico di Gandhi per connetterlo a ogni livello come mai era successo nel corso della sua storia e costringendo gli indiani, per la prima volta, alla sacrilega promiscuità dei vagoni viaggiatori, dove la Costituzione secolare vieta di separare nobili bramini e “intoccabili” dalit.
Con la vecchia flotta di vagoni molto al di sotto della domanda, occorre prenotare in largo anticipo per avere un sedile numerato nelle tradizionali carrozze di prima e di seconda classe, mentre su certe tratte affollate non si riesce a raggiungere nemmeno il proprio posto e solo i cuori di pietra farebbero alzare una madre con le ceste di verdure e due bambini attaccati al braccio, o un fragile vecchio col bastone. Se l’India resta per molti un luogo immaginario di cui impadronirsi prima con gli occhi e il cuore poi con la mente, solo sui vagoni e nelle stazioni del grande Continente essa si materializza nel caleidoscopio di razze, censi e religioni che si riassemblano incrociando la sua identità millennaria. Basta osservarla accucciati in un angolo, come il Kim di Rudyard Kipling che studia il contesto conFuso tra la moltitudine di una sala d’aspetto.
La quarta più grande ferrovia del mondo è ormai anche una vena dove scorre la linfa vitale per l’economia, con i suoi 240mila vagoni merci e le industrie costruite a ridosso dei binari. Ne sanno qualcosa gli imprendtori e gli abitanti del Nord e del Nord Est, che dopo un incidente sono stati tagliati fuori dalla rete per 34 giorni tra giugno e luglio, nel delicato snodo della stazione di Itarsi in Madhya Pradesh, dove si incrociano i treni provenienti da quattro direzioni. A bloccare milioni di pendolari e tonnellate di merci è bastato l’incendio a un pannello elettrico vecchio di mezzo secolo, che controllava gli scambi lungo tragitto tra Bhopal e Mumbai, tra Bhopal e Nagpur, Jabalpur e Allahabad. Da tutto il Paese sono giunti ben mille tecnici che hanno finito le riparazioni con due giorni di anticipo sul previsto, un evento significativo e simbolico dello sforzo di un’intera nazione per ricucire il pezzo strappato proprio all’altezza del cuore.
Non esistono del resto alternative a nuovI investimenti tecnologici per adeguare impianti che risalgono spesso all’era coloniale. Difatti proprio in questi giorni il governo ha annunciato un piano da 120 miliardi di dollari per ristrutturare nei prossimi cinque anni edifici, locomotive, carrozze e binari malmessi. Ma gli annunci di questa portata sono frequenti. E non è la prima volta che i grandi lavori finiscono nelle tasche dei politici che viaggiano coi Suv o in business class sull’Air India.