Filippo Facci, Libero 25/8/2015, 25 agosto 2015
ELOGIO DEL POLITICO CHE INSEGUE I SUOI CALCOLI E NON IL SUO PARTITO
Anni fa, se mi avessero detto che un tizio: 1) In Regione sta con Forza Italia e la Lega; 2) A Milano però vorrebbe un centrodestra senza Forza Italia e senza la Lega; 3) A Varese però intanto combina col centrosinistra; uno così, insomma, anni fa l’avrei demolito per ragioni che mi parevano ovvie. Oggi, ecco, non ne sono più tanto sicuro, e siccome c’è di mezzo la trasformazione della politica – o la sua fine – mi premurerei di spiegare perché.
Intanto il tizio si chiama Raffaele Cattaneo, 53 anni, ciellino del varesotto, ex Dc, ex Forza Italia, persona simpatica con accento da lombardone, per anni assessore regionale alle Infrastrutture, oggi Ncd e presidente del Consiglio regionale della Lombardia: dove governa, dicevamo, con Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. Tuttavia, per le prossime comunali che manderanno a casa Giuliano Pisapia – come spiega bene un’intervista sul Corriere di ieri – Cattaneo non vuole personaggi come Matteo Salvini e Daniela Santanché (li chiama il duo «Sa-Sa») e cioè non vuole «radicalismi e populismi», anche se i due appartengono agli stessi partiti coi quali già governa in Regione: il cui presidente è leghista e si chiama Roberto Maroni. Come sindaco di Milano Cattaneo, si diceva, lui vorrebbe uno come Corrado Passera, ma andrebbe bene anche un Paolo Del Debbio, addirittura un Paolo Romani. Nell’attesa, e nella confusione, a Varese l’Ncd si avvia ad allearsi col centrosinistra, come in fondo succede anche a livello nazionale.
Ecco, è normale? Forse sì, ormai sì: ma lasciateci almeno formulare bene la domanda: è normale ammettere candidamente che ci si potrebbe alleare con ogni partito a seconda delle circostanze, come un tempo faceva sempre Clemente Mastella nel disprezzo generale? La Lega «maroniana» che governa in regione, per esempio, secondo Cattaneo non va bene a Milano (non va bene per il sindaco, cioè, perché per il resto è a Milano anche la Regione) e questo perché sotto la Madonnina, dice Cattaneo, «si vince con un profilo moderato... qui ci sono valori specifici, particolari, penso al tema della solidarietà e dell’accoglienza. La Milano col cuore in mano non può essere cancellata dalle sparate di Salvini. Se così fosse noi non ci staremmo». Poi, duecento metri più in là, in Regione, Cattaneo ci sta. Perché Maroni non è Salvini, capito. Altri uomini o donne, presumiamo, saranno anche diversi dalla Santanché. Insomma, la stiamo facendo lunga per sintetizzare quello che da anni si ripete a ogni tornata elettorale non nazionale: che ormai contano gli uomini, che la gente guarda a quelli, non più ai partiti, che le elezioni locali e amministrative vanno per conto loro proprio per questo: sino a un certo punto, naturalmente.
Da qui una domanda che pare semplicistica, e forse lo è pure: col dettaglio che manca una risposta politica autentica. Cioè: se davvero contano gli uomini, che li votiamo a fare i partiti? Se votare una forza politica non garantisce nulla - perché poi può allearsi con chiunque - che senso ha votare una forza politica? Aggiungiamoci la beffa che contano sì gli uomini, ma il sistema elettorale - nazionale - non permette di sceglierli: e allora, se non puoi scegliere niente e nessuno, che razza di democrazia è? E non si dica che scopriamo l’acqua calda: c’è stato un tempo in cui certe disinvolture, nelle alleanze, sarebbero state impensabili.
A Milano, in particolare, si guardava all’equilibrio o alla caduta di una giunta perché i riflessi nazionali poi erano immediati: non era tutto un - scusate - troiaio dove tutti stanno con tutti, secondo luogo e voti presi, fregandosene di quel che accade nel comune affianco o banalmente al governo. I leader nazionali venivano a Milano e, da una loro frase, s’intuivano fasi politiche e alleanze e giunte che avrebbero governato mezzo Paese. Oggi è tanto se arriva un tweet.