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 2015  agosto 25 Martedì calendario

LA SFIDA DEL PREMIER LI: ANDARE VERSO UNA «NUOVA NORMALITA’»

All’apertura dell’annuale Congresso del Partito comunista cinese, il primo ministro Li Keqiang annunciò ufficialmente che l’obiettivo di crescita in Cina per il 2015 era di “circa il 7%”, un dato molto più basso che in passato. A Davos, in febbraio, il premier aveva detto che il Paese era “entrato nella fase di una nuova normalità scalando marcia e assestandosi su una velocità media”. Dopo i primi due anni del mandato di Xi Jinping, l’economia cinese era cresciuta solo del 7,4% nel 2014 – il tasso più basso dal 1990 – inducendo i responsabili politici cinesi a modificare la linea politica nella convinzione che i precedenti tassi di crescita non erano più sostenibili.
Li ha detto che “stanno crescendo le pressioni che spingono l’economia cinese verso il basso” e il Paese deve fronteggiare “profondi problemi in materia di sviluppo” che non è più possibile procrastinare. Li ha garantito che la nuova normalità non sarà in contrasto con l’obiettivo del governo di “portare a compimento la costruzione di una società moderatamente prospera”. Infatti ha detto che “questo scopo è in linea con il nostro obiettivo sotto tutti i punti di vista e, al contempo, adeguato alla necessità di far crescere e ammodernare la nostra economia”. Secondo l’agenzia ufficiale di stampa Xinhua, Jack Ma, fondatore di Alibaba, ha paragonato la crescita in Cina “all’altezza di un uomo: non può continuare ad aumentare all’infinito”.
Il processo di riequilibrio dell’economia era già iniziato in Cina a metà del 2005, per l’esattezza il 21 luglio, con l’introduzione di una nuova normativa in materia di tassi di cambio (ancorando lo yuan a un paniere di valute). Il nuovo regime dei tassi di cambio ha progressivamente ridotto la redditività delle esportazioni rispetto alla produzione per la crescita economica della Cina. La “nuova normalità” privilegia il mercato interno e quindi ha ridotto l’incentivo a investire nel settore delle esportazioni, specialmente delle esportazioni manifatturiere. Da allora si è investito maggiormente nel settore dei servizi e, più di recente, in edilizia e infrastrutture. Gran parte di questi investimenti sono stati finanziati dai governi locali (tramite banche locali di proprietà dello Stato). Di conseguenza i primi tentativi di riequilibrare l’economia cinese hanno determinato altri squilibri, gli investimenti eccessivi nel settore edilizio e l’incremento del debito pubblico, sia a livello di amministrazioni locali che di governo centrale.
Il rallentamento attuale è in parte la prevedibile conseguenza della scadenza di un gigantesco programma di stimolo avviato dopo la crisi finanziaria del 2008. Le misure di emergenza, concepite per impedire un crollo eccessivo della produzione e dell’occupazione, potrebbero minare ulteriormente la capacità dell’economia di riposizionarsi sulla strada di una crescita sostenibile. L’espansione cinese negli ultimi tre decenni ha poggiato su una serie di squilibri macroeconomici: l’eccesso di investimenti e credito ha reso l’economia vulnerabile, soffocata da progetti di investimento a bassa redditività, con un aumento dei crediti a rischio per le banche.
L’eccesso di investimenti – in rapporto al consumo delle famiglie – è accompagnato da un altro eccesso: quello della domanda estera (esportazioni) rispetto alla domanda interna. Ciò mette l’economia cinese in una situazione di estrema dipendenza dal resto del mondo, rendendola più fragile. Gli altri squilibri che Pechino non può più ignorare sono quello demografico – con una forza lavoro in fase di contrazione – e quello regionale, con molte province altamente specializzate in pochi settori che producono capitali e beni strumentali.
Dal momento che la crescita generata dalla ””uova normalità” mette l’economia su una strada più sostenibile dopo tre decenni di crescita accelerata per evitare alla Cina un “atterraggio disastroso”, Li ha detto che il rallentamento della crescita rende “le riforme strutturali ancor più necessarie”. Aver cambiato marcia collocando la Cina su un tasso di crescita più appropriato, aiuterà il Paese a modernizzare la sua economia.
La frammentazione internazionale dei processi di produzione ha alimentato il commercio mondiale negli anni 2000, ma la crisi globale ha frenato questo fenomeno, per lo più a causa del fatto che le esportazioni cinesi comportano sempre meno l’acquisto di componentistica e pezzi di ricambio e si appoggiano alla produzione locale. Rispetto alla Cina il resto dell’Asia crescerà di meno e, pur potendo diventare attraente per gli investitori, come mercato per gli investimenti non potrà rivaleggiare con la Cina. Nel 2015 il Pil cinese crescerà di 1,2 miliardi di dollari e contribuirà per il 30% alla crescita globale del Pil. Gli Stati Uniti solo per il 22%. Pur dando per scontato un significativo rallentamento, l’economia cinese rimarrà il motore della crescita globale.

(Questo è un estratto dal saggio “China’s Economic Growth. Heading to a New Normal” nel report “Xi’s Policy Gambles: The Bumpy Road Ahead” pubblicato dall’Ispi.
Traduzione di Carlo Antonio Biscotto)