Daniele Manca, Corriere della Sera 25/8/2015, 25 agosto 2015
IL MALE OSCURO
I mercati, le Borse, non sempre sono razionali. Ma sono chiare le ragioni della grande paura che ha portato le piazze finanziarie mondiali a piegarsi fortemente, e Wall Street a perdere mille punti in avvio, per poi chiudere a -3,56% (-588 punti). C’è una Cina che sta rallentando e il governo di Pechino che mostra di non riuscire a guidare la frenata accompagnata dalla sofferenza dei Paesi emergenti. L’Europa che, complessivamente, non si è mai ripresa davvero dalla grande crisi Lehman del 2008. L’America che sta vivendo una ripresa meno solida del previsto come sottolineava Lucrezia Reichlin sul Corriere domenica scorsa. Può bastare per giustificare un altro lunedì nero che nelle premesse poteva essere ancora più pesante? Sì, ma non del tutto. C’è qualcosa di più dietro l’impalpabile malessere che si è diffuso nelle ultime settimane sui mercati. Quelli che venivano visti come segnali positivi lentamente hanno mutato di segno. Come il petrolio. Sceso ieri sotto quota 39 dollari: da un aiuto per le economie si è trasformato nell’indicazione evidente che se ne comprava sempre meno a causa di una produzione calante. Le massicce iniezioni di liquidità, le centinaia di miliardi che la Federal Reserve (la banca centrale americana) e la Bce stanno immettendo sui mercati, anch’esse sono apparse come la medicina temporanea per una malattia di un mondo che cresce poco.
E così quando anche la Cina, il governo di Pechino, si è avviato a fare un’analoga operazione, sebbene con strumenti diversi, quella decisione è stata vissuta dalle Borse come la spia più concreta della difficile situazione della seconda economia mondiale. E come se la festa stesse finendo per davvero.
Si è creata quella che gli esperti chiamano una situazione di estrema volatilità delle quotazioni. Alimentata peraltro da singole situazioni difficili. Non si può dimenticare che da gennaio l’Europa è stata alle prese con il possibile fallimento di uno Stato, la Grecia, che ha gettato ombre sulla stessa Unione. Siamo ossessionati dal debito degli Stati, debito sovrano, che non riusciamo nemmeno più tanto a contare. E il mondo nel quale viviamo è tutt’altro che tranquillo. Non solo per migrazioni che non hanno precedenti nella storia recente, ma anche per un terrorismo dal volto sempre più indistinto.
Ammettiamolo, il bene più prezioso del quale siamo in cerca in questi anni è la sicurezza. In campo finanziario questo si trasforma in risparmio più che in investimento. Vale per la singola persona ma anche per i grandi operatori finanziari. Siamo in quella che l’ex presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, chiamava savings glut ossia «eccesso di risparmio». La domanda scende, le imprese man mano riducono la produzione, le economie rallentano.
Lo sguardo del mondo non è quello di chi pensa al modo di ingrandire la torta, a investire, a rischiare puntando su una maggiore crescita, su più occasioni di sviluppo, si difende invece la propria porzione che si sente minacciata. Ecco perché la giornata di ieri innescata dalla ennesima forte perdita della Borsa di Shanghai non si è chiusa con la Cina, ma sta riguardando noi tutti. Le politiche economiche dovrebbero avere come obiettivo quello di agevolare gli investimenti, le imprese, i Paesi che guardano allo sviluppo. Sarà solo un caso che sia stata Wall Street la Borsa che più ha tentato di contenere le perdite? O è la conferma della storia di un’America che non ha mai smesso di pensare a come crescere e al suo futuro?