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 2015  agosto 22 Sabato calendario

CELESTINI E LE BORGATE SULLE ORME DI

PASOLINI –
ROMA Sono storie di poveri cristi di borgata, che non cercano di cambiare il proprio destino, quelle che Ascanio Celestini racconta alle Giornate degli Autori della Mostra di Venezia. In Viva la sposa (dal 7 settembre nelle sale), le persone vivono alla giornata, «ma ciò non significa che non gli accada nulla», dice. «Anzi — aggiunge il regista —, la vita per loro si presenta come uno spettacolo imprevedibile, si muovono come marionette ma soffrono come tutti gli uomini, personaggi un po’ di carne e un po’ di legno. Il legno ci fa sorridere, la carne ci fa arrabbiare».
È un road movie, «perché è un viaggio che il mio personaggio compie attorno a racconti di solitudine che ho sentito in un bar di periferia». Ascanio l’affabulatore, benché nel 2010 ci sia già stato con La pecora nera , sembra un corpo estraneo rispetto alla Mostra. Ma un giorno il tappeto rosso sarà del cantastorie dalla barbetta a punta. «Mio figlio, che ha 8 anni, mi ha chiesto: ma papà, perché invece di andare a Venezia non ti fai invitare agli Oscar?».
Ascanio torna dunque con storie vere che ha ascoltato ai bar del Quadraro. È la periferia romana dove, come diceva Pasolini, «la città sembra che finisce e invece ricomincia». Sono tante le vicende di cui viene a conoscenza il protagonista, un alcolizzato interpretato dallo stesso regista: quello che truffa le assicurazioni, la prostituta che non sa chi è il padre di suo figlio, la bambina ucraina, il tassista truffaldino e una giovane donna che si chiama Sophia perché il padre avrebbe voluto che fosse come la Loren, e ha invece il fascino spigoloso di Alba Rohrwacher. Dai bar, che per lui sono i presìdi culturali della periferia, si allontana nel finale del film, dove ricorda Giuseppe Uva, morto in caserma a 43 anni, fermato ubriaco a Varese in una notte del 2008. Un caso inestricabile di carte, querele, perizie, udienze. «Fu massacrato di botte. Non lo ricordo per fare un gesto di denuncia. Ma certo quando lo Stato arriva nelle strade più dimenticate, non arriva con l’ambulanza ma con le auto della polizia. Sono andato a Varese dalla sorella di Giuseppe, Lucia, le ho detto che non voglio raccontare il morto dopo che è morto, ma i morti quando erano vivi. Lucia mi ha detto una cosa strana, e cioè che all’obitorio quasi non volle riconoscere il fratello morto, in presenza di estranei. Dopo, sola, cominciò a parlargli, a accarezzare il suo corpo inerme».
Celestini dice che «fino a un certo punto sono storie di periferie, perché anche il centro di Roma è pieno di disgraziati e barboni». Un ritratto antropologico, «come diceva Edoardo Sanguineti, la tragedia oggi non è più possibile perché non c’è più l’alto e il basso, il nobile e il popolo, oggi le differenze sono solo economiche, il ricco commerciante dei Parioli e l’intellettuale di piazza Vittorio ascoltano entrambi De André o Gigi D’Alessio».
E poi c’è la sposa che dà il titolo; è un’attrice americana che un giorno si sveglia dal coma e si sposa in Italia. «E lei, che vediamo solo nei servizi in tv che parlano del suo caso, di quando era in uno stato incosciente, rappresenta la realtà — dice Celestini —. È come se vedessimo la storia al contrario, quello che è marginale diventa il racconto principale». Ascanio, con la sua narrazione poetica, attraverso lo sguardo dei nuovi ragazzi di vita, legge in controluce l’Italia di oggi: «Un Paese senza speranza, ma non disperato; un Paese in difesa, anche da quello che gli accade intorno. Non racconto la crisi economica, non parlo di questo ma della crisi di solitudini. Alla fine siamo tutti soli. Tutti legati all’ambiente in cui si vive e da cui non si riesce a scappare. “Vado in Spagna”, dice il personaggio di Alba... e la ritroviamo a Cinecittà».