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 2015  agosto 22 Sabato calendario

«DEVI RITORNARE IN CELLA» E SOLO IN QUEL MOMENTO MARTINA SCOPPIA IN LACRIME

MILANO L’auto azzurra, una Peugeot con i vetri posteriori oscurati, è entrata dal retro della clinica Mangiagalli a metà mattina. L’autista ha aspettato in un angolo defilato del cortile. Alle 12.32, preavvertito da una chiamata, è sceso, ha aperto la portiera e molto in fretta ha caricato un neonato tranquillo, stretto tra le braccia di una giovane donna, con un’altra funzionaria al seguito. Poi è uscita da via Francesco Sforza, spiazzando tutti quelli che aspettavano di vederla dall’altro lato.
Fuori dai riflettori, «lontano dalla vicenda mediatica» come hanno scritto i giudici del Tribunale per i minorenni, è andato il figlio di Martina Levato e Alexander Boettcher, condannati per aver sfigurato con l’acido l’ex compagno di liceo di lei e indagati per altre «crudeli, impietose, premeditate» aggressioni.
Il piccolo Achille, 3,8 chili e sei giorni di vita, è stato portato fuori Milano, in una comunità per soli minori, di tipo familiare. Starà da solo, anche se potrà incontrare, «con modalità protette ed osservate», entrambi i genitori e i parenti. La sorte decisa per lui si è ripercossa nel giro di poco su quella della madre. Alle 15.15, sempre dal retro della clinica, a bordo di un Suv nero (mentre la camionetta della polizia penitenziaria era parcheggiata all’ingresso, per depistare i giornalisti), è uscita anche lei, diretta a San Vittore che aveva lasciato il 14 agosto, solo per partorire.
Mattina concitata, quella di ieri, per il personale della Mangiagalli. Cominciata presto. Nel momento in cui, alle 8.15, il direttore sanitario Basilio Tiso ha firmato le lettere di dimissioni per madre e figlio mandandole per conoscenza anche al Tribunale per i minorenni. Da quell’invio, ogni momento era buono per l’eventuale trasferimento «altrove». Prima delle 9 la telefonata del responsabile per il Comune, tutore provvisorio del bambino, che annunciava l’immediato arrivo di quattro assistenti sociali.
Due giovani operatrici, accompagnate dal personale socio-sanitario della clinica, sono andate dal bimbo, che dormiva nel reparto di patologia neonatale, e lo hanno preparato per l’uscita. Mentre le altre due, col personale ospedaliero, attendevano «a minuti» il provvedimento del Tribunale per i minorenni.
Ma dopo un’ora, alle 10, orario in cui Martina aveva il permesso di incontrare ogni giorno il figlio, il fax che racchiudeva i destini di Achille ancora non era arrivato. Almeno venti persone lo stavano aspettando.
Il direttore sanitario ha dato allora disposizione di portare la culla nella stanza piantonata giorno e notte dalle guardie carcerarie, come se nulla fosse. L’ospedale, intanto, si riempiva di poliziotti in borghese: almeno quattro, aggiuntivi rispetto al solito davanti alla stanza della Levato. Poco più in là, il consueto via vai di puerpere, carrozzine e neonati.
Il fax con il provvedimento dei giudici è arrivato alle 12.15, e a quel punto, come in un videogame in cui tutto è già stato previsto, le varie pedine si sono mosse, secondo i percorsi concordati.
Due assistenti sociali del Comune sono andati a prendere il bimbo e lo hanno portato via con l’auto azzurra. Mentre le altre due, col personale ospedaliero, iniziavano a spiegare a Martina cosa stava succedendo. Che il figlio era stato portato in comunità e che lei potrà vederlo, forse non ogni giorno. Lei ascoltava, immobile. Si è scossa solo quando le hanno chiarito che sarebbe tornata in carcere. Lì ha avuto la crisi di pianto violenta, incontenibile.
Con lei è entrata in stanza la madre mentre una parte dei medici, tra cui il primario Alessandra Kustermann, non voleva farla uscire e l’avvocato, Stefano De Cesare, provava a sostenere la tesi di «condizioni postoperatorie non compatibili col carcere». Ma la lettera di dimissioni, pur con ogni cautela, parlava chiaro, ed è stata ribadita dal Tribunale. «Dimissibile». Il pm Marcello Musso ha mandato il Suv nero della polizia penitenziaria, e la detenuta è tornata in cella.