Andrea Velardi, Il Messaggero 22/8/2015, 22 agosto 2015
STRAGI, DEPISTAGGI E STRATEGIE DI DISINFORMAZIONE
Non si dovrebbe agganciare la forza di un libro ai soli fatti di cronaca, ma davanti alle polemiche per il funerale hollywoodiano del boss Casamonica la fatica di Rita Di Giovacchino assume un valore di monito e profezia sulle sorti del nostro paese. E sulla necessità di gettare luce su quella commistione tra poteri che genera un sistema criminale intrecciato più esteso di Cosa Nostra. Stragi è una testimonianza di coerente passione politica, di inquietudine davanti alla possibilità che la nostra democrazia possa essere stata corrosa irrimediabilmente dalla catena di destabilizzazioni che ha il suo apice nella strage di Piazza Fontana e nelle bombe del ‘92, ’93. Palermo era solo l’epicentro di un terremoto più vasto dietro il quale operavano mafia, ‘ndrangheta, massoneria, servizi segreti deviati ovvero la combine da cui promana ogni fatto oscuro della storia della Repubblica e che si palesa prepotentemente dopo gli omicidi di Falcone e Borsellino con una serie di depistaggi e strategie di disinformazione simili a quelle del delitto Moro. Anche la strage di Milano e quella del Velabro si somigliano in modo sinistro nonostante la fine della stagione del terrorismo. Di Giovacchino dimostra il potere rilevatore di analogie e sovrapposizioni, crede che la verità venga restituita dall’anatomia dei fatti fin nelle più sottili nervature.
LA LEZIONEIn Stragi vince la lezione di Pasolini, del suo famoso articolo sul Corriere del novembre 1974: «Io so perché sono un intellettuale che cerca di seguire tutto ciò che succede, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero». La verità sta davanti ai nostri occhi, bisogna soltanto seguirne instancabilmente le articolazioni. Il libro coltiva un’ipotesi forte ma l’evidenze dei fatti non conducono a dietrologie irreali. Anzi consentono di valutare diversamente il capitolo della Trattativa poiché nessuno degli uomini di Stato che ne sono accusati ha niente a che vedere con le stragi. Le rivelazioni di Massimo Ciancimino, vere o presunte che siano, non sono importanti per la ricostruzione di collusioni istituzionali ad alto livello col potere mafioso, ma come indici di una confusione, di una fragilità interna e internazionale dello Stato italiano che preludeva ad una trasformazione della democrazia. O ad una perdita? Ad un golpe bianco, felpato, moderno? E’ solo l’ipotesi del libro. Unico innegabile fatto: ad un certo punto le bombe cessano.