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 2015  agosto 23 Domenica calendario

SANGUE PER IL PANE SUL PRIMO SCUDETTO

Alle otto del mattino di domenica 8 maggio 1898, il generale Fiorenzo Bava Beccaris convocò i più stretti collaboratori nella tenda da campo che aveva fatto installare in Piazza Duomo a Milano, ascoltò i loro resoconti e i loro pareri, infine impartì gli ordini. Sapeva che, di lì a poco, sarebbe scoppiato l’inferno. Alla stessa ora, camminando a passo svelto, il dottor James Spensley entrava nel Velodromo Umberto I, a Torino, e si preparava a vivere, assieme ai suoi amici, una giornata indimenticabile: si disputava, infatti, il primo campionato italiano di football (non si chiamava ancora «calcio»). Quattro squadre iscritte al torneo: il Genoa Cricket and Football Club del dottor Spensley; l’Internazionale Torino formato da uomini dell’aristocrazia piemontese; il Ginnastica Torino; Football Club Torinese, anch’esso espressione della nobiltà e dell’alta borghesia sabauda. Ci si giocava quel primo scudetto in un solo giorno: la mattina, le semifinali; il pomeriggio, le finali. Come premio una coppa offerta dal Duca degli Abruzzi, Luigi Amedeo di Savoia-Aosta. E poi, al termine delle partite, vino per tutti, com’era tradizione in quell’epoca di pionieri del pallone. Perché anche allora contava vincere, come oggi, ma ancora più importante era esserci.
LA RABBIA DEL POPOLO Di football il generale Bava Beccaris non s’interessava. E se anche gliene fosse importato qualcosa non era certamente quello il momento più adatto per lasciarsi andare a futili fantasie. L’Italia intera era in subbuglio. Il Paese, unificato da poco più di trent’anni, non era ancora diventato una nazione: le diseguaglianze erano terribili, i ricchi comandavano e i poveri lavoravano, di politica si occupavano soltanto coloro che avevano denari da spendere e interessi economici da difendere. L’analfabetismo imperava nelle campagne e nelle città. E su questa penisola, arretrata culturalmente e senza un’idea di stato che la illuminasse, Casa Savoia regnava con severità e, talvolta, con violenza. Erano anni, quelli di fine Ottocento, di sogni infranti: il colonialismo e le grandi campagne d’Africa avevano dissanguato le casse del Regno. E il popolo, senza più il miraggio di nuove terre da conquistare, e dunque senza più ideali, si riversava arrabbiato nelle piazze e nelle strade. Ogni occasione era buona per proclamare uno sciopero generale o per sparare qualche schioppettata. In più, l’aumento del prezzo del pane aveva esasperato gli animi tanto che ovunque si erano registrate manifestazioni di protesta contro il governo e contro il re. A soffiare sul fuoco, i socialisti e pure i cattolici che si erano sempre opposti alla nascita dello stato liberale in nome del potere temporale del Papa. In questo ambiente tutt’altro che sereno si cominciarono a tirare i primi calci al pallone: a importare la «moda» furono industriali inglesi che, dalla Gran Bretagna, si erano trasferiti nelle città del nord Italia. A Genova e a Torino, in particolare, si sviluppò la nuova pratica del «foot-ball», e sotto la Lanterna il dottor Spensley si diede da fare per costituire la prima società (il Genoa Cricket and Football Club, appunto) e per mettere insieme un gruppo di ragazzi, quasi tutti inglesi, che formassero una squadra. Nella primavera del 1898 nacque la FIF, Federazione Italiana Football, con sede a Torino: sette i club affiliati.
LA DECISIONE Ma il gioco restò una questione elitaria, il popolo non sapeva nemmeno che cosa fosse un pallone di cuoio: la priorità era mettere in tavola un pezzo di pane e una patata (la carne, se c’era, una volta alla settimana). A Milano i cittadini, non soltanto gli operai delle fabbriche ma anche gli impiegati, protestavano perché gli orari di lavoro erano massacranti e il salario troppo basso. I dirigenti politici che appartenevano al partito socialista, Filippo Turati su tutti, cercarono di contenere la rabbia e di arrivare a una mediazione con i padroni, ma non ve ne fu il tempo. Mentre a Torino il dottor Spensley dava le ultime indicazioni ai suoi compagni e si preparava a entrare in campo per la semifinale contro il Ginnastica Torino (erano le ore 11 dell’8 maggio 1898), i milanesi innalzavano barricate in ogni punto della città. La situazione era fuori controllo e poco dopo mezzogiorno il generale Bava Beccaris, responsabile dell’ordine pubblico, diede l’ordine di sparare. I cannoni e l’artiglieria leggera fecero strage dei manifestanti: secondo i dati ufficiali i morti furono 88 e i feriti 400, ma in realtà il conto era superiore. La sera, soddisfatto, Bava Beccaris telegrafò al capo del governo Antonio di Rudinì e gli comunicò che la rivolta poteva considerarsi domata. Nessun accenno a morti e ai feriti. Qualche giorno più tardi il Re Umberto I si complimentò per l’efficacia dell’intervento. Ormai tra il popolo e le istituzioni si era creata una frattura che risulterà impossibile risanare.
FESTA E SILENZIO E proprio mentre le parole di Bava Beccaris giungevano sul tavolo dei politici, il dottor Spensley levava al cielo il primo trofeo: il Genoa Cricket and Football Club aveva vinto lo scudetto battendo in finale l’Internazionale Torino. La partita, di cui non si hanno resoconti dettagliati se non sulla durata e il nome dei marcatori, era cominciata alle tre del pomeriggio. La Gazzetta dello Sport del 13 maggio 1898 descrisse così la giornata: «Dopo le gare eliminatorie che ebbero luogo in mattinata, rimasero a contendersi il campionato il Club Genovese e l’Internazionale. Viva e accanita fu la lotta d’ambo le parti. Dopo due ore di gioco le due società si trovavano ad avere un punto pari così che si dovette prolungare la partita per altri venti minuti. I genovesi, quantunque si trovassero con un bravo giocatore fuori combattimento in causa d’una caduta, riuscirono a vincere con un altro punto conquistando la coppa di campionato italiano. L’onore dell’ultimo punto spetta al socio Leaver». Il primo gol del Genoa era stato invece realizzato dal dottor Spensley. Sul campo del Velodromo Umberto I di Torino si fece festa fino a notte. A Milano, invece, dopo le cannonate e gli spari, scese un silenzio di morte.