Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  agosto 22 Sabato calendario

LA DOMENICA NON È PIU’ UN TABU’

Siamo in crisi economica, il lavoro non va buttato, ma cercato: gli operai lo sanno bene. Cominciò lo scorso anno la «Ducati» di Bologna: un pacchetto di assunzioni, incentivi, premi di produzione e lavoro domenicale. Gli stessi sindacati, sia pure col collo storto, dovettero adeguarsi. Ora altre grosse fabbriche, a cominciare dalla Whirlpool e dall’Electrolux, si sono aggiunte. Accade, del resto, nei più evoluti paesi europei.
La Chiesa cattolica non è d’accordo e ha lanciato una veemente campagna contro il lavoro domenicale. Per due ragioni: impedisce di partecipare ai riti religiosi e non consente alla famiglia di celebrare unita la festa. Così si è espresso il vescovo di Melfi, Gianfranco Todisco, detto anche Mons. Antitrivellatore, che ha scritto a Sergio Marchionne: «Grazie per averci lasciato la fabbrica a San Nicola, ma la domenica devi fermare la produzione».
Più autorevolmente Papa Francesco ha ripreso argomenti che già avevamo ascoltati, negli anni Settanta, dalla Teologia della liberazione: «Gli operai sono schiavi del profitto e dell’efficientismo, li fanno lavorare in fabbrica e comprare nei supermercati anche la domenica».
Preoccupazioni dettate da comprensibili motivi pastorali. La festa non è una giornata come le altre, è di qualità diversa. Ce lo hanno mostrato eminenti studiosi delle religioni (Mauss, van der Leeuw, Guardini).
È il giorno in cui si riattualizza, col rito, l’evento esemplare narrato dal mito, le sue ore non sono quelle banali dei giorni lavorativi, ma quelle forti della commemorazione dell’Evento salvifico. È un tempo santificato, il «tempus» del «templum», in cui tutti gioiscono celebrando il giorno festivo (gaudeamus diem festum celebrantes). Un giorno sentito da tutti così alto e diverso, che richiede un mutamento del costume: il bagno del sabato sera, il vestito e il cappello della festa, le scarpe lucidate.
Ecco perché le tre religioni bibliche hanno difeso a oltranza la festa e nel Decalogo ebraico uno dei precetti è: «Ricordati di santificare il sabato». In quel giorno, sabato (shabbat), domenica (dominicus dies) o venerdì (jum’a), lavorano i preti, ma non i laici. Tutta la vita del credente si alterna tra due tempi qualitativamente diversi, quello «profano» del lavoro e quello «sacro» della festa (Eliade).
Oggi lo fanno perentoriamente due religioni soltanto, l’ebraica e l’islamica. Nei paesi cristiani i secoli della modernità hanno sempre più ridotto il valore delle feste religiose, dai protestanti, che hanno cancellato quelle della Madonna e dei santi, aumentando così il tempo lavorativo, alla rivoluzione francese, col suo calendario che limitava le feste facendo divenire la settimana una decade. Poi ci ha pensato la rivoluzione industriale. Dopo il periodo duro degli inizi, il tempo di lavoro si è sempre più ridotto e quello della festa esteso.
La differenza tra giorno feriale e festivo è gradualmente evaporata: non sono diversi per qualità, la festa è solo il giorno in cui non si lavora.
La Chiesa cattolica non ha certo cancellato le feste, ha tuttavia cercato evitare la perdita di fedeli al rito domenicale estendendo la validità del precetto anche al sabato.
La Chiesa sa bene che in una società complessa i lavoratori della domenica sono milioni. Già prima del Concilio, Pio XII nel 1953 lo aveva concesso a «coloro che per motivi familiari o professionali erano impossibilitati a partecipare alla Messa domenicale».
Paolo VI lo confermò nel 1967. Era una eccezione, oggi è una regola. Che purtroppo non è riuscita a frenare la diminuzione della frequenza.
Chi riflette su questo motivato e comprensibile mutamento non può non stupirsi della campagna in atto, che accusa il capitalismo «avido di profitto» e il consumismo «disumano» di tenere lontano i fedeli dalla Messa domenicale. Quando la prima a consentirlo è stata proprio la Chiesa.
Oggi, del resto, alla Messa la maggior parte dei «cattolici» non ci va né il sabato né la domenica. Le statistiche europee della frequenza non sono sondaggi di opinione, ma rilevazioni matematiche: si va dal 40 % in Polonia al 4% in Francia; in Italia circa il 20 %.
La Messa non è ancora finita, ma la frequenza è dovunque in diminuzione, anche perché l’età media di chi ci va è molto alta.
Soprattutto i pensionati, i giovani hanno altro cui pensare. Di chi sarà la colpa: della Confindustria, dell’Onu, del governo, dall’harem dei politici? Forse ce lo saprà dire mons. Galantino.