Beppe Severgnini, Corriere della Sera 23/8/2015, 23 agosto 2015
«CHE BELLO NON CORRERE PIÙ SUL TAPIS ROULANT SPAZIALE»
[Samantha Cristoforetti] –
Si è mai annoiata nello spazio?
«No, avevo sempre più cose da fare che ore nella giornata per farle. Per questo sono stata felice di poter prolungare la mia missione di un mese».
I tweet di @astrosamantha erano armoniosi, sereni ed ecumenici. Un umore spaziale o una scelta precisa?
«Entrambe le cose».
Venivano controllati prima di essere inviati? Da chi?
«Certamente no, gli account social degli astronauti sono nostra espressione diretta. Così come il mio “Diario di bordo”, che ho iniziato a scrivere 500 giorni prima del lancio: gli originali inglesi erano pubblicati direttamente sulla mia pagina Google+».
La missione aveva finalità di ricerca. Può spiegare ai lettori, in una frase, il risultato più importante?
«La scienza non si muove con la velocità della comunicazione. Al momento possiamo essere molto contenti di avere portato a termine con successo tutti i protocolli sperimentali proposti: io sono un’operatrice e per me è importante che le operazioni siano andate bene. L’analisi dei campioni e/o dei dati da parte degli scienziati richiederà tempi lunghi, dell’ordine di grandezza di un anno. Sono molto curiosa anch’io, ma bisogna dare ai team il tempo di lavorare».
È credente? In che modo lo spazio può diventare un’esperienza mistica?
«Penso lo possa senz’altro diventare per persone che hanno una propensione al misticismo. Non credo di essere tra queste».
Che rapporto c’è tra la realtà e il cinema, la musica e la narrativa sul volo spaziale? Conosce «Space Oddity» di David Bowie? Con che occhi guarda film come «Interstellar» o «Gravity», lei che dallo spazio è appena tornata? Tra l’altro: li ha visti?
«Non ho ancora visto “Interstellar”: ero tentata in aereo, l’altro giorno, ma ho preferito aspettare l’occasione di vederlo su uno schermo degno del film. Ho visto “Gravity”, certo. Ho riso molto, temo di avere un po’ disturbato nel cinema. È un film drammatico, non una commedia, ma non potevo trattenermi, perché accadevano continuamente cose grottescamente irrealistiche. Però la riproduzione della Stazione spaziale è davvero molto fedele!».
Elon Musk. Quant’è realistica la sua intenzione di portare l’uomo su Marte?
«Non saprei, per adesso si tratta di affermazioni piuttosto vaghe, difficile giudicare».
Veniamo alla vostra preparazione, una cosa che lascia ammirati e sconcertati noi terresti stanziali. Per esempio, la claustrofobia. Se uno ne soffre, nel vostro mestiere, viene scartato?
«Credo che sia effettivamente meglio scegliere un’altra carriera, in quel caso. Fermo restando che le fobie spesso si possono superare».
Per evitare reazioni impreviste nello spazio, esiste un training psicologico specifico oppure tutto viene con l’addestramento?
«Molta attenzione agli aspetti psicologici durante la selezione. Qualche momento di training formale su soft skills come teamwork, leadership, followership, comunicazione, conflict management. Alcuni eventi forti di team building, come i corsi di sopravvivenza o esperienze outdoors dedicate. E molto training informale dato dal fatto che si lavora e ci si addestra per anni in un contesto di relazioni umane in cui chi non è un team player e non è emotivamente equilibrato non è molto apprezzato».
Cosa le manca di più, tornando sulla terra: l’assenza di peso, ha detto. Cosa le manca di meno?
«Correre su T2, il nostro tapis roulant spaziale. È molto utile per la salute degli astronauti poter correre in assenza di peso, ma il prezzo da pagare è un’imbragatura che distribuisce il peso (una percentuale significativa del proprio peso) sulle spalle e sulle anche, come uno zaino da montagna. Era piuttosto doloroso».
Quanto teneva al record di donna con più lunga permanenza nello spazio? Onestamente.
«Per nulla. Se mi avesse chiesto un anno fa chi deteneva questo record, non le avrei saputo rispondere. Non so nemmeno se lo sapesse la diretta interessata, la mia cara amica Suni Williams, una persona che stimo moltissimo come persona e come professionista. Detto questo, mi piacciono le cifre tonde. “200 giorni nello spazio” suona bene».
Com’è cambiato il suo rapporto con l’Italia, un Paese da cui è andata via per lavoro e che, mentre stava in orbita, le ha assegnato il ruolo di eroe nazionale?
«“Eroe nazionale” mi fa sorridere, mi fa pensare a Garibaldi, a persone di cui si legge nei libri di storia. In termini più misurati, nel mio caso mi sembra che ci sia stata una grande partecipazione a un’esperienza straordinaria, e del resto è stato un mio impegno dichiarato quello di condividerla al meglio delle mie capacità e delle possibilità date dai social media. Certo, è l’esperienza che è straordinaria, non la persona».
Teme il rischio «donna da esibizione»?
«È un rischio che ho presente, ma non lo temo molto, credo che sia gestibile. Spero di non essere smentita dai fatti. Comunque la notorietà per un astronauta è sempre un fenomeno passeggero, legato alla straordinarietà di un viaggio nello spazio. Presto l’attenzione si sposterà sul prossimo collega in partenza, come è naturale e giusto che sia».
Lei ha detto, giorni fa: «Siamo tutti viaggiatori spaziali sul pianeta Terra, e dobbiamo lasciarla in buone condizioni per il prossimo equipaggio». Voto all’equipaggio da 1 a 10?
«L’equipaggio del pianeta Terra? Direi un 7. Possiamo migliorare tanto in termini di consapevolezza, di pratiche individuali e di policy, ma in fondo potremmo anche fare molto peggio. Detto questo, a me sembra che siamo a un momento critico, in cui o puntiamo decisamente al 10, o rischiamo di precipitare rapidamente verso il 4».
(Ha collaborato Stefania Chiale)