Federico Fubini, Corriere della Sera 23/8/2015, 23 agosto 2015
LE BANCHE CENTRALI
Il mercato non avrà sempre ragione come alcuni credevano qualche anno fa, ma magari qualche volta sì. Per questo gli indici di Borsa dei principali Paesi dell’euro oggi stanno raccontando una storia che non riguarda più solo gli esperti dei mercati. Perché questa è una vicenda in cui l’ordine dei fattori si inverte: il mercato azionario dell’economia più forte d’Europa improvvisamente ha iniziato a registrare la tendenza più debole. Dopo aver corso più degli altri per tutto l’inverno e la primavera, nell’ultimo mese il Dax di Francoforte ha fatto peggio del Cac 40 di Parigi, del Ftse Mib di Milano e dell’Ibex di Madrid. E in questa scivolata si nasconde un indizio su come potrebbero evolvere gli equilibri in Europa e le scelte delle grandi banche centrali nei prossimi mesi.
Il 20 luglio le Borse dell’area euro hanno raggiunto i massimi di stagione, euforiche dopo la tregua attorno alla Grecia. Da allora però il listino di Francoforte ha perso il 13,5% per ragioni che non hanno niente a che fare con la crisi dell’euro. La Germania è di gran lunga nell’area monetaria l’economia più dipendente dalle export che (stima Eurostat) pesa nel 2014 per il 45,6% del prodotto lordo del Paese. Poiché molti fornitori tedeschi di trasporti o Internet e produttori di pezzi meccanici lavorano per imprese esportatrici, è probabile che in realtà circa tre quarti del benessere della Germania dipenda dalla domanda estera. La quota di export della Francia o dell’Italia è molto più bassa, a meno di un terzo del reddito nazionale.
L’equazione
Questa è l’equazione del modello tedesco che rischia di non tornare più, ora che i Paesi emergenti sembrano entrati in una stagione più dura. Le implicazioni sono potenzialmente così profonde da imporre uno dei temi sui quali, questo fine settimana nel loro appuntamento a Jackson Hole (Wyoming), banchieri centrali ed economisti di tutto il mondo potrebbero voler avere uno scambio di vedute.
L’anno scorso la Cina è stato il quarto cliente dell’export tedesco dopo Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna. Fra le prime trenta destinazioni del made in Germany figurano economie che stanno già subendo i contraccolpi della frenata cinese: Giappone, Russia, Emirati Arabi, Turchia, Brasile, Messico, India, Arabia Saudita. Il Sudafrica o l’Australia, che finora avevano prosperato vendendo materie prime alla Cina, per la Germania sono mercati di sbocco più importanti di Portogallo, Grecia o Irlanda. Una recessione all’altro capo del pianeta si avverte nei distretti industriali di Stoccarda più di una nuova sbandata ai confini della zona euro. Questo equilibrio aveva garantito alla Germania crescita senza sosta durante la recessione della cosiddetta «periferia» europea. Quindi nell’ultimo anno una svalutazione di circa il 20% sui principali mercati di sbocco aveva permesso all’export tedesco di accelerare anche se l’economia globale rallentava un po’. Ora però tutto rischia di cambiare. Venerdì scorso l’euro ha guadagnato terreno su 24 delle 32 valute più importanti – incluso il dollaro e lo yuan cinese – ed è una tendenza che sta continuando. Se la Germania andasse in difficoltà per l’Italia non sarebbe una buona notizia, perché molto del made in Italy è fatto da componenti del made in Germany: i freni delle Bmw, i sedili in pelle delle Mercedes.
La riunione
Ma è plausibile che l’avversione tedesca alla politica di massicci interventi della Banca centrale europea ora venga meno. Che si faccia più sussurrata, non gridata, perché anche la Germania avrà sempre più bisogno di un euro debole. La Bce potrà dunque continuare senza troppe polemiche con il suo lavoro fino al settembre del 2016 e forse oltre. Più difficile invece il compito della Federal Reserve: la banca centrale americana ha annunciato così tante volte un aumento dei tassi da mettere in gioco la propria credibilità, se rinvierà a causa dei tremori di mercato in Cina o in Brasile. Se ne parlerà a Jackson Hole la prossima settimana. E per la prima volta da anni gli europei non siederanno sulla sedia più scomoda.