Mirella Serri, La Stampa 24/8/2015, 24 agosto 2015
DOVE MI HA PORTATO LA REGINA DELLA NOTTE
«Quel romanzo mi è esploso tra le mani, quando l’ho iniziato non sapevo nemmeno esattamente cosa volessi scrivere»: le origini del suo primo parto letterario, Illmitz, rimasto nel cassetto per «soli», si fa per dire, 34 anni, Susanna Tamaro le ricorda come una specie di «illuminazione». «Ero al Wiener Staatsoper con il mio primo grande amore che dopo qualche giorno avrebbe preso un aereo per il Giappone e che non avrei mai più rivisto. Assistevamo alla rappresentazione del Flauto magico: le celebri note della Regina della Notte mi travolsero e sentii che nei mesi successivi avrei concentrato tutte le mie energie in un libro», rammenta la scrittrice triestina nella sua bella casa in campagna vicino a Orvieto.
Incoraggiata dalla nonna
Con quell’aria da spiritello dei boschi (la sua passione sono gli animali e la classificazione delle piante), la narratrice italiana più letta del Novecento - ha venduto 15 milioni di copie nel mondo - è ancora identica alla giovane donna che si rifugiò a Illmitz, al confine tra Austria e Ungheria, per comporre il racconto. Il piccolo borgo diede il titolo alla drammatica storia di solitudine e di passione pubblicata l’anno scorso da Bompiani. A incoraggiarla fu la nonna materna, che poi diventerà la protagonista del clamoroso successo Va’ dove ti porta il cuore. La colta e anziana signora, imparentata con Ettore Schmitz, in arte Italo Svevo, era il punto di riferimento di Susanna: la madre non era sempre presente e il padre - «una singolare figura tra il dandy, l’hippie e il vagabondo, donnaiolo egoista, nichilista sedotto dal misticismo orientale» - spesso lontano. Il manoscritto approdò sulla scrivania di Claudio Magris il quale annunciò alla romanziera in erba di esserne stato conquistato.
Soddisfatta? «Toccai il cielo con un dito e mi sembrò di essere a un passo dalla pubblicazione!». Convinzione errata. Magris bussò a tante porte, Einaudi, Sellerio, Adelphi, Garzanti, Rizzoli e altri, e per l’autrice prese corpo una lotta contro i mulini a vento. «Gli unici che fanno fatica a scrivere sono gli scrittori», era solito osservare Thomas Mann quando qualcuno gli diceva: «Mi butti giù due righe». In Italia fanno fatica pure a pubblicare, si potrebbe dire parafrasando il grande narratore. Da noi era (ed è) più facile esordire per tante altre categorie (attore, politico, stilista, cantante ecc.), ma non per chi come l’avventurosa Susanna, diplomata al Centro Sperimentale di Cinematografia, voleva battere proprio quella strada.
«Mi davano dell’idiota»
Dopo la bocciatura di Illmitz? «Non pensavo fosse tutto così difficile. Quando frequentavo il liceo classico mi davano dell’idiota, così mi diplomai alle magistrali, ma la sconfitta fece di me una combattente. Continuai a sfornare inediti, alcuni li ho persi e altri li conservo». Cosa ne faceva di tutta questa letteratura? «Allora non c’erano le mail e i dattiloscritti si spedivano dall’ufficio postale. La signora che ritirava i pacchi era corpulenta e materna e ogni volta che mi vedeva arrivare commentava “eccone un altro” oppure “quando leggiamo qualcosa di suo?”. Io inviavo le mie fatiche sempre agli stessi interlocutori, Garzanti, Rizzoli, Einaudi, Mondadori, tanto che un editor spazientito mi comunicò: “Lei è ammirevole nel credere di saper scrivere”. Oppure mi affidavo a persone di cui avevo grande stima».
Per esempio? «Letizia Fonda Savio, la figlia di Svevo, cercò di aiutarmi e ottenne da una casa editrice questa risposta: “Mi dispiace far fare a questo testo che ha sottoposto alla mia attenzione la stessa fine dei manoscritti del suo illustre padre”. Il riferimento era alle disavventure dell’autore della Coscienza di Zeno, cestinato e costretto a pubblicare a pagamento».
Libri «troppo tedeschi»
Continuò a bombardare gli editori? «Il mondo letterario mi sembra molto cambiato, oggi è diventato più complesso e inavvicinabile. Ma allora, a Roma dove mi ero trasferita, tra un gelato a Campo dei Fiori e i cicli di Fassbinder e di Wim Wenders al Filmstudio, si poteva entrare a far parte di circoli e cenacoli intellettuali. Buttavo giù pure dei versi e mi rivedo nel salotto di Vincenzo Cerami, dietro piazza Navona, durante le interminabili riunioni per dar vita a una rivista di poesia con lo scrittore Edoardo Albinati e Paolo Repetti, oggi editore einaudiano, che aveva composto un corposo poema. Proprio di recente me lo sono ritrovato tra le mie carte».
Altri autori che si spesero per lei? «Incontrai Alberto Moravia quando non aveva ancora iniziato la relazione con Carmen Llera e cominciammo a uscire insieme, lo accompagnavo al cinema. Eravamo entrambi piuttosto indipendenti, energici ed estrosi. Ci univa l’amore per gli animali, io adoravo il suo cane Arancio… Gli feci leggere un paio di romanzi e lui sentenziò: “I tuoi libri sono troppo tedeschi, sono libri dell’anima… Non possono piacere agli italiani che invece sono viziati dalle bellezze in cui sono immersi, sono degli esteti che amano la pittura e il paesaggio”. Però era un grande intellettuale e una persona estremamente generosa così mi propose di presentare uno degli inediti in Bompiani. “No grazie”, gli risposi, “per tutto il resto della mia vita verrei bollata come la tua amante, mi rovineresti”».
«Una chiromante mi disse»
Quanti anni passarono in attesa del gran momento? «Dieci, ero sul punto di buttare alle ortiche la penna quando nel 1989 arrivò del tutto inaspettata la chiamata di Cesare De Michelis della Marsilio che mi offriva di pubblicare La testa fra le nuvole segnalatogli dal professore Elvio Guagnini». Sconvolta? «Certo. I primi due libri andarono bene ma non furono nulla di strepitoso. Per voce sola ricevette gli elogi di Federico Fellini che paragonò i racconti a certe pagine di Oliver Twist o di America di Kafka. Mi telefonò per comunicarmi il suo entusiasmo e pensai a uno scherzo dei soliti amici burloni». Poi ci fu l’exploit di Va’ dove ti porta il cuore.
«Quando ero ancora un’adolescente m’imbattei in un chiromante che gettò un’occhiata alla mia mano e vaticinò: “Prima dei 40 anni un evento straordinario sconvolgerà la tua vita”. Io pensai che sarei diventata una famosa regista…». Invece andò altrove, là dove la portava il cuore. Quando debuttò con Ruben, rosso di capelli e lentigginoso, quanti rifiuti aveva collezionato? «Ventotto sentenze negative e inappellabili». Pronunciate dai tribunali editoriali e dai loro giudici, alcuni dei quali ancora oggi quando la incontrano cambiano strada.